La preoccupazione dei mercati è Grillo
Gli esiti elettorali sono imprevedibili e la facilità con cui gli italiani si disfano dei loro cari leader non ha eguali nel mondo. Perché alle elezioni il vincitore rischia di essere il M5s
San Cono
Cosa preoccupa i mercati? Questo.
Il titolare di List è da un bel po’ di tempo che lascia sul taccuino note che hanno la spia rossa accesa: il centro del maelstrom è l’Italia. Gli esiti elettorali sono imprevedibili e la facilità con cui gli italiani si disfano dei loro cari leader non ha eguali nel mondo. Oggi in alto, domani in basso, qualche volta appeso a testa in giù. Matteo Renzi conquisterà il Partito democratico, ma se lo scenario non cambierà rapidamente (e in realtà può solo peggiorare, visti i numeri), l’ex segretario presto di nuovo segretario perderà le elezioni amministrative e anche quelle politiche perderà di nuovo la segreteria e il vincitore sarà il Movimento 5 stelle. Una forza no euro sarà il primo partito italiano proprio nel momento in cui la Banca centrale europea sta per dare una sforbiciata al programma di acquisto di titoli di Stato. E’ un incubo? E’ una realtà non aumentata, ma possibile, questo è lo scenario che cominciano a disegnare in sala trading, il resto è poesia. Il Wall Street Journal avvisa i naviganti: non all’Eliseo, ma a Palazzo Chigi sta ticchettando la bomba a orologeria per l’Europa. C’è anche altro, cose che i lettori di List conoscono bene perché il titolare le ha anticipate – per primo – molto tempo fa: un’alleanza sovranista tra Movimento 5 stelle e Lega Nord. Senza vincoli di coalizione, con una legge elettorale proporzionale e mani libere, questo esito non solo è possibile, ma probabile perché sarebbe il modo più semplice per far saltare il governo di larghe intese tra Renzi e Berlusconi.
Anche quelli di Politico balzano sopra la storia e questo basta a fare del tema un oggetto di chiacchiera brussellese. Naturalmente, i radar degli uffici studi delle banche sono tutti accesi: se l’Ufo di Grillo diventa troppo grosso, preparatevi a giocare a Space Invaders.
Brexit, ScotLeave e democrazia in Europa. Domani Theresa May premerà il pulsante della Brexit. Oggi il parlamento della Scozia vota per un secondo referendum di indipendenza. Succede tutto nel Regno Unito che appare decisamente più interessante (e democratico) di un’Europa dove il voto è bloccato da sistemi fatti per non rappresentare più la realtà. La Francia è spostata a destra, ma le elezioni probabilmente le vincerà un candidato, Emmanuel Macron, che non è né carne né pesce, è un contenitore che inforna e sforna il contenuto a seconda del momento. Dicono sia questo il riformismo, francamente sembra un patchwork di buoni propositi, un’amministrazione situazionista, ma non un disegno di governo, quel che si classifica come un pensiero. Non a caso, uno scrittore dotato di un radar da pipistrello, Michel Houellebecq, descrive lo scenario futuro della Francia con l’elezione di Macron come una “nevrosi”.
Ma chi vince in Francia? In testa c’è il partito della scheda bianca. Questo è il risultato di un sondaggio realizzato da Ifop per Synopia: il 40 per cento dei francesi per ora non sa chi votare e lascerebbe la scheda immacolata. Alle ultime elezioni la quota fu del 26 per cento. Nei rilevamenti quotidiani di Ifop l’astensione al primo turno è molto alta, ecco i numeri:
Nel primo turno ci sarebbe un testa a testa tra Macron e Le Pen:
E nel secondo turno Macron vincerebbe con un largo margine:
Andrà così? Qui il fattore affluenza e scheda bianca potrebbe innescare il sottosopra. Partiamo dal dato sulla certezza dell’elettore nello scegliere il suo candidato. Chi più elettori già fidelizzati? Marine Le Pen, occhio al grafico:
Su questa base, si comincia a zappare il terreno della partecipazione al voto e secondo Serge Galam, professore a Science Po, questo potrebbe portare Marine Le Pen a vincere la partita, a dispetto dei sondaggi che la vedono perdente nel secondo turno. Preparate la zuppa di cipolla, in Francia può succedere di tutto.
Iran-Russia: Rouhani a Mosca. Primo incontro tra Vladimir Putin e Hassan Rouhani. Chi aveva ancora bisogno di prove sulla relazione strategica tra Russia e Iran e sulla superiore capacità di Putin di tessere la tela geopolitica può accomodarsi sul divano e prendere nota. Sul taccuino del titolare di List c’è un ottimo pezzo di Al-Monitor sul significato della visita. Cinque punti:
- Prima volta che i due capi di stato si incontrano da soli;
- La visita solidifica il rapporto e conferma lo status dell’Iran come uno dei tre player della guerra (e della pace) in Siria, insieme a Russia e Turchia;
- Il rafforzamento dell’asse tra Mosca e Teheran è una forza d’attrazione ineludibile per la Turchia di Erdogan, in rotta con l’Occidente;
- L’Iran con questa visita si conferma pilastro della strategia della Russia per controbilanciare il dispiegamento della nuova strategia di Trump;
- La visita di Rohuani a Mosca avviene a poche settimane dalle nuove elezioni in Iran, fissate per il 19 maggio.
E gli Stati Uniti? L’amministrazione Trump fa i conti con lo scenario di disimpegno realizzato da Obama e i fallimenti di Hillary Clinton nelle guerre in Siria e in Libia (dove la Russia appoggia il generale Haftar, cioè l’unico vero esercito sul campo). Rex Tillerson domani sarà in Turchia, ma il Grande Gioco per Washington in queste condizioni è molto difficile. E’ la Russia ad avere i soldati sul campo, non il Pentagono. Putin è un abilissimo stratega e Trump deve imparare in fretta le regole. Ci sono parti del mondo dove gli Stati Uniti non comandano più.
28 marzo. Anno 845, orde vichinghe saccheggiano Parigi.
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