Il grande romanzo (italiano) del caso Consip
Dodici punti per capire cosa c'è in gioco nella vicenda che vede coinvolti Matteo Renzi e il padre Tiziano
San Pasquale Baylon
Renziadi. La carta dominata dal caso Consip, dalla telefonata di Renzi al padre. I titoli sono là, non hanno bisogno di grandi letture cremlinologiche, eccoli nel rigoroso disordine di lettura odierno del vostro cronista. Repubblica: “Consip, scontro sulla telefonata tra Renzi e il padre”; La Stampa: “La madre fermò Renzi. Basta urlare con papà”; Corriere della Sera: “Renzi, il caso della telefonata”; Il Messaggero: “Caso Renzi, due procure nel mirino”; Il Giornale: “Renzi intercettato. Un depistaggio nell’indagine farsa”; Il Manifesto: “Guardie e padri”; Libero: “Maledetti babbi”; Il Fatto Quotidiano: “Renzi mente pure sulla telefonata al babbo, tace su Luca e ci diffama”; La Verità: “Intercettazioni distrutta dalla Procura. Prova che babbo Renzi sa molto su Consip”; Il Mattino: “Renzi, inchiesta sulla fuga di notizie”. Il registro linguistico va dal buro-giornalismo al dramma familiare, passando per il thriller politico e la cospirazione giudiziaria, fino al racconto de core della mamma che ferma il figlio in piena fase Cattivik. Il caso Renzi padre-figlio è una straordinaria lettura, la storia ha una enorme rilevanza su molti piani, proviamo a mettere in ordine i pezzi sulla scacchiera, ecco dieci punti che per il titolare di List sono il piano di gioco di oggi e di domani.
1. È l’eterno racconto del complesso di Edipo. Sia chiaro, Renzi-Edipo non vuole sopprimere il padre Laio-Tiziano per sposare la madre Laura-Giocasta, ma gli indizi sul tema freudiano ci sono tutti: Renzi fa una dura telefonata al padre, lo minaccia, incalza e prega (con sotto testo di non provare a dimenticarlo) di proteggere la madre.
2. È il romanzo italiano, è il rapporto tra padre e figlio che, in un paese destinato ad essere mammone, è quello sublime, delicato, gioioso e tragico di Pinocchio e Geppetto a cui il titolare di List ha dedicato un capitolo del suo libro “Tutte le volte che ce l’abbiamo fatta”: “In un paese di mammoni qual era già allora l’Italia, Collodi celebra l’amore di un falegname povero, un uomo semplice che scolpisce il legno, ha le mani consumate dal lavoro, la vita infreddolita e un disperato bisogno di calore umano. Solo uno stuntman della letteratura come Collodi poteva pensare di raccontare una fiaba dove non c’è la mamma, e di mettere in scena un San Giuseppe senza la Madonna in un posto dove la Mater è venerata in chiesa e temuta in casa”. Il caso Renzis, quella telefonata, rovescia i caratteri disegnati da Collodi: il figlio Matteo diventa un furente Geppetto, il padre Tiziano si trasforma in uno sfuggente Pinocchio. Che storia.
3. Sul piano narrativo è una grande trama, su quello giudiziario, si capisce poco ma anche moltissimo. L’intercettazione non è rilevante ai fini penali – magistratura dixit – ma nello stesso tempo lo è per dare una valutazione del funzionamento della macchina giudiziaria: un colabrodo. Con per soprammercato una strisciante guerra tra procure (Roma e Napoli) e una serie di potenziali manipolazioni del materiale investigativo sui quali sono in corso accertamenti. Notevole.
4. La pubblicazione dell’intercettazione paradossalmente gli dà una mano nel breve periodo: è il figlio che la mette giù dura con il padre, può interpretare sul palcoscenico il ruolo della vittima che in Italia ha una sua tradizione consolidata, può rilanciare le accuse, alimentare la macchina partisan del consenso sulla sua figura. Questo racconto di se stesso è appeso a una fragilità pericolosa: le vicende giudiziarie e il loro esito finale. In Italia i processi sono lunghi, le commissioni d’inchiesta fanno danni tragicomici e la contemporaneità consuma leadership velocemente, logora anche chi il potere ce l’ha.
5. Come abbiamo già scritto qui su List ieri, questa vicenda dimostra che lancette dell’orologio istituzionale dell’Italia sono ferme al 1992: il corto-circuito tra politica e giustizia non è mai stato riparato, le riforme costituzionali sono fallite due volte (2006-2016), venticinque anni dopo Mani Pulite, il paese ha una magistratura che occupa gli spazi vuoti lasciati dalla politica (pensate solo all’abnorme ruolo pubblico del magistrato Raffaele Cantone), non ha una legge elettorale, ha un solo partito rimasto in piedi tra quelli del Novecento (il Pd), un partito anti-sistema che è il più contemporaneo e anche il meno affidabile sul piano del governo (la prova di Roma è sotto gli occhi) e il terzo debito pubblico del mondo. È materiale radioattivo.
