Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi
Election Day: Clinton ancora in testa, ma Trump è dietro l'angolo
Santi Quattro Coronati, Claudio, Nicostrato, Simproniano e Castorio.
Il giorno del giudizio. Hanno sparato le ultime cartucce. Sulla polverosa strada del West ci sono loro, Clinton e Trump. Nel cinturone è rimasta la pallottola d’argento, quella del voto. Oggi si decidono i destini dell’America. Ultimi sondaggi: Clinton ancora in testa, ma Trump dietro l’angolo, vestito da imbianchino, cappello “Make America Great Again”, un pennello e un secchio di vernice in mano, The Donald vuole dipingere di rosso uno stato blu. Secondi alcuni gliene basta uno, solo uno, per mandare a carte quarantotto la vittoria di Hillary e scrivere una nuova pagina nella storia. Hillary o The Donald? C’è un nuovo capitolo da scrivere nel libro The Presidents.
E’ il giorno del giudizio, titola Fox News, dopo la mezzanotte i seggi hanno aperto, ci sono perfino alcuni risultati che saettano come libellule, numeri della minuscola America senza grattacieli, quella che si srotola in immense distese di mais e di grano, scollina verso strade senza cartelli, ingioiellata di silenzio infinito: Clinton ha vinto a Dixville Notch, Trump prende il piatto a Millsfield, Coos County, stato del New Hampshire. Ventitrè abitanti censiti nel 2010, una sola strada che collega a Erving’s, un solo abitante, bianco, nel 2010, oggi zero. Questa è l’America. Un paese che non finisce mai di stupire, di creare, di distruggere, di andare alla frontiera per vedere che cosa c’è là, in quel posto lontano dove nessuno si vuole avventurare. Lo faranno anche con Trump? Il Washington Post scrive che il suo “ground game” è più grande di quello che si immagini. Forse sì, ma la macchina elettorale di Hillary Clinton è un caterpillar, la massa vista a Philadelphia nella chiusura della corsa con Obama era impressionante. Certo, quella è casa, e il mondo là fuori in realtà è pulviscolare, inafferrabile. Guardate queste due mappe, lanciate ieri su Twitter dalla Bbc, in rosso i repubblicani, in blu i democratici. La prima è divisa per stati, la seconda per contee:
Non sono due Americhe, è un solo paese con mille sfaccettature, un grado di complessità e varietà senza pari. Qualche giorno fa un amico di Washington faceva al telefono questa considerazione con il titolare di List: “Gli americani alla nascita sono tutti repubblicani, poi alcuni vanno in città e diventano democratici”. L’evoluzionismo urbano, la forza delle zone rurali. Hillary ha tutto quello che serve per vincere: vagonate di soldi, i media, Wall Street, immaginario in progress, una flotta di social da combattimento. The Donald è l’imprevisto della storia, il tipo americano che dal 2008 corre sulla pianura come un Forrest Gump, è la mefamorfosi di Sarah Palin con il fucile da caccia, Joe the plumber che sale e scende dalla Trump Tower, Mike Huckabee che ieri ricordava una cosa sfuggita di mano (e di testa) al sistema dell’informazione a una dimensione: “Possono piovere anche 16 millimetri di pioggia, gli elettori di Trump andranno a votare a nuoto”. Rudy Giuliani ieri a Scranton, in Pennsylvania, suonava il tamburo di guerra: “Trump non è uno che si tira indietro”. E vai con l’ultimo slogan, drain the swamp, prosciuga la palude (Washington). Che finale: Hillary negli stati rossi, The Donald negli stati blu. Entrambi a bussare in casa del nemico, per strappare anche l’ultimo voto e stanotte stappare la bottiglia della vittoria. Una battaglia a colpi di jet e tweet, comizi e dirette tv, battute e sguardi silenti e pieni di speranza. Philadelphia è lo spettacolo dei democratici, palcoscenico dell’immaginario Hillary con le rock star, Hillary con gli amici, Hillary con Obama e Michelle, Hillary e le ballate di Bruce Springsteen. Ce la farà? In questa campagna elettorale c’è già un vincitore, comunque vada, è lui, The Donald: ha spezzato come un biscotto il partito repubblicano, sfarinato il Grand Old Party, è diventato senza volerlo davvero (almeno all’inizio) quello che Charles Krauthammer ha definito il broken power e leader di fatto del partito. Perde? Farà una lunga e piacevole vacanza (Trump dixit), poi torna e ridisegna i connotati del partito. Vince? E’ la rivoluzione che viene dalla pianura senza limiti. Ma questa è un’altra storia e vedremo tra qualche ora se Trump ha i voti per scriverla. Ai blocchi di partenza, Hillary ha un vantaggio di qualche metro, è lei che guida, è lei che deve vincere, è lei che non può perdere. That’s America.
Se la Germania frena… siamo tutti nei guai. Bisognerebbe spiegarlo a quelli che c’è il diavolo a Berlino ma in effetti è tempo perso. Per quelli che invece guardano i numeri e uniscono i puntini, ecco il dato della produzione industriale nel mese di settembre: calo dell'1,8 per cento mensile destagionalizzato, gli analisti si aspettavano un meno 0,4 per cento. Che succede? Ci sono segnali crescenti di raffreddamento dell’economia, solo che se fa freddo a Berlino, noi ci congeliamo.
In Francia Sarkozy ricomincia da casa. Nel suo bastione di Neuilly l’ex presidente Nicholas Sarkozy sta affilando i coltelli per le elezioni presidenziali del 2017. Che maggioranza avrà la Francia nel 2017? C’è una sola certezza, il doppio turno, ma chi ci andrà è un mistero, visto il neo-tripolarismo francese, la crisi dei socialisti e i numeri del Front National. La destra di Sarkozy può farcela? Le Figaro riporta questa frase del senatore Roger Karoutchi: “Amate Sarkozy? Votate Sarkozy. Non amate Sarkozy ma amate la Francia? Votate Sarkozy”.
L’Iran e la politica del tubo. Total e China National Petroleum stanno per firmare un accordo per espandere l’estrazione di gas nel giacimento di South Pars. Il colosso francese torna in Iran dopo sei anni, il contratto vale due miliardi di dollari. La Cina conferma la sua espansione geopolitica e non è più una novità, semmai una certezza, è Pechino (non Mosca) il vero contendente degli Stati Uniti nell’egemonia mondiale. L’Iran ha un piano per attrarre 200 miliardi di dollari di investimenti nel settore dell’Oil & Gas.
8 novembre. Nel 1864 Abramo Lincoln batte George McClellan e viene rieletto alla Casa Bianca.
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