Jeremy Corbyn (foto LaPresse)

Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi

Theresa May ha giocato al buio sul tavolo da poker e ha perso

Mario Sechi

Lezioni da mandare a memoria dopo l'azzardo della premier. In Italia intanto continua lo stallo surreale sulla legge elettorale 

Sant’Efrem.

 


 

Questo è l’ultimo numero di List per Il Foglio. List è un’avventura cominciata per gioco, per curiosità intellettuale, per il gusto di sperimentare nuovi format giornalistici. Da lunedì List avrà vita autonoma in Rete e i lettori non faranno fatica a trovare il titolare e la nuova casa di questa newsletter. Il titolare di List ringrazia di cuore i colleghi e in particolare il direttore del Foglio, Claudio Cerasa, per la pazienza, per l’entusiasmo, per l’amicizia, per l’affetto con cui ha seguito e sempre incoraggiato List. E grazie ai meravigliosi lettori del Foglio – uno straordinario giornale nato dal genio di Giuliano Ferrara, luogo unico di pensiero e di scrittura - per le lettere, i messaggi, le critiche, gli incoraggiamenti. Una meraviglia quotidiano. Ci rivediamo presto. Si parte! Per dove? Seguite il titolare di List, oggi si sbarca nell’isola d’Inghilterra.


 

L’elettore dimenticato. Theresa May ha giocato al buio sul tavolo da poker e ha perso. Quando decise di andare alle elezioni anticipate (era il 19 aprile) il suo partito aveva oltre venti punti di vantaggio sui laburisti. Quel vantaggio è svanito in una notte: Jeremy Corbyn ha recuperato i voti dell’elettore dimenticato con un manifesto politico neo-socialista che è un retrò tutta e nello stesso tempo è dannatamente contemporaneo: welfare, politica sociale, statalizzazioni. Un liberale inorridisce, ma il mondo è salito sulla macchina del tempo con l’idea di viaggiare indietro per recuperare pezzi di un ingranaggio che nel presente non funziona più. Il programma di Corbyn sembra un residuato bellico del Novecento spiovuto tra le linee affilate dello Shard, un cannone arruginito, adagiato come un pezzo d’antiquariato tra i giardini dell’upper class di Westminster, e invece quel satanasso di Corbyn, una sagoma da film post-operaio di Ken Loach, ha intercettato sul suo radar l’elettore dimenticato. Le elezioni inglesi consegnano alla storia un altro capitolo di un romanzo cominciato un anno fa con la Brexit: la storia dell’uomo in rivolta -  titolo profetico di un romanzo di Camus sulla condizione dell’uomo contemporaneo – la cavalcata del Novecento che riprende a correre dove la globalizzazione ha mostrato i suoi limiti, le sue ferite, i nomi e i volti dei perdenti. Quando gli inglesi votarono per il Leave dall’Unione europea, fu Cameron a sperimentare sulla sua pelle candida di giovin signore educato all’Eton College la frustata del popolo, ieri è stato il turno di una tenace ma alla fine poco lucida Theresa May. Il paziente inglese ha subito un altro elettroshock: prima la Brexit e ora il risorto neo-socialismo di Corbyn. E’ una pellicola in cui i fotogrammi cominciano a mostrare la stessa mano, la stessa regia, la stessa drammatica inquadratura imperfetta, mossa, realista. Questo verismo politico riempie il paesaggio delle istituzioni: la Brexit che sventola in faccia all’Europa l’Union Jack di un impero che non c’è ma è vivo nell’immaginario; Trump che riscopre l’impeto rivoluzionario del jacksonismo e il populismo di Roosevelt che accompagna il Forgotten man in America; Macron che spazza via i totem del secolo dei partiti, il Novecento, il fenomeno En Marche che archivia i socialisti e fa invecchiare le destre; Corbyn, lo spostato a sinistra di un labour populista e acchiappasogni. Nel 2015 Cameron batteva anche gli exit poll e vinceva bene le elezioni con un programma di crescita e controllo di bilancio. Due anni dopo, Corbyn rianima un morto, il labour, con un programma contro l’austerità. In mezzo, la Brexit. In alto, l’elettore dimenticato.

