Francescana
Ecco un cuoco, Massimo Bottura. Uno così ci vorrebbe anche a Parma e a Ferrara, le altre piccole capitali emiliane dove invece i cuochi non esistono. Vorremmo vedere Bottura alle prese con la vecchia di cavallo o i cappellacci di zucca, sicuramente ne caverebbe qualcosa di commestibile. Forse ce la farebbe anche con la salama da sugo, chissà. Intanto si applica su ingredienti e ricette locali, cercando di migliorare alleggerire rinfrescare ripresentare, con esiti sempre interessanti e a volte straordinari. La spuma di mortadella è un punto di partenza fondamentale anche se noi noiosi la preferiremmo tiepida piuttosto che fredda. Tutto quello che alla Francescana ruota attorno al parmigiano (prodotto anche in provincia di Modena) è superlativo. I “tortellini tradizionali modenesi in crema densa di parmigiano reggiano” sono indimenticabili. “Le cinque stagionature del parmigiano reggiano in diverse consistenze e temperature” rappresentano una grande esperienza anche per chi non gradisce questo modo di denominare i piatti. La lingua tira a Bottura un altro brutto scherzo, il “gioco sulla cromaticità del bosco: trota, riso, castagna, fungo e tuberi”. Ma a parte qualche nome cervellotico, due maledetti piatti quadrati e un bicchierino di troppo (però contenente un'eccezionale “compressione di pasta e fagioli”) negli ultimi tempi la Francescana si è classicizzata e arrotondata: il servizio è molto migliorato e i pezzi di arte contemporanea non confliggono più col soffitto di legno (anni addietro un Pancrazzi ci rovinò la cena, adesso se ne sta lì calmino, rassegnato a fare decorazione). Resta pur sempre un ristorante di cucina sperimentale, sconsigliato per addii al celibato e non troppo azzeccato nemmeno per serate intime, perché ogni portata richiede un'attenzione che fatalmente distoglie dal resto. Sui “ravioli ripieni di cotechino e lenticchie” bisogna riflettere, prima di capirne l'astuzia oltre che la grande manualità (noi maccheronici ormai giudichiamo i ristoranti dalla pasta fresca, con i paccheri di Gragnano nessuno ci incanta più). Il “risotto con la zucca e la mostarda di mele campanine” non richiede alcuna riflessione, è semplicemente uno dei piatti più buoni degli ultimi anni. Bene i secondi, bene sia i dolci-non dolci che il dolce-dolce della zuppa inglese. Come vino ovviamente Lambrusco, che altri ristoranti di questo livello snobbano ma che la Francescana presenta nelle sue somme manifestazioni. Manca soltanto il Bellei Metodo Classico, folle lambrusco champagne che è uno dei vini più piacevoli del pianeta. Quindi ci orientiamo verso il lambruschismo più tradizionale: il Rifermentazione Ancestrale di Cavicchioli e il Lambrusco del Fondatore di Chiarli, due nasi puliti, quasi un miracolo per questa tipologia contadinesca di vini rifermentati in bottiglia, supergenuini e quindi sempre a rischio di cattivi odori. (recensione del 19 gennaio 2007)
Il Foglio sportivo - in corpore sano