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Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi

Quanto sta succedendo in Regno Unito, America e Italia svela la crisi della democrazia

Mario Sechi
Brexit, referendum italiano e corsa alla Casa Bianca hanno intrecciato il calendario e formato una colata lavica di straordinaria grandezza, destinata a plasmare il territorio dell’Occidente in una nuova forma.
    San Carlo Borromeo, vescovo.

     

    Titoli. Due referendum e un’elezione presidenziale si incrociano e svelano la crisi della democrazia, il cortocircuito della contemporaneità, le sue strade impervie e le sue possibili vie di fuga. Brexit, referendum italiano e corsa alla Casa Bianca hanno intrecciato il calendario e formato una colata lavica di straordinaria grandezza, destinata a plasmare il territorio dell’Occidente in una nuova forma. Inglesi, italiani e americani sono davanti a una sfida enorme. I sudditi di Sua Maestà la Regina hanno scoperto che il crown power di cui si vestiva il governo è di forza inferiore a quella del parlamento; gli italiani sono chiamati a cambiare o confermare il testo della loro Costituzione e non a decidere sul destino di un premier; gli americani sono di fronte all’elezione più controversa dell’era moderna, con due candidati al di sotto delle aspettative e uno al di sopra di ogni eccezione. Theresa May e il popolo dell’isola d’Inghilterra, Matteo Renzi e quel volgo disperso che (forse) nome non ha (Adelchi, Alessandro Manzoni); Hillary Clinton e Donald Trump nel paese della libertà, della frontiera, della Bibbia e della Colt.

     

    I titoli dei giornali seguono il percorso del magma, il ribollire della democrazia, il disperato tentativo di trovare un equilibrio tra ethos, logos e pathos. Primo caffè, Corriere della Sera: “La Brexit frenata dai giudici”. Titoletto sotto l’apertura: “Italicum, l’offerta di Renzi: eliminiamo il ballottaggio”. Richiamo sotto la testata: “La partita di Trump. L’arma Melania in Pennsylvania”. Tre fatti, un solo filo conduttore: la politica in movimento e i sussulti della democrazia formale. Cosa fa Repubblica? Ecco l’impaginato in progress: “Brexit, sentenza a sorpresa. Il Parlamento dovrà votarla”. E il caso italiano? Spunta qui: “Il Quirinale: Referendum, no all’ipotesi del rinvio”. E’ così? Forse no, almeno a leggere La Stampa: “Referendum, Berlusconi tratta il rinvio con Renzi. Ma l’intesa non c’è ancora”. Allora trattano… ma Mattarella chiude (o aprirà?). Eccola, la democrazia italiana che si dibatte tra il fatto e il da farsi, il presente e l’avvenire, la prova di forza e la tentazione del compromesso. Carlino-Nazione-Giorno non lasciano dubbi: “Referendum, la data resta”. Democrazia? Popolo? No boys, perché “Un voto può cancellare la Brexit” (Il Messaggero) e allora l’esercizio del potere diretto (il referendum) va in collisione con quello dell’organo sovrano (il parlamento). “Vogliono rovesciare il voto degli inglesi” (La Verità). Alto tradimento? Libero: “Fucilata alla Brexit”. Lo scettro della delega e il forcone del popolo. C’era una volta la democrazia e c’è ancora, solo che i referendum hanno messo a nudo il Re (l’oligarchia necessaria) che non riesce più a parlare con il popolo, è la distanza tra l’establishment e la massa informe che ha vita propria descritta da Elias Canetti in Massa e Potere, il segno della distanza da colmare: “L'uomo sazio si imbatte senza alcuna emozione negli affamati”.

