Dopo il dibattito con Le Pen è ancora Macron il favorito?
Il copione è sempre lo stesso il candidato che piace trionfa su quello che non piace. Ma la prudenza è una buona consigliera
San Floriano
La Francia votante. Trionfa? Il copione è sempre quello, la lezione non viene mai digerita fino in fondo: il candidato che piace alla gente che piace si presenta in tv, dice una serie di cose giuste e sbagliate, come il candidato che non piace della gente che non piace. La prestazione del candidato che piace non è esattamente come quella data da Alì contro Foreman (ring di Kinshasa, 30 ottobre 1974) ma la gente che piace e scrive sui giornali incorona il candidato che piace, egli dunque “trionfa”. Più o meno come Hillary che vinse tutti i dibattiti con Trump e poi conquistò la presidenza della California. Moderazione, prudenza, principio di precauzione, senso della realtà e sopravvivenza, proprio mai.
Dunque Macron ha trionfato con voto unanime nel dibattito televisivo di ieri sera e tutto quello che è rimasto sul taccuino del titolare di List si può archiviare alla voce “pensierini di un non allineato né a destra né a sinistra”. Il pur bravissimo Macron è stato talmente abile da finire in bambola sulla questione algerina, argomento non proprio trascurabile, in Francia. La bombastica Marine Le Pen si è attorcigliata sulla doppia circolazione della moneta, tema non del tutto secondario per un’euroscettica. Il fenomeno di En Marche! ha balbettato sulle sue non minime frequentazioni con il governo socialista quando era ministro dell’economia. La candidata che vuol remettre en ordre la France l’ha fatta facile con le espulsioni ai confini a forza di braccia dei doganieri. Il commento involontariamente comico all’esito del Grand Débat l’ha dato al Figaro il direttore dell’istituto democospico Ifop, Frédéric Dabi: “Macron ha vinto perché non ha perso”. Dunque, sulla base di questa analisi dura come un diamante, Emmanuel ha la strada spianata per il secondo turno.
Prudenza e fiducia. Andrà così? Macron resta esattamente quello che era fin dal primo turno delle elezioni presidenziali: il favorito. Ma la prudenza è una buona consigliera nel suo caso perché nonostante il vento in poppa de l’Union Sacrée il giovane ex ministro del governo Hollande è un esordiente (dunque non abbiamo dati storici di riferimento sul territorio) e resta un candidato che come titolava ieri le Monde ha tutta “la fragilità del favorito”. Il secondo turno è sempre un’altra storia. Può darsi che alla fine, domenica sera, Macron si dimostri di titanio, venga incoronato come l’uomo della storia, ma questo non lo sappiamo finché dall’urna non escono i voti. Stamattina le Figaro ha pubblicato un sondaggio che misura il grado di fiducia di Macron presso gli elettori e i numeri – sempre da leggere con beneficio d’inventario – dicono che Mélenchon è al primo posto (44%), Macron insegue a quota 41% ma è in una fase stagnante, Le Pen è quota 29 punti ma in progressione di 5 lunghezze. Cosa significa? Macron resta il superfavorito, ma le incertezze sulla sua tenuta in un secondo turno per ora non svaniscono. Potrebbero vincere, largo, stretto e perfino perdere. Tre palle, un soldo. Vero o falso in questo momento ha poca importanza.
L’euroconfusione di Marine. Il dibattito della Le Pen ha un solo vero – e grande - punto debole: non ha saputo spiegare cosa ne farà dell'Euro e sulla circolazione di una doppia moneta si è incartata. Non è un dettaglio, ma questo non significa che la sua prestazione nel dibattito sia stata quel disastro che i media dipingono con il ciclostile del giornalismo collettivo. Tutt’altro. Lei parlava al suo elettorato – sarebbe bene ricordare che siamo al secondo turno e vanno motivati gli elettori a andare alle urne – e cercava di far cadere a colpi d’ariete Macron (che ha vacillato, ma non è mai caduto). Il vero dilemma per Le Pen è come accoglieranno gli elettori francesi la sua strategia d’attacco. Un dibattito presidenziale di tal ruvidezza inedita, non è detto che riscuota la fiducia di un elettorato sensibile al richiamo della “forza tranquilla”, slogan della vincente campagna presidenziale di Francois Mitterrand del 1981. Quella frase breve, potente e addolcita, “forza tranquilla”, fu suggerita a Mitterrand dal pubblicitario Jacques Seguela. Non c’era niente di originale, tranne la geniale intuizione di utilizzare le parole usate dal socialista Léon Blum in un discorso del 1936. Il momento era quello giusto, il resto lo fece Mitterrand. Le Pen ieri sera non ha dato l’immagine di una “force tranquille”, voleva essere esattamente il contrario, una forza graffiante. I due mondi di Macron e Le Pen sono entrati in rotta di collisione fin dal primo minuto. Se Macron perde è distrutto ma vista la crisi della sinistra non è finito. Se Le Pen perde, altro giro altra corsa e altro tagliando tra quattro anni.
Patria e Europa. Il dibattito ha mostrato chiaramente che oggi Patria e Europa sono parole incompatibili della retorica politica. Non a caso nel dibattito Le Pen citava De Gaulle, mentre a un certo punto, nel finale, Macron ha evocato l'Illuminismo mettendo a nudo la sua reale origine di candidato nato nel laboratorio dell’establishment razionalista, egli è il prodotto di una tecnostruttura che ha varato una start-up politica in uno stato d’emergenza per la politica della Francia. Macron è la reazione chimica di uno stato di necessità. Come tutte le imprese, può nascere e morire in fretta, oppure avere successo e lunga vita.
Incognita e continuazione. Chiunque vinca, la Francia sarà ancora nei guai per lungo tempo. Le Pen è un'avventura in una terra incognita, alimenta ansie, incubi e sogni, Macron per ora sembra la continuazione riverniciata della nevrosi in cui è caduto il paese, è il sentiero che si (ri)conosce. La seconda scelta è la più facile, dunque la più probabile. E poi nell’anima dei francesi continuano a convivere il timore e l’attrazione per la Germania. Non a caso Le Pen fa una battuta micidiale, la più efficace del dibattito: “La Francia sarà guidata da una donna: me o la Merkel”. Achtung.
La vittima predestinata. Come in tutte le tragedie, c’è una vittima predestinata: l'Italia. Se Macron andrà all'Eliseo, rafforzerà l’asse con Berlino (Merkel o Schulz, la differenza non si vede), lasciando i polli italiani in attesa della volpe. In una Unione europea tutta da reinventare, l’Italia sarà il manzoniano vaso di coccio tra i vasi di ferro: troppo grande per fallire, troppo piccola per ruggire. Domenica sera si comincerà a scrivere questa storia.
La Francia volante. Air France Klm ha pubblicato i risultati del primo trimestre di quest’anno. La compagnia aerea franco-olandese ha aumentato il numero di passeggeri trasportati (20,9 milioni), ma perde 143 milioni di euro. Volare non è mai stato così facile e così difficile. I passeggeri sono in aumento in tutto il mondo, ma la concorrenza è fortissima. Solo una domanda: se un colosso come Air France perde soldi, come si può immaginare di salvare Alitalia che ha un mercato piccolo, è una compagnia che a oggi brucia due milioni di euro al giorno, e trasporta solo 23 milioni di passeggeri in un anno?
4 maggio. Nel 1814 Napoleone Bonaparte inizia il suo esilio a Portoferraio sull'Isola d'Elba.
Il Foglio sportivo - in corpore sano