Matteo Renzi (foto LaPresse)

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Consip e legge di bilancio: Renzi vuole andare al voto per non farsi logorare

Mario Sechi

Il quadro politico è destinato a peggiorare con l’avvicinarsi della manovra e con l’inchiesta che coinvolge il padre. Lenin si chiederebbe: che fare?

San Felice da Cantalice.

  

Renziadi. Tutto continua a ruotare intorno alla figura di Matteo Renzi. Il berlusconismo (e il suo anti-) come fenomeno di distrazione di massa è stato sostituito dal renzismo (e il suo anti-) in un vai e vieni circolare della storia italiana che alterna fasi (a)variabili di dieci e vent’anni. Quanti saranno quelli di Renzi? E’ una domanda che non trova risposta nella lettura dei giornali. I titoli stamattina sono ancora per lui – con la variante Trump – e oscillano tra la palude e il riscatto, la sconfitta imminente e la conquista lucente. Insomma, il solito guazzabuglio da rotativa inceppata nell’irrealtà che però mostra l’evoluzione (im)possibile della storia in un paio di finestre che si aprono e sbattono, come in un libro horror di Stephen King, dove le cose, gli oggetti si animano. In questa chiave, il titolo del Corriere della Sera ci dice che Renzi – come aveva fatto notare il titolare di List – vuole andare a votare per non farsi logorare: “Legge elettorale a giugno, Renzi ci prova”. E nella seconda riga: “Napolitano: ipocrisie sul caso intercettazioni”. La prima riga e la seconda sono il combinato-disposto dei problemi (e degli obiettivi reali) del segretario del Pd: il quadro politico è destinato a peggiorare con l’avvicinarsi della legge di bilancio (e un turno amministrativo a giugno dagli esiti incerti); l’inchiesta Consip è un vulcano dove girano verbali, brogliacci, lava, ceneri e lapilli sui quali Renzi non ha alcun controllo. Lenin si chiederebbe: che fare? Renzi, come Lenin, ha agevolato la scissione nel partito, ora lo controlla quasi tutto, non resta che votare per non farsi stritolare dai conti e dalle rivelazioni più o meno a orologeria. Naturalmente si fanno i conti elettorali senza l’oste (il presidente della Repubblica Sergio Mattarella) e gli altri avventori del locale fumante, primo fra tutti Berlusconi che vede nella mossa del Pd un tentativo di inciuciare con Salvini per farlo secco ai blocchi di partenza. Tattica. Mentre in Parlamento la legge elettorale bolle e rischia di scuocere (ma toh! “torna l’ipotesi elezioni in autunno”, Il Messaggero), là fuori si moltiplicano le teorie cospiratorie. Il testa-coda lessicale del giorno, rivelatore del clima subtropicale in cui abitano partitanti e giornalisti, è tra Il Fatto Quotidiano e Libero. Titolo del Fatto: “Vogliono imboscare tutto”. Titolo di Libero: “Affossano tutto”. Viene la tentazione di ordinare un bunker anti-nucleare via Amazon. Il primo titolo si riferisce all’inchiesta Consip, il secondo alle inchieste sulle crisi bancarie. Il mood è quello dell’inabissamento. L’orchestrina suona, Titanic. E vai col liscio. Il titolo de la Verità è degno de “I soliti ignoti” con tendenza factual: “Il denaro sotto la mattonella per papà Renzi. Nessuno lo cerca”. Caccia alla mattonella, dunque. Sarà liscia o ruvida? Repubblica ha il titolo su Napolitano e le intercettazioni, dice che tensione tra Renzi e Orlando (grande scoperta), dalla prima pagina della Stampa il caso Consip sparisce e si francobolla la legge elettorale che non c’è, mentre il giovedì s’annuncia radioso per le sorti del Paese con Marco Lillo (Il Fatto Quotidiano) che fa un’analisi politica da think tank con questa frase in diretta a Radio24: “Renzi è un cialtrone” e Michele Anzaldi che risponde: “Non si capisce cosa c'entri il giornalismo con le offese personali”. In effetti, non si capiscono un sacco di cose. O meglio, si capisce benissimo che siamo entrati nell’hyperloop che conduce a velocità spaziale alla fine della legislatura. Allacciate le cinture.

 

Trumpiadi. Donald Trump finisce sotto processo? Non si sa (e chi dice di saperlo prende le tremolanti sembianze di quelle sagome che dicevano “vince Hillary, sicuro”) ma quello che si sa è che trascinare il presidente in tribunale non sarà una passeggiata sotto il sole democratico. Primo: il memorandum di Comey c’è o non c’è? Il New York Times lo cita ma non ne ha copia, idem per gli altri outlet dell’informazione ciclostilata. La moltiplicazione del rumore non basta. Secondo, salterà fuori qualcos’altro? Sicuro, è un thriller a puntate, una guerra di spie, Trump ci è cascato per sua imperizia, incontinenza verbale, inesperienza e irruenza. Insomma, un elefante in un negozio di cristalleria. Terzo, Comey che dirà di fronte al Congresso? Trump gli ha ordinato di terminare l’inchiesta su Flynn? Bene, e perché non si è dimesso subito? La domanda non è un dettaglio, la pone anche il Wall Street Journal in un editoriale e dovrebbe consigliare un minimo di prudenza, perché è la chiave che manca per aprire la porta dell’Fbi:

  

 

La storia non è lineare come sembra, una cosa è sognare il colpo del ko contro l’usurpatore (che ha vinto le elezioni, altro dettaglio), un’altra è darlo (il colpo) senza rischiare di andare a vuoto e cadere sul ring tra le risate del pubblico. E poi c’è la storia, precedenti che sono istruttivi. Ne ricorda uno non proprio insignificante Andrew McCarthy sulla National Review Online: il 10 aprile del 2016 Barack Obama disse che Hillary Clinton aveva mancato di attenzione nel gestire le sue email quando era segretario di Stato, ma che “non aveva intenzione di danneggiare la sicurezza dello Stato”. Interessante. Che cosa è questa esternazione dell’allora presidente Obama? Un auspicio? Una speranza presidenziale? Un hope to see you again a chi? All’epoca Hillary Clinton era sotto inchiesta per il mail-gate e l’Fbi era diretta da James Comey. Com’è finita? Comey ha archiviato l’inchiesta. A ragionare come ragionano quelli che hanno le convulsioni quando sentono il nome di Trump, Obama in questo caso avrebbe usato tutto il peso della sua figura, cioè trafficato con la propria influenza, fatto sapere, sussurrato, suggerito a Comey. Non è quello che pensa il titolare di List, solo che i due pesi e due misure, il double standard, sarebbe meglio archiviarlo. Attendiamo l’impeachment. Forse.

 

E’ sempre Fbi. Chi indagherà sui presunti legami tra l’Amministrazione Trump e la Russia? L’ex direttore dell’Fbi Robert S. Muelller III. Un’ottima scelta.

  

Google Ai. Un nuovo servizio in cloud che dà accesso all’uso dell’intelligenza artificiale. Lo ha presentato il ceo di Google Sundar Pichai poche ore fa. Cosa è? Un nuovo chip che permette di lavorare nel campo della robotica, delle reti neurali, del riconoscimento vocale e delle immagini, delle traduzioni automatiche. Google non lo spedirà a casa, lo renderà disponibile agli sviluppatori di software attraverso un servizio in cloud. Data center. Là fuori il futuro galoppa in libertà, la politica sembra anni luce indietro.

 

18 maggio.  Nel 1804 Napoleone Bonaparte viene proclamato imperatore dal senato francese.

 

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