6. La figura di Matteo Renzi ha polarizzato l’attenzione di forze contrapposte. Non si tratta del solito scontro tra conservazione-progresso, ma di qualcos’altro. Renzi è contemporaneamente establishment e nuovo, è l’unica continuità possibile per il piccolo salotto italiano, ma anche un fattore di rottura di cui non si conosce il percorso. Renzi è un “cattivista” che sceglie in base alla logica di clan, costruisce di volta in volta war room volatili, la sua idea di clan viene prima di quella dell’amministrazione, è accelerato per sua natura. In un paese lento e dalle liturgie consolidate, è considerato un’opportunità e un pericolo.
7. In questo quadro, parenti (il padre Tiziano), amici (Luca Lotti) e strettissimi collaboratori (Maria Elena Boschi), diventano bersagli giudiziari per interposta persona.
8. La promiscuità dei ruoli e delle situazioni è tipica di un disorganizzatore del governo e organizzatore del consenso. Renzi è un eccezionale front-runner elettorale, ma finora non ha dimostrato grandi capacità di governo. Ha fiuto, una strategia di lotta politica durissima, nel caso Consip ha mostrato una tenuta rara. È un leader di partito-fazione, non è ancora uno statista e per diventare tale deve fare passaggi che non si sono visti: unire e non dividere, federare (il primo Berlusconi) e scegliere i collaboratori sulla base del meglio in campo e non del più vicino in casa.
9. In Italia le crisi di sistema vengono (ir)risolte di solito con l’arrivo di governi di emergenza, tecnici o semi-tecnici, soluzioni più o meno efficaci e alcune davvero pasticciate. La crisi del 1992 fu affrontata dai governi Amato e Ciampi, quella apertasi nel 2011 da Monti e poi da Letta e oggi da Gentiloni. Il governo Renzi in questa crisi è stato una parentesi che si è chiusa con una sconfitta politica nel referendum (come per Berlusconi nel 2006). Gli elementi persistenti (e scatenanti) di queste fasi sono principalmente due: crisi finanziaria – speculazione sulla lira nel 1992, decollo dello spread nel 2011, crisi bancaria nel 2016 – e avanzata giudiziaria (Mani Pulite nel 1992, caso Banca Etruria, caso Consip e altri).
10. La vera posta in gioco in questa fase è la presidenza del Consiglio. Anche in caso di vittoria del Pd, sarà Renzi il premier? Francamente, sembra un’operazione quasi impossibile. Renzi dovrà sciogliere questo nodo pubblicamente, è il nocciolo (incandescente) di tutta la vicenda che si sta squadernando davanti a noi.
11. Si sta avvicinando a passo di carica il momento in cui Sergio Mattarella fisserà un punto. Il presidente della Repubblica ha già fatto un’esternazione (purtroppo inutile finora) sull’urgenza della legge elettorale, ma la data delle elezioni si sta avvicinando. E il Quirinale sa che il governo Gentiloni non è affatto immune dallo tsunami mediatico-giudiziario. Occhio al Colle.
12. All’estero ci osservano con intensità crescente: i mercati sono calmi, ma non fermi. Abbiamo il terzo debito pubblico del mondo denominato in euro. Come diceva Gordon Gekko, il denaro non dorme mai. Gli Stati Uniti in Italia hanno sempre giocato un ruolo importante nelle vicende politiche (non furono semplici spettatori della crisi del 1992) e le difficoltà crescenti nell’amministrazione Trump sono un fattore non irrilevante. Nel periodo compreso tra il 2011 e il 2013 l’ambasciata americana a Roma pensava che il Movimento 5Stelle fosse degno di attenzione e potesse diventare forza di governo, Monti fu una soluzione per l’emergenza finanziaria, non per quella politica, due anni dopo l’amministrazione Obama e il clan dei Clinton spostarono il loro benevolo sguardo su Renzi, fu un grande investimento di fiducia. Ma oggi che diranno e cosa faranno gli americani? Si viaggia al buio, Trump balla la rumba delle spie a Washington e sta per sbarcare in Italia.
Rap elettorale. “Abbiamo il Rosatellum / non sarà un Verdinellum / siamo contro l’Italicum bis / superiamo il Consultellum / e torniamo al Mattarellum”.
17 maggio. Nel 2006 viene varato il Governo Prodi II, composto da 2 vicepremier, 24 ministri, 9 viceministri e 68 sottosegretari. Resta in carica per un anno, 11 mesi e 21 giorni. Divisioni a sinistra, ko.
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