Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi
Corsa alle pensioni, nuovi concorsi nella Pa e bonus: chi paga? Perbacco, il prossimo
San Callisto I, papa, martire.
Titoli. Ieri mancavano ancora 7 miliardi alla manovra di bilancio, oggi si annunciano 10 mila assunzioni nella pubblica amministrazione. Tra un titolo e l’altro dei giornali, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan - munito di setaccio, sacca in spalla e canoa tributaria – deve aver scoperto l’oro nel Klondike. La via del referendum è ancora lunga (4 dicembre), quella della manovra cortissima, mancano solo 24 ore alla presentazione in consiglio dei ministri e lo spettacolo pirotecnico della spesa e del deficit è alto nei cieli.
E’ uno scenario che desta la più grande invidia. L’Italia, paese al 44° posto nella classifica mondiale della competitività, si prepara a nuove assunzioni nel settore pubblico, aumenti di stipendi nel laborioso pubblico impiego, pensioni anticipate per classi demografiche di lavoratori con tassi di impiego tra i più bassi d’Europa. E zero riforma fiscale, mi raccomando, perché non ce n’è alcun bisogno, famiglie e imprese se la cavano benissimo con questo tax rate. E’ una politica economica coerente con questa tabella del World Economic Forum sul nostro paese:
Si procede in direzione contraria, all’italiana. Di fronte a questo scenario, i titoli dei quotidiani sembrano un manuale di teatro dell’assurdo. Il Sole 24Ore sulla manovra: “Pensioni, ultimo nodo della riforma: la platea Ape «social»”. L’Ape social, slogan perfetto da girare all’Aperol, due noccioline e via, la serata è fatta. E’ la corsa alla pensione e silenzio in pista ‘che siamo ai blocchi di partenza. D’altronde, il quadro mondiale promette bene. Le notizie che vengono dalla remota Cina (motore della crescita mondiale) sono eccellenti, bastava leggere ieri l’agenzia Reuters: “Le esportazioni hanno registrato un calo del 10% su anno, dopo -2,8% di agosto (-3% le attese); le importazioni sono scese di 1,9% su anno, da +1,5% di agosto (+1% le attese)”. Che importa, quella che giunge da Pechino è la realtà, l’Italia è proiettata su un’altra dimensione. Lo sfoglio dei giornali è un viaggio nell’iperspazio. La Stampa ha un titolo di taglio, asettico come una sala operatoria: “Diecimila assunzioni per polizia e sanità”; Il Corriere della Sera prende il pallottoliere e guarda all’età media dei suoi lettori: “Pensioni, i conti per uscire prima”; squilla la tromba dell’Unità: “Pubblico impiego, ripartono i concorsi”. Eccola, finalmente, la ripartenza dell’economia. Un caffè ar vetro e il Messaggero sortiscono un effetto psichedelico: “Nuovo fisco, dalla stretta sull’Iva a Equitalia”. Eh, sì, perbacco scompare Equitalia, solo che manca la parte che conta della storia: è un riordino funzionale e non spariscono le cartelle esattoriali, tanto che il recupero dei soldi per le coperture della manovra dovrebbe arrivare da un inasprimento della lotta all’evasione. Come si fa? Con l’accertamento e l’ingiunzione di pagamento. E’ questa la riforma fiscale? No, ma sono dettagli. Repubblica ha il colpo finale della manovra, Dio, patria e famiglia: “Spunta il bonus mamma-domani”. Soldi, anche senza figli. D’altronde, siamo nell’era del virtuale e tutto è possibile. Il bonus senza i figli è in linea con una manovra che spende senza i soldi. Chi paga? Perbacco, il prossimo. Buona giornata.
***
Debito pubblico in calo ma... Secondo i dati rilevati da Bankitalia in agosto il debito pubblico è sceso a quota 2.224,7 miliardi, inferiore di 30,9 mld rispetto a luglio: 2.255,6 mld. Tenete lo champagne in frigo: nei primi otto mesi dell’anno il debito è salito di 52 miliardi.
La truffa carosello sull’Iva fa il giro del mondo. Sulla rivista specializzata TaxNotes (paywall e free trial) c’è un approfondimento sulla frode da 130 milioni di euro sull’Iva. In questo settore gli italiani sono decisamente imbattibili.
Verifiche fiscali all’italiana. Titolo sul Gazzettino: “Direttore delle Entrate condannato a pagare oltre 600 mila”.
Scusate il ritardo. Altra storia da incorniciare sul Gazzettino: “Ragazzo del 99, sì alla pensione. Ma lui è scomparso da 43 anni”. Dalla pensione anticipata alla pensione alla memoria.
