Fabrizio Viola attuale ad di Popolare di Vicenza (foto LaPresse)

Le banche venete rischiano il bail-in, di chi è la colpa?

Mario Sechi

La realtà è che si tratta di un dossier ancor più intricato di quello già penoso del Monte dei Paschi: ci sono perdite prevedibili e queste non possono essere coperte con i soldi dei contribuenti

Santa Maria Maddalena de’ Pazzi.

State Serenissimi. L’Italia è un paese davvero ricco di fantasia. Al secondo caffè di giornata, il titolare di List fa autoscontro con questo titolo sul Gazzettino: “L’Europa affonda le banche venete”. What? L’Europa? Al titolare sembrava che la questione di Popolare di Vicenza e Veneto Banca fosse una storia di prestiti da strapaese, un inciucio locale tra amministratori e soci di varia estrazione e soprattutto distrazione, il racconto dell’Italia del campanile tutta spritz, prosecco, politichetta, affarucoli e affaroni, ti voto e non ti voto, ti finanzio ma mi voti, prenda un’azione qui e le concediamo un maxiprestito qui, restituisca ma anche no, paghi ma con comodo, caspita non ha pagato, va tutto bene oddìo no… craaaaaaac! Insomma una storia dal caveau così aperto che tanti si sentivano investiti del dovere di prendere senza mai restituire, una gioiosa macchina brucia-casssa dove i notabili della vigna raccoglievano grappoli sempre ricchi mentre la banca diventava più povera. Oggi è colpa dell’Europa, eh sì, non lo sapevate? Popolare di Vicenza e Veneto Banca in questi anni sono state guidate da Angela Merkel. La realtà, come sempre, è onesta, puntuale, inesorabile: serve un miliardo di investimento privato su 6.4 miliardi totali per accedere al piano di salvataggio e evitare l’applicazione del bail-in. Chi ha visto i bilanci – pieni di crediti radioattivi – è scappato, volontari disposti a scucire i soldi cantando non se ne vedono. È colpa dell’Europa? O di una classe dirigente italiana che trova sempre il modo di mostrarsi inetta e rapace? Le banche venete rischiano il bail-in perché qualcuno le ha prosciugate e salvarle senza un minimo di trasparenza e certezza di cosa c’è davvero nel sottofondo dei bilanci potrebbe costare un bagno di sangue. Le due banche dovrebbero fondersi, lo Stato dovrebbe garantire il piano di salvataggio, ma qualche privato dovrebbe metterci dei soldi. Troppi dovrebbe tutti insieme. La realtà è che si tratta di un dossier ancor più intricato di quello già penoso del Monte dei Paschi: ci sono perdite prevedibili e queste non possono essere coperte con i soldi dei contribuenti. Ci sarà il bail-in? Può darsi, ma la soluzione last-minute (di solito ben pasticciata) in Italia è sempre dietro l’angolo, il testa-coda del socializziamo le perdite e privatizziamo gli utili ha radici solide. Avremo notizie in giornata, dopo il vertice tra il management delle banche e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Per il momento, tranquilli, c’è il delitto e abbiamo trovato il colpevole: è colpa dell’Europa, cribbio. Che facciamo? Andiamo da un’altra parte. Dove? In un luogo vicino e lontano: in Libia.

 

Alt, stazione Italistan. Fermi tutti, prima della tappa libica, c’è uno splendido aggiornamento dall’Italistan: il Tar ha bocciato le nomine dei cinque direttori stranieri dei più importanti musei italiani. Secondo il tribunale non potevano partecipare perché non sono cittadini italiani. Commento del ministro Dario Franceschini: non commento. Nota sul taccuino del titolare di List: è tutto inutile, non ce la possiamo fare. Ora possiamo andare in Libia.

 

Libia Felix. Come anticipato ieri dal Times di Londra, Salman Abedi, l’attentatore suicida di Manchester, è stato fabbricato in Libia. Tutto il plot della storia ha come base Tripoli e questo getta un’ombra sul passato e sul futuro. Vediamo il quadro:

  • La politica obamiana delle primavere arabe esce distrutta dall’osservazione dello scenario di rovine fumanti: la caduta di Gheddafi è stata una sciagura perché Washington, Londra e Parigi (Obama, Cameron e Sarkozy) non avevano un piano B, cioè lo straccio di un nation building per la Libia;
  • Lady Libia, Hillary Clinton, è il principale architetto di questo disastro politico. Non è un’opinione, sono fatti che hanno la prova documentale e la testimonianza diretta. Ascoltate questa inchiesta del titolare di List per Mix24, poi tirate una riga e fate la somma dei fatti. I protagonisti di questa storia sono quelli che danno ancora lezioni sul come si fa politica estera;
  • La Libia è uno stato fallito, nessuno controlla il territorio, non esistono confini, l’unica entità che funziona è la banca centrale (non ha mai smesso di distribuire denaro) e l’esercito del generale Haftar.

  

 

Il governo di Serraj è un ologramma onusiano, le cellule terroristiche pullulano, la Libia è una spettacolare Woodstock del terrorismo, la portaerei ideale per addestrare, indottrinare e lanciare in Europa terroristi di andata e ritorno.

  • Che fare? Bella domanda: oggi al vertice Nato si parlerà anche di questo. Si discute del futuro della Nato fin dal crollo del Muro di Berlino, poi nel 2001 arrivò al Qaeda e mandò in frantumi tutte le certezze della fortezza America. Anche qui, testimonianza diretta: il titolare di List ha partecipato dal 2001 a una serie di incontri, dibattiti e seminari di approfondimento in Europa e Stati Uniti sul futuro della Nato e il terrorismo. Vaste programme. Sedici anni dopo, stamattina, il segretario generale della Nato Jens Stoltemberg, alla vigilia del primo vertice con Donald Trump ha espresso la volontà “di creare un centro di intelligence sul terrorismo alla Nato per migliorare la condivisione delle informazioni, anche sui foreign fighters”. Siamo ancora a questo punto.
  • A proposito di scambio di informazioni e intelligence: la polizia inglese ha deciso di sospendere la collaborazione con gli Stati Uniti a causa delle continue fughe di notizie che rischiano di danneggiare le indagini. I leak sono il vero problema dell’apparato di sicurezza e informazione dell’America. Ne sa qualcosa Trump. 

Libia e terrorismo: The Lion’s Game. È sulla rotta Londra-Tripoli che si individua la linea rossa dell’attentato alla Manchester Arena. Salman Abedi – e tutta la sua famiglia - era un giovane terrorista che cercava vendetta. Per cosa? La storia dei rapporti tra Libia e Regno Unito è travagliata, ma la risposta si può trovare tra le pagine di un libro, un lavoro di fiction, una storia raccontata da un maestro del thriller poliziesco, Nelson De Mille. In un suo libro intitolato The Lion’s Game, c’è la storia ad alta tensione di un terrorista libico che arriva negli Stati Uniti per cercare vendetta dopo i bombardamenti dell’era Reagan contro Gheddafi. È un bellissimo libro, uscì nel 2000, ed è sempre una sorpresa scoprire la letteratura riesca sempre ad anticipare la realtà. Tutto il puzzle del presente e del futuro è già scritto.

 

Petrolio, vertice Opec. Oggi a Vienna i Paesi membri dell'Opec e la Russia prenderanno una decisione (ma anche no) per riequilibrare il prezzo del petrolio.

 


 

25 maggio. Nel 1973 Mike Oldfield pubblica l’album musicale Tubular Bells, un capolavoro. Non ricordate cos’è? Allora non avete mai visto l’Esorcista.