Morti e risorti all'ombra della legge elettorale
Con il tedesco la competizione si riduce a quattro forze: Pd, Movimento 5Stelle, Forza Italia e Lega. Poi ci sono i cespugli. Il risultato sembra essere l’ingovernabilità
San Gavino.
Morti e risorti. La politica italiana è come la Pasqua, una questione di morte e resurrezione, lutto e gioia, sparizione e riapparizione, mistero e miracolo. La legge elettorale è il potente fluido capace di tutto, a quanto pare. Così la lettura dei giornali del titolare di List stamattina s’è divisa tra il cimitero e il reparto di natalità. Ecco la sfogliata che chiarisce tutto. Libero, titolo d’apertura: “Che miracolo, resuscita Silvio”, seguito dal titolo di taglio: “E invece Fini rimuore”. Siamo nel campo variopinto della destra che si racconta in contrappassi micidiali. Apertura del Giornale: “Fini rischia la galera. Alfano rischia l’estinzione”. Erano i delfini. Non avevano calcolato la (non) sorprendente longue durée dello squalo. In questa partita a destra c’è ancora la maggioranza dell’elettorato italiano, quello che sta alla finestra e attende di capire quali saranno gli schieramenti in campo. Da qualche giorno, è lampante il disegno: si va al voto con un tedeschellum che di teutonico non avrà neanche il nome, un proporzionale corretto - all’italiana- con sbarramento per decimare i piccoli partiti. La competizione de facto si riduce a quattro: Pd, Movimento 5Stelle, Forza Italia e Lega. Poi ci sono i cespuglianti vari in cerca d’autore (voti): Alfano, che ieri è tornato sulla terra (“Renzi è un killer), i sinistrati vari (dalemiani, altermondisti già vendoliani, pisapisti di ultima generazione, etc.), il gruppetto romanocentrico della Meloni, sigle varie con zero o scarso peso politico nel paese e qualche onorevole in Parlamento. Questi nani da giardino dovranno provare a aggregarsi oppure arrendersi e scomparire. Il risultato del papokkien elettorale sembra essere l’ingovernabilità, l’esito finale quello dell’inciucien. Questo è il sondaggio di ieri realizzato da Emg Aqua per La7:
È tutto chiaro, tre soggetti in campo che più o meno si equivalgono corrono verso le elezioni anticipate in autunno: il Movimento 5Stelle è un po’ più avanti, il Pd segue vicino e la galassia esplosa del centrodestra è distaccata ma… se usiamo il pallottoliere e uniamo le sigle, quest’ultima tocca quota 30,5 per cento. Il problema è che in politica 2+2 non fa mai quattro, può fare 5 o 3, e dunque si va disuniti alla meta e poi con le mani libere si vedrà il da farsi. In questo scenario, se il partito di Grillo taglia il traguardo per primo, avrà l’incarico (esplorativo) di formare un governo. Tuttavia le percentuali non è detto che corrispondano ai seggi, bisogna vedere con che metodo si assegnano i posti in Parlamento, il sistema tedesco ha una certa asimmetria e un numero di deputati variabile, dà peso al rapporto tra elettore e eletto, quello italiano ha un numero fisso di parlamentari e la divisione dei pani e dei pesci è ancora da farsi nell’alto mare di Montecitorio e Palazzo Madama. È una situazione più che liquida, basta un surriscaldamento di uno dei partitanti e si entra nella fase di evaporazione. Ecco perché la Borsa ieri (e oggi) ha messo a girare sul piatto il vinile della sigla di Profondo Rosso: la crisi italiana ha un finale (im)probabile e va a braccetto con il terzo debito pubblico del mondo denominato in euro, una situazione da film horror nei caveau di non poche banche e una legge di stabilità da 20 miliardi di cui nessuno vuole assumersi la paternità, tanto che si immagina lo spezzatino, (pen)ultimo ritrovato della finanza creativa italiana: lo spezzatino, la manovra a rate. Al titolare di List viene in mente il film La Cambiale e un passaggio in cui Antonio Posalaquaglia (Totò) afferma: “Siccome sono democratico, comando io”. Correva l’anno 1959, la metamorfosi contemporanea è che non comanda nessuno.
Macron e Putin. I titoli dei giornali raccontano di un duro confronto tra il presidente francese e quello russo. Ma la cronaca trattata con gli anabolizzanti stride un po’ troppo con la scenografia, rivelatrice del passaggio: la reggia di Versailles. Regale, solenne, l’atmosfera dei grandi momenti. La conferenza stampa di Macron e Putin è stata un minuetto, uno spettacolo, con la cinematografica presenza di due figure destinate a scrivere le pagine di oggi e domani: il leader politico più scaltro e acuto tra quelli in servizio permanente effettivo e il giovane presidente senza partito che ha abbattuto i residuati bellici del Novecento francese. Dopo Trump a Bruxelles e a Taormina, ecco Putin a Versailles, così Macron fissa e mette in movimento le sue relazioni con i “cattivi”, apre il canale delle trasmissioni con l’ambizione di essere l’interlocutore ideale di Washington nel Mediterraneo e il cavallo della scacchiera europea che salta la Germania di Angela Merkel quando c’è da stringere o allargare le relazioni con il Cremlino. Macron ha mostrato di essere libero, senza -ismi di alcun tipo, attento all’interesse nazionale e europeista. È un camaleonte e questo lo rende invisibile e inafferrabile, un soggetto da studiare con grande attenzione. Ci sorprenderà? Lo ha già fatto durante le elezioni, vedremo se possiede anche l’arte del governo.
La guerra (e kill list) di Macron. È quella in Siria e Iraq, l’ha ereditata da Hollande e ha una fase dark notevole: i servizi di intelligence e le forze speciali di Parigi secondo quanto scrive il Wall Street Journal hanno una kill list di cittadini francesi che si sono arruolati con Isis. Nei mesi scorsi i foreign fighters sono stati il bersaglio di una serie di raid in particolare nella zona della città irachena di Mosul. I soldati avrebbero l’identità e le foto di almeno 30 miliziani di Isis di origine francese.
Il voto nel Regno Unito. Come vanno le cose nel confronto tra May e Corbin? Non benissimo per il premier inglese. Ieri nel confronto televisivo indiretto May è apparsa meno convincente del leader laburista e gli strateghi conservatori hanno deciso di tornare al cuore del messaggio dei Tories: la Brexit. Nelle prossime ore è atteso un No della May alle richieste di Bruxelles sul tema dell’immigrazione.
Spalletti lascia la Roma. Non siamo di fronte a un argomento frivolo, ma a un pezzo di immaginario italiano da non sottovalutare, serve a capire lo spirito dei tempi e il carattere italiano. L’allenatore Spalletti se ne va e la bandiera Totti non è più in campo con la Roma. Un uno due che significa molte cose. Quello che è successo domenica a Roma, l’addio del Capitano, sarebbe da studiare attentamente da chi vuole capire i fenomeni di massa, l’antropologia collettiva. La loro sfida personale, il ruvido scontro di personalità, finisce qui, la Roma ha azzerato tutto. Chi ha vinto e chi ha perso? Nessuno dei due, c’è un nuovo inizio e il calcio ha sempre qualcosa da insegnare.
30 maggio. Nel 1431 a Rouen, in Francia, la diciannovenne Giovanna d'Arco viene bruciata sul rogo.
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