Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi
Chi mette mano al portafogli nel Pd in caso di scissione?
Ecco quanto costa, numeri alla mano, una spaccatura tra renziani e minoranza. A Roma i tassisti continuano la guerra contro l'uberizzazione che in Italia rischia di restare solo una favola
Santa Giuliana Nicodemia.
La scissione quanto costa? Niente! Direbbe l’ingenuo. Ma qualcosa in realtà da una parte e dall’altra succede. Chi se ne va deve scucire i soldi per i costi d’avviamento della nuova impresa, chi resta ha una parte dei ricavi che va in fumo e costi fissi non comprimibili. Prendete il bilancio del Pd del 2015. Alla voce proventi della gestione caratteristica ci sono 22.287.817 di euro. Da dove vengono? Quote associative, rimborsi per le spese elettorali, il 2 per mille dell’Irpef, contribuzioni da persone fisiche. Se arriva la scissione, un pezzo di quei proventi va dall’altra parte, è chiaro. I costi di struttura – i debiti, le attività varie sempre più eventuali (l’Unità) - restano tutti in capo al vecchio partito. Gli scissionisti devono far partire la loro impresa, ma contano su una fetta degli introiti del condominio politico che hanno lasciato e proiettano in banca (la scontano) la percentuale di cui sono accreditati dai sondaggisti in caso di elezioni politiche (ormai alle porte). Poi c’è l’eredità e quella è una storia matrimoniale e patrimoniale con molti zeri (stime tra i 500 milioni e il miliardo di euro). Ugo Sposetti, saggiamente, conferì il patrimonio dell’ex Pci a una serie di fondazioni. Fu previdente, visto quello che sta accadendo.
Torniamo ai numeri del Pd: non rappresentano il peso politico reale del partito che guida il governo che può contare su una serie di “economie esterne” non contabilizzate (immaginate solo i passaggi televisivi e imputate un valore di mercato all’advertising indiretto), ma rendono bene l’idea di cosa significhi mettere in piedi una start-up politica. Come sono ripartiti i ricavi del Pd? Sempre numeri dal bilancio 2015: l’incasso maggiore viene dai rimborsi elettorali (quasi 7,4 milioni di euro), dal 2 per mille (5,3 milioni di euro) e dalle contribuzioni private (9,1 milioni di euro). Il Pd nazionale può contare sul lavoro e le disponibilità delle sedi nel territorio, ma i tempi del vecchio Pci sono finiti da un pezzo, in molte aree del paese oggi i democratici dal punto di vista organizzativo sono un ectoplasma.
Visti i numeri della casa madre, possiamo provare a ipotizzare il “business plan”. Senza esagerare, servono una decina di milioni di euro per sostenere una struttura di funzionamento in grado di competere. Elezioni anticipate, come si finanziano? Gli scissionisti dovranno trovare risorse per finanziare una campagna di comunicazione piccola e contemporanea: soprattutto digital campaign e radio, molta attività sul territorio, un po’ di televisione ma con un target preciso. Stampa quotidiana? Costa troppo e ha un’efficacia limitatissima. Investimento totale? Circa 5 milioni di euro per una campagna di comunicazione, in ogni caso piccola, che deve far leva sul volontariato (e i contributi) dei militanti e soprattutto dei candidati. Impossibile? No, tutto realizzabile, perché i sondaggi danno un risultato potenziale degli scissionisti vicino all’8 per cento. In un quadro politico guidato dal proporzionale, sono voti che pesano, contano, pronti all’incasso anticipato in banca. In bocca al lupo e avanti un altro (partito).
L’uberizzazione che non c’è. La metafora della disintermediazione non è applicabile al paese e alla politica. Quello che sta succedendo da ieri sera a Roma con i taxi è il chiaro segnale del regresso. Sono in sciopero e la capitale è appiedata. Perché? Una norma inserita nel "Milleproroghe" favorirebbe Uber e i conducenti a noleggio. Tecnicamente, siamo al rinvio di un anno per l’emanazione di una norma che dovrebbe impedire "l'esercizio abusivo dei taxi e quelle di noleggio con conducente", si elimina la "territorialità" delle auto a "noleggio con conducente", uno dei punti più controversi nella gestione del servizio di autotrasporto a Roma. La protesta si è allargata ad altre città e la parola “protezionismo” è comparsa subito nel dibattito. Chi difende i taxi? La destra e il Movimento 5 stelle. E’ dai tempi delle liberalizzazioni di Bersani che la partita con i tassisti non è mai stata risolta. Nel vuoto stradale, ci sono i voti.
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