Osteria Caffè Italiano
La lista dei cibi è piena di buchi, i vini sono pochi. Buona la pappa, terribile il fegato. I formaggi sul vassoio di plastica sono una barzelletta?
Caffè Italiano dentro e fuori, a distanza di un anno. Cena fuori nell’estate 2008: seduti all’esterno su meschine sedie di plastica occhieggiamo una sala interna che sembra Palazzo Pitti. Pazzotica disarmonia. Buona la pappa col pomodoro, anche merito della cipolla ben presente, viva, non spappolata. Per gli occhi i ravioli alla maremmana sono troppo pochi, per il palato sono troppi (sfoglia spessa). La mozzarella di bufala “integrale di Falciano” sarà stata buona l’altroieri, l’antica saggezza ci insegna a preferire un asino vivo a un dottore morto: avremmo voluto gustare una mozzarella non di bufala non integrale e non di Falciano, ma appena filata. Di grana grossa il passato di sedano, idem il purè di patate. La Vernaccia di San Gimignano Panizzi, nella versione base scintillante di acciaio, surclassa il debole Pecorino Caldora. Ci rivolgiamo al cameriere nero, sorridente, volenteroso, simpatico zio Tom, per avere lumi sulla grappa disponibile. “Grappa Caffè Italiano”. Ehm. Comunque oggi è venerdì e un locale così carnoso, se ci fosse religione, dovrebbe osservare il riposo. Ma religione non c’è. Cena dentro nella primavera 2009 (stavolta non è venerdì). La sala è teatrale, i lampadari vorremmo portarli a casa, secoli di artigianato fiorentino ci osservano. Ci pensano i tavolini piccini a ridimensionare subito la faccenda e poi la lista dei cibi, una gruviera piena di buchi. Comprendiamo benissimo che alcuni ingredienti siano ultrastagionali (ad esempio la borragine) ma allora rinnovate la carta di frequente oppure, se ancora non avete scoperto l’esistenza della stampante, elencate i piatti a voce. La lista dei vini è messa ancora peggio: i primi quattro rossi sono evaporati quindi niente Montepulciano d’Abruzzo, che avremmo senz’altro scelto per solidarietà alla cara regione terremotata, e nemmeno uno dei tre Rossi di Montepulciano. Non resta che far stappare un Vino Nobile: sarebbe pure valido, se ormai non fossimo nervosi. L’antipasto offerto è una fetta sottile di soprassata, colorata (forse troppo?) testa di maiale che ci strappa l’unico vero sorriso dell’intera cena. Fra i primi è di nuovo buona la pappa mentre la minestra di farro e cavolo nero è un po’ acquosa, trattoriosa, comunque salutare. Il fegato di maiale nella sua rete dovrebbe sciogliersi in bocca (altrimenti la rete che ci sta a fare?) e invece risulta indurito dalla stracottura. E meno male che non abbiamo ordinato la costosa fiorentina: ci sarebbe arrivata una suola da scarpe? I formaggi, anzi i caci toscani, vengono serviti assieme alle inevitabili marmellatine sopra un foglio di carta da forno appoggiato su vassoio rettangolare di plastica marrone, tipo mensa degli istituti tecnici. Se è una barzelletta non ci fa ridere.
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