     

     

    La battaglia in America. L’acuto della crisi ci sarà l’8 novembre negli Stati Uniti, comunque vadano le elezioni. Mancano quattro giorni, Hillary Clinton e Donald Trump stanno sparando gli ultimi colpi negli stati-chiave. The Donald sta macinando il vantaggio di Hillary e ci sono segni di cedimento nel muro (firewall) della candidata democratica. Tutti a battersi per il North Carolina che potrebbe assegnare i voti decisivi. Trump sembra capace di conquistare Ohio e Florida, Clinton deve mantenere il controllo in Michigan, Pennsylvania e Colorado, ma siamo nel campo delle variabili senza controllo, nella terra incognita di quelli che Michael Moore ha chiamato “Brexit states” (Michigan, Ohio, Pennsylvania, and Wisconsin) e giustamente il Boston Globe ricorda che a questo punto tutto è possibile, anche la vittoria di Trump. E poi c’è la Virginia, che oscilla tra il rosso e il blu. Hillary è ancora favorita, ma perde terreno. Il confronto tra la sua corsa e quella di Obama nel 2012 è impietoso, la candidata democratica non riesce a mobilitare gli elettori, il turnout degli afro-americani è basso rispetto a Obama, quello degli ispanici è più alto, Hillary ha il consenso nei collegi con un’educazione alta, ma potrebbe non essere sufficiente perché il suo vantaggio è risicato e poi Trump fa Trump, cioè batte il tamburo del suo popolo che improvvisamente sembra aver trovato un’identità: the deplorables, i miserabili. VIDEO

     

     

    Fu quando Hillary apostrofò così (deplorables, miserabili) gli elettori di Trump che quel movimento informe realizzò di essere una forza. E’ stato il più grave errore della campagna elettorale, perché ha contribuito in maniera decisiva a creare un immaginario possibile per gli elettori di The Donald. E ora? C’è lo scandalo delle email della Clinton a dare il tocco finale. La Cbs ieri ha confermato che nel computer di Anthony Weiner (marito di Huma Abedin, collaboratrice di Hillary, indagato dall’Fbi per aver fatto sexting con una quindicenne) sarebbero stati trovati nuovi messaggi provenienti dal Dipartimento di Stato. Nuovi. E’ questa la parola chiave che potrebbe aprire un capitolo giudiziario ad alto voltaggio per la Clinton. Vince? E’ un presidente a rischio impeachment. Preparatevi, popcorn time.

     

    La battaglia in Inghilterra. Theresa May prepara l’appello contro la decisione dell’Alta Corte e cerca di arginare la rivolta dei Brexiters. Establishment contro popolo. Siamo al testa-coda della democrazia inglese, un copione innescato da David Cameron ma con una chiusura imprevista: l’uscita dall’Unione europea. Tutto quello che è seguito è il regno dell’incertezza: le dimissioni di Cameron, l’arrivo di May, hard o soft Brexit? lo scontro per la leadership Ukip, il disastro di Corbyn, la ritirata (e il ritorno) di Boris Johnson, la Scozia in virata secca, l’Irlanda inquieta, le zone rurali senza più aiuti europei, la sterlina a picco, la Borsa su, la City nel panico, le banche in fase fagotto. Un disastro o forse un’opportunità.

     

    La battaglia nel Belpaese. E in Italia? C’è il referendum e nessuno sa come andrà a finire. Nei sondaggi c’è il vantaggio del No, ma chi si fida più dei sondaggi? (memento Brexit). E allora bisogna dare un’occhiata ai mercati. Le borse europee vanno male in attesa del voto negli Stati Uniti, ma su quella di Milano pesano sempre i conti dei titoli bancari e le incertezze su Mps. Cosa c’entra tutto questo con il referendum? Se vince il No, casca il governo. Fate voi i conti dell’instabilità. I mercati ci guardano. Non ci credete? Ecco un paio di grafici sullo stato dell’Italia pubblicati oggi dal Daily Shot del Wall Street Journal:

     

     

    Serve altro? I mercati osservano i dati fondamentali dell’economia, li incrociano con il quadro politico e fanno la sintesi negli indici di borsa e nello spread tra Btp e Bund. I partiti discutono di un rinvio del voto, di legge elettorale, fanno piccoli calcoli politici, ma non guardano questi numeri. Sono l’unica cosa che conta.

     

    4 novembre. Nel 1980 il candidato repubblicano Ronald Reagan sconfigge il candidato democratico Jimmy Carter e diventa presidente degli Stati Uniti. Un attore di Hollywood, sembrava impossibile.