L'Amleto del Sì
Come mai Wolfgang Schäuble, teorico dell’austerità, si spende per Renzi che invece chiede all’Europa flessibilità? Un ritratto
Perché lo ha fatto? Perché Wolfgang Schäuble ha annunciato che se fosse italiano voterebbe Sì, e perché ha dichiarato che apprezza e comprende Matteo Renzi il quale lo considera, invece, il Cerbero dell’austerità? Lo ha fatto per Realpolitik, per machiavellismo, per volontà di potenza, forse. Lui e Renzi sono lontanissimi, li divide un fossato generazionale, politico, culturale, religioso persino: un settantenne protestante conservatore di Friburgo e un quarantenne cattolico progressista fiorentino, come potranno mai andare d’accordo? Ebbene, la risposta a tutte queste domande si nasconde come sempre nell’uomo, nelle sue idee e nel suo carattere. Noi italiani non lo abbiamo mai capito. Non lo abbiamo compreso nel 1994 quando propose la Kerneuropa, il nocciolo duro attorno al quale si doveva costruire l’Unione e gli abbiamo preferito l’Europa allargata dall’Atlantico agli Urali come sognava Charles de Gaulle. Tanto meno lo abbiamo seguito quando, dopo la grande crisi finanziaria, decise di dedicarsi a salvare la sua Germania pensando che così avrebbe salvato anche la sua Europa. Chi adesso riscopre Angela Merkel come baluardo contro il nazional-populismo, dimentica che il vero uomo di ferro dietro la Cancelliera è lui, più volte sconfitto, spesso rifiutato, ma sempre risorto dalle ceneri proprie e del Partito cristiano-democratico. Schäuble non è Cerbero, ma Sisifo. Egli stesso si è affibbiato questa etichetta quando un giornalista gli ha chiesto a quale mito classico si sentisse più vicino. La sua condanna è spingere in cima il proprio destino per poi vederlo, giunto a un passo dalla vetta, rotolare giù fragorosamente.
Nato nel 1942 a Friburgo in Brisgrovia, a cavallo tra Francia e Svizzera, è l’unico politico ad aver visto la guerra anche se per lui le rovine del conflitto sono un’ombra di memoria infantile. Figlio di un consulente fiscale, dopo gli studi in legge a Friburgo e ad Amburgo, trova un impiego nell’amministrazione tributaria del suo Land, il Baden-Württemberg, ma non ha la vocazione del funzionario, è la politica ad appassionarlo fin da ragazzo. Nel 1961 si iscrive alla unione giovanile della Cdu (la Unione cristiano-democratica), nel 1972 viene eletto per la prima volta al Bundestag. Sarà Helmut Kohl a sottrarlo a un futuro da peone. Prima capogruppo al Parlamento, poi ministro per gli Affari speciali e segretario particolare nel 1984, quando il gigante renano viene eletto cancelliere e porta al governo una nuova leva. Schäuble non è l’ombra di Kohl, è il suo braccio destro e la sua mente, l’uomo che controlla il partito e il gruppo parlamentare, il raccordo tra Bonn e il resto del paese. E’ il consigliere fidato anche in politica estera; non fa sconti a Mikhail Gorbaciov, mentre prepara in gran segreto la prima visita ufficiale di Eric Honecker, il capo comunista della Germania est. E’ il 1987, due anni dopo il Muro di Berlino sarebbe crollato, ma sia Schäuble sia Kohl erano convinti da sempre che la Germania dovesse tornare unita, anche entrando in conflitto con la maggior parte dei leader europei, da François Mitterrand a Margaret Thatcher passando per Giulio Andreotti, il quale diceva di amare talmente la Germania da preferirne due. La firma del trattato risale al 31 agosto 1990. L’anno sucessivo, in un appassionato discorso al Parlamento, Schäuble propone che la capitale venga spostata a Berlino.