La nuova guerra fredda e l’Italia. Il titolo più interessante del giorno è indubbiamente quello della Stampa: “Il segretario Nato: “Soldati italiani al confine russo”. L’ultima spedizione dei soldati italiani in Russia fu una tragedia, ma andiamo oltre. E’ il sommario quello che provoca deliziosi pensieri strategici e storici: “Parla Stoltenberg: Mosca non avrà un’altra Yalta”. Al segretario generale della Nato vanno somministrati con urgenza un calmante un libro di storia. Che cosa è Yalta? Questo:
4 febbraio 1945: Winston Churchill, Franklin Delano Roosevelt e il maresciallo Josif Stalin mettono nero su bianco il nuovo ordine dopo la Seconda guerra mondiale. Regno Unito, Stati Uniti e Russia. La storia fu scritta dalle nazioni vincitrici. Churchill odiava Stalin, lo considerava un pericolo per l’Occidente. Roosevelt non si fidava ma intratteneva con Stalin una sorprendente relazione cosparsa di fascino. E si capisce il perché, il presidente americano tra i tre statisti era quello che stava accomodato sul “catbird seat”, stava fuoricampo rispetto alle preoccupazioni imperiali di Churchill. Stalin ebbe Yalta non per un caso della storia, ma perché respinse l’avanzata di Hitler a Est e condusse l’offensiva su quel quadrante fino alla presa di Berlino. Il libro di storia per Stoltenberg è questo: The Second World War, di John Keegan.
Furono Napoleone e Hitler a sperimentare la resistenza della Russia. La Seconda guerra mondiale costò all’Unione Sovietica oltre venti milioni di morti. Gli unici “stranieri” a dominarla per duecento anni furono i mongoli di Gengis Khan. Gente che sapeva andare a cavallo. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, è un norvegese. La storia è maestra di vita.
Come vanno le cose in America? E’ in corso una competizione tra la storia e i sondaggi. Trump sembra destinato alla sconfitta cocente, alcuni amici di Washington dicono al titolare di List che le cose sono decisamente più complicate, lo scetticismo del titolare resta ma, improvvisamente, ecco apparire ieri un report di Rasmussen: Trump è in testa di due punti, 43 a 41. Possibile? I dettagli in cui si annida il diavolo non mancano: l’intensità degli scandali che vengono cosparsi sul capo di Trump si spiegano solo in presenza di un candidato considerato ancora temibile. Altri segnali: secondo il sondaggio Nbc/Wall Street Journal dell’altro ieri in North Carolina Clinton è in testa (45 a 41) ma in Ohio Trump è di nuovo in vantaggio di un punto (42 a 41). Cosa sta succedendo? Siamo in presenza della vasca con i pesci rossi che bolle. Hillary conduce la corsa e sembra destinata a vincere, ma tra le righe del reportage sulla campagna dei Clinton scritto da Mark Leibovich qualche giorno fa per il New York Times Magazine, emerge una sottile inquietudine: “E se perdi?”. Risposta secca, ma sottovoce: “No, io non perdo”. Le cose più interessanti – e dure – su Trump continuano ad essere pubblicate sulle riviste di fede conservatrice. Sulle pagine di The Weekly Standard “the race is over”, la corsa è finita e i repubblicani devono pensare al dopo Trump. Forse.
Brexit, caccia al passaporto irlandese. I prezzi salgono, la sterlina cola a picco, Theresa May è nei guai e gli inglesi vanno a caccia di un passaporto irlandese. Sono già 37 mila quelli che hanno chiesto un nuovo documento per restare in Europa.
Dylan, Fo e le pagine dei giornali italiani. Lo spazio delle prime pagine di molti giornali è stato divorato dal Nobel a Dylan e dalla morte del Nobel Dario Fo. L’impaginazione del combinato-disposto dà la sensazione inesorabile della notizia di ieri, già consumata, e di un eccesso di spazio tipografico del giorno dopo. Il New York Times, quotidiano non marginale nel panorama degli Stati Uniti – patria di Dylan – fa questo scelta:
Si chiama equilibrio della composizione. E’ la differenza che passa tra un classico e uno scapigliato. Il primo resta, il secondo dura lo spazio di una stagione.
Dario Fu. E’ il titolo del Giornale.
Ma Dylan è letteratura? Se lo chiede il Wall Street Journal in un ottimo articolo nella sezione Arts & Enterntainment. La conclusione è controversa. Il titolare di List ricorda anche in questo caso i classici: Omero e Saffo componevano versi destinati all’accompagnamento musicale. Rigiriamo la frittata contemporanea: Omero e Saffo sono musica?
14 ottobre. Inizia nel 1963 la crisi dei missili a Cuba. Stati Uniti e Russia sfiorano il conflitto totale. I tredici giorni più pericolosi nella storia dell’umanità.
Il Foglio sportivo - in corpore sano