 

May out? May be. Theresa May ha sbagliato i tempi e soprattutto la campagna elettorale. In verità, pochi avrebbero scommesso sul formidabile recupero di credibilità (e numeri) di Corbyn e i conservatori inglesi di solito sono sottostimati nei sondaggi. Il titolare di List sulla base dei numeri storici e dei primi risultati nei collegi pensava a un risultato del Labour buono (cosa emersa anche ieri nella fase iniziale del dibattito in tv a La7 con Enrico Mentana), ma con i Tories ancora capaci di assicurarsi la maggioranza, seppur di un soffio. Invece no, i laburisti hanno piantato la loro bandiera a Londra e sono decollati. Mentre queste note finiscono sul taccuino Theresa May è impegnata in colloqui con gli Unionisti dell’Irlanda del Nord per provare a agganciare i numeri che le servono per stare in piedi. I numeri sono questi: i Tories a quota 318 con i 10 voti del Democratic Unionist Party la maggioranza arriva alla linea di galleggiamento di 326 (e tocca quota 328). Magra consolazione, ma questo accordo consente al primo ministro di restare in sella. Per quanto? Sono inglesi, ogni previsione si fa al bancone del pub. Al netto dei fumi del gin, delle sbandate dell’elettorato e delle strambate dei partiti inglesi, il prossimo turno elettorale – se e quando ci sarà - potrebbe consegnare Downing Street al Labour in versione socialismo irreale, ma attenzione, l’opinione pubblica inglese ha pochi punti fermi e tra questi c’è certamente la virtù della birra e non c’è la barba (in)colta di Corbyn. Oggi il leader laburista è up, domani potrebbe essere down. Intanto, si gode il successo e Theresa fa calcoli per non finire a bordo ring sotto i colpi dei suoi colleghi di partito (occhio a Boris Johnson).

 

Ukip non c’è più e in Scozia… I partiti indipendentisti e identitari sono stati fagocitati a destra e a sinistra. Il tosa erba dei Tories e del Labour è passato nel giardinetto del partito che fu di Farage e non ha lasciato un filo d’erba. Zero. Il partito scozzese esce dal voto ridimensionato, ha perso seggi ovunque, la Scozia è diventata soprattutto terreno di caccia dei Tories (con i seggi della Scozia sono riusciti a limitare danni che altrimenti sarebbero stati devastanti) e il referendum per la mollare il Regno Unito e agganciare l’Unione europea è congelato come il Mare del Nord. 

 

Lezioni da mandare a memoria. 1. Mai andare a elezioni anticipate per il gusto di cercare il plebiscito, finisce che gli elettori anticipano la tua fine; 2. L’Inghilterra sta ritrovando razionalità e ordine politico nella mappa dei partiti, ma il sistema bipolare e il voto nei collegi uninominali non assicurano governabilità immediata, come vediamo; 3. Ci sono partiti che esaurita la loro funzione si spengono con rapidità impressionante (Ukip); 4. Autonomismo e secessione sono materia complicata che spesso non si traduce per forza in consenso elettorale quando è in gioco il governo dell’intera nazione, il partito della Scozia deve ripensarsi;  5. Tra i partiti “nuovi” emergono idee antiche ma percepite come novissime: diseguaglianza, redistribuzione, welfare, reddito e nazionalizzazioni. 6. Il tasso di populismo sta crescendo in tutti i partiti, la questione non è più se sei populista, ma quanto sei populista.

 

Legge elettorale all’italiana. Il paziente inglese ieri è stato sistemato, incerottato, ma resta in condizioni critiche. Come sta invece il paziente del Belpaese? Le cose sono note, il Foglio le ha messe in fila da tempo. Il titolare di List segnala una sua intervista sul tema a Formiche: “Probabilmente qualcuno non ha neanche capito cosa votava: ho anche questo tremendo sospetto. Ed è andata come è andata. Ma non ditemi che il Fianum – basta il nome per dirla lunga sulla legge – è morto: io penso che non fosse mai neppure nato”. L’incidente d’aula – su un emendamento che riguarda il Trentino-Alto Adige presentato dalla Biancofiore! - che fa naufragare l’accordo a quattro è surreale, il più lucido di tutti tra i leader è stato Silvio Berlusconi, l’unico che ha una chiara strategia win win, una riedizione dei due forni.

 

9 giugno. Nel 1985 esce l’album La vita è adesso di Claudio Baglioni. E’ l’album più venduto della storia della canzone italiana: oltre 4 milioni di copie.

 

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