Nell’autunno diventa capogruppo al Bundestag, una carica che prelude alla successione. Il delfino prende sempre più il controllo di un partito trionfante, ma nello stesso tempo allarmato dalle scelte clamorose, se non proprio azzardate, compiute dal Cancelliere. Innanzitutto l’unificazione avvenuta concedendo agli Ossie, come vengono chiamati i tedeschi dell’est, il clamoroso vantaggio di un cambio alla pari con il marco occidentale. In secondo luogo la pesante tassa caricata sulla testa dei contribuenti. Infine, la svolta più choccante: l’abbandono del marco. Un salto nel buio per i tedeschi che hanno fatto della moneta forte uno strumento di riscatto non solo economico, ma politico e persino culturale. Schäuble non si sottrae al dibattito, anzi insieme a Karl Lamers, portavoce in Parlamento per la politica estera, pubblica nel 1994 uno studio nel quale propone l’idea che la futura Ue si organizzi attorno a un nocciolo duro di paesi i quali condividano non solo gli stessi valori, ma anche le stesse politiche economiche basate sul rigore nelle finanze pubbliche, sulla difesa del risparmio e sulla stabilità valutaria. E’ la Kerneuropa, al centro del quale c’è naturalmente la nuova Germania, seguita dalla Francia e dal Benelux (anche se resta in stand-by il Belgio pesantemente indebitato). E l’Italia ancora ingombra dalle macerie politiche della Prima Repubblica? Sospettosi verso Silvio Berlusconi e ancor più Umberto Bossi, Kohl e Schäuble cercano sponde nelle forze europeiste, tra le componenti democristiane confluite nel nuovo centrosinistra dell’Ulivo o nel centrodestra moderato dentro Forza Italia. Romano Prodi può essere, quindi, l’interlocutore naturale, anche se il tecnocrate diventato politico propende più per una Unione allargata. Le condizioni per tenere l’Italia dentro il processo di costruzione della nuova Europa e dell’Unione monetaria, non sono facili da accettare agli italiani. Tre svalutazioni della lira, compresa quella del 1992, hanno creato un vantaggio concorrenziale per l’industria esportatrice che non piace ai tedeschi e ancor meno ai francesi: il presidente Jacques Chirac arriva ad accusare Roma di aver distrutto la manifattura tessile francese (e in parte ha ragione). Ma la valuta debole genera inflazione costringendo la Banca d’Italia a tenere alti i tassi d’interesse. Riduzione del debito pubblico, privatizzazioni, tagli alle spese e nuove imposte (compresa la tassa per l’euro) diventano una strada impervia, segnata da un duro negoziato sul tasso al quale sarebbe stata cambiata la lira. Evocare quei giorni ancora cruciali è importante per capire il potente ministro delle Finanze che ha segnato l’èra Merkel e l’Europa negli anni della Lunga Recessione.
Ma prima bisogna raccontare due eventi drammatici nella vita dell’uomo e del politico. Il 12 ottobre 1990 Schäuble, ministro degli Interni, è nella piccola cittadina di Oppenau e tiene un comizio in una birreria davanti a 300 persone. Siamo in pieno clima elettorale nel Baden e si tratta di spiegare bene le difficili scelte per l’unificazione. Improvvissamente, si sentono tre colpi di arma da fuoco, viene ferita una guardia del corpo e stramazza al suolo Wolfgang Schäuble. L’attentatore viene immediatamente bloccato, si chiama Dieter Kaufmann e sarà giudicato insano di mente. Il ministro è operato d’urgenza, un proiettile lo ha ferito in volto, un altro gli ha spezzato la spina dorsale. Si salva per un soffio, ma resta paralizzato dalla cintola in giù e da allora è costretto a muoversi in sedia a rotelle. A 48 anni sembra un uomo distrutto, con una brillante carriera rovinata. Eppure non molla e dopo soli tre mesi torna al lavoro. Farà la sua prima apparizione pubblica accanto a Kohl nell’ultimo comizio per la campagna elettorale nel suo collegio di Offenburg. Quando Schäuble parla del proprio handicap lo fa con ironia amara: “Volete sapere perché non vado mai a eventi mondani? – ha detto in una intervista al mensile Capital – Beh, per una persona nelle mie condizioni ci sono davvero situazioni migliori che spintonarsi con gli altri intorno a un buffet, per poi farsi riempire pure di briciole dall’alto”. Altrettanto imbarazzante è la rampa del Bundestag: salirci è faticoso, ammette, lì vengono scattate sempre delle “foto stupide”, poi i giornali le pubblicano e la gente dice “Oh, quant’è dura per Schäuble”. Un quarto di secolo sulla sedia a rotelle è stato davvero duro, durissimo, ma non lo ha reso più aspro, né più amareggiato; “e non ha fatto di me neanche un uomo migliore”, aggiunge chiudendo con una battuta: “Ogni tanto dico agli altri disabili: tutte le persone hanno un handicap, noi almeno lo sappiamo”. L’immagine di persona scolpita nell’acciaio, che usa come due dardi gli occhi cerulei dietro le lenti senza montatura, è solo parte della realtà: chi lo ha frequentato lo descrive come affabile, sempre attento ad ascoltare gli altri, anche se non per questo pronto a cambiare idea. Così lo ricorda Giulio Tremonti, ma anche Elena Salgado, che come ministro dell’Economia nel governo Zapatero non ha lesinato certo polemiche.
