La vita balorda di Patricia Hearst, milionaria
Pastorale californiana. Dal rapimento alle rapine, poi il carcere e la grazia. Le sono stati dedicati film, libri e canzoni, ma adesso arriva la biografia definitiva. Una storia americana degli anni Settanta
San Francisco. Le sono state dedicati film, canzoni, libri innumerevoli, ma adesso arriva la biografia definitiva di Patricia Hearst, detta Patty, erede di una delle famiglie più potenti degli Stati Uniti, rapita da terroristi farlocchi e poi sottoposta alla più classica delle sindromi di Stoccolma, terrorista in proprio, first smandrappata d’America, e oggi libera cittadina qui a San Francisco dopo una tripla grazia presidenziale più unica che rara.
Questo “American Heiress” (autore Jeffrey Toobin, edizioni Doubleday), rivisita quella vicenda soprattutto come inizio di una postmodernità mediatica. Quando viene rapita nella sua villetta di Berkeley, alle 21.17 del 4 febbraio 1974, Patty Hearst sta per compiere vent’anni e ha appena cenato insieme al fidanzato Steve Weed. Buttata fuori da tutte le scuole di San Francisco, è finita nella costosa Crystal Spring School for Girls, dove si reca con la sua Mg, e dove ha incontrato il ventitreenne che si appresta a sposare, il suo professore di matematica, Weed. Patricia si fregia di non aver mai visto “Quarto potere” cioè poi “Citizen Kane”, il film in cui Orson Welles impersona suo nonno, William Randolph Hearst, il più grande editore di tutti i tempi.
Le sono stati dedicati film, libri e canzoni, ma adesso arriva la biografia definitiva. Una storia americana degli anni Settanta
Per la gioia dei suoi genitori ha deciso di impalmare Weed, che per il fidanzamento le regala (siamo nel 1970) un paio di mocassini e un pezzo di carta strappato con scritto “anello di fidanzamento”; per la foto di rito gli Hearst convocano il fotografo ufficiale del giornale di famiglia, il San Francisco Examiner. Lei, come spesso succede in queste saghe, per ribellarsi alla famiglia si intrappola con un uomo tremendo, cascando dalla padella nella brace; lui adora soprattutto l’idea che lei lo utilizzi contro il clan Hearst, e lui la chiude fuori di casa quando lei alza troppo la voce, per riammetterla “solo quando ti sarai calmata”, come il Sassaroli di “Amici miei”. Patty è la favorita del padre, l’unico che può chiamarla così, editore ed erede riluttante, amante della caccia e della quiete, e la disperazione di una mamma aspirazionale, già debuttante più in vista di Atlanta.
William Randolph Hearst, il nonno, era “the chief” e “the monarch of the dailies”, il re dei quotidiani, che proprio dal sonnolento San Francisco Examiner aveva creato una corazzata editoriale. Inventore di fake news, anche. “Voi scrivete l’articolo, a procurare la guerra ci penso io”, dice il suo doppio Orson Welles. Aveva introdotto le vignette a colori, la syndication, cioè la vendita degli stessi pezzi a vari giornali nel mondo. Aveva Cosmopolitan, aveva messo su studi cinematografici. Tra gli anni Venti e Trenta, la Gilded Age, ha 28 quotidiani da costa a costa. Con gli anni Trenta va in crisi, ma ancora oggi gli Hearst posseggono 300 magazine globali, da Cosmopolitan a Elle a Esquire, Harper’s Bazaar, Marie Claire, e il Gioia e il Gente italiani, e il Chronicle, il principale quotidiano di San Francisco. Oltre a 30 canali televisivi, tra cui Espn, e l’agenzia di rating Fitch. Morto nel 1951, Hearst aveva lasciato un testamento impeccabile che spiega perché il gruppo sia ancor oggi in ottime condizioni: gli eredi non potranno mai controllare più di cinque dei tredici posti in consiglio di amministrazione (in pratica, non comanderanno