I colleghi del suo partito, anche i molti che gli hanno fatto la guerra, apprezzano la lealtà spinta fino all’estremo. Lo ha dimostrato durante lo scandalo che ha accompagnato mestamente l’uscita di scena di Kohl. Nel 1997 il cancelliere annuncia pubblicamente che Wolfgang Schäuble sarebbe stato il suo successore, ma non subito perché intende candidarsi di nuovo l’anno successivo e possibilmente restare in sella fino al 2002 quando sarebbe entrato in vigore l’euro. Non calcola che il paese ribolle di scontento e la sua èra volge al tramonto. La sconfitta elettorale è bruciante e nella Cdu si respira un’atmosfera da resa dei conti mentre spunta fuori che il partito ha ricevuto contributi sulfurei e segreti. A sovraintendere i conti è proprio Schäuble, il quale ammette in televisione di aver incassato una donazione (non registrata) di centomila marchi da parte del controverso commerciante di armi Karlheinz Schreiber. Non per se stesso, per la campagna elettorale del cancelliere. Impigliato in questa opaca vicenda, il presidente della Cdu si dimette. Il fratello Thomas, già ministro degli Interni del Baden-Württemberg, lancia un j’accuse contro Kohl che ha abbandonato l’ex pupillo al proprio destino. Wolfgang, invece, tace e inghiotte amaro, mentre sorge la stella di Angela Merkel all’insegna di “mani pulite”. E’ proprio lei a mettersi di traverso quando Schäuble è in lizza per candidarsi a sindaco di Berlino (nel 2001). E tre anni dopo, la sua corsa alla presidenza della Repubblica viene intralciata dalla inflessibile Angela che si prepara a scalare la Cancelleria. Le due figure forti del partito sono in rotta di collisione e Schäuble sembra destinato al tramonto, senonché nel 2005, vinte le elezioni, la Merkel lo chiama a fare il ministro degli Interni. Un gesto saggio e generoso, ma in questa fase è solo pace armata. Intanto, imparano a conoscersi meglio e a collaborare. Quando nel 2009, in piena crisi finanziaria, la Cdu vince e può governare senza i socialdemocratici, la Kanzlerin offre a Schäuble la poltrona delle Finanze che è, di fatto, la posizione numero due nella gerarchia governativa. E’ la nuova rinascita, ma è anche il lancio sul palcoscenico dell’economia globale dove si caratterizza subito come un paladino dell’Ordoliberalismus nato proprio all’università di Friburgo.
L’ortodossia economica tedesca trova in lui il suo campione, l’europeismo incontra un vero ultra dell’asse con Parigi. La dottrina del nocciolo duro torna in modo indiretto, privilegiando cioè i paesi che accettano di essere guidati dalla Germania la quale si attribuisce un ruolo di leadership pedagogica. E’ evidente con la crisi greca, quando il ministro delle Finanze tedesco (lo rivelerà Tim Geithner, il segretario al Tesoro americano) è pronto anche a far uscire Atene dall’euro come monito e come esempio. Colpirne uno per educarne cento, insomma. O magari colpirne due, perché nel mirino c’è anche l’Italia, dove nel 2011 Berlino manovra per spingere Berlusconi fuori dal governo. Si dice che a Schäuble non sarebbe dispiaciuto Tremonti, ma era già in pista una soluzione più radicale con Mario Monti. Da allora, diventa la bestia nera per il centrodestra italiano, così come per la sinistra radicale. Tuttavia l’austerità, questo fantoccio spaventa-italiani, non piace nemmeno a Renzi. In realtà, quella del ministro ordoliberale non è una scelta solo dottrinaria; si potrebbe dire piuttosto che nasce da un’analisi socio-politica della Germania dove il blocco conservatore fa perno su una alleanza tra i Konzern finanziario-industriali e l’ampia platea di risparmiatori piccoli e medi la cui protezione è diventata una priorità da parte del governo. Lo si è visto in occasione dell’unione bancaria, dalla quale la coppia Merkel-Schäuble, manovrando con astuzia e puntando i piedi, è riuscita a tener fuori le banche locali e le casse di risparmio. C’è dietro la lezione della Repubblica di Weimar e l’ascesa del nazismo favorita dall’alleanza apparentemente contradditoria tra risparmiatori rovinati dall’inflazione e i disoccupati provocati dalla politica monetaria rigorosa scelta proprio per contrastare la corsa dei prezzi. Quella convergenza spuria ha creato una miscela anti sistema.
Qualcosa del genere potrebbe accadere anche oggi in Europa, non esclusa la stessa Germania, nonostante il paese sia vicino alla piena occupazione grazie alla ripresa e alla politica attiva del lavoro. La protesta monta dall’est ed è guidato da una donna, Frauke Petry, cresciuta anche lei sotto il comunismo, la quale, a differenza da Angela Merkel, ha coltivato risentimento e rancore contro la Germania renana, ricca, cosmopolita e liberale. E’ la rivincita degli Ossie, isolazionisti e xenofobi. La critica tedesca alla politica monetaria praticata dalla Banca centrale europea sotto la gestione di Mario Draghi, si basa proprio su questo: i tassi zero colpiscono le banche e i risparmi, l’acquisto di titoli con il quantitative easing allenta le briglie sui paesi non virtuosi allontanando il loro risanamento. I rimproveri a Berlino per non aver allargato abbastanza la domanda interna e aver accumulato un attivo monstre della bilancia commerciale vengono da più parti, da Washington come da Roma. Sono giusti in teoria, ma cosa sarebbe successo a una Germania indebolita da due deficit gemelli, quello con l’estero e quello nel bilancio pubblico? Dove sarebbe l’intera Europa, non solo quella dell’euro, oggi che Donald Trump minaccia di chiudere l’ombrello americano e Vladimir Putin affila le zanne? Schäuble è stato per troppo tempo demonizzato, non per questo adesso bisogna angelicarlo. Angeli e demoni si contendono i voti nella politica odierna; tuttavia, si può sempre tentare di ragionare con la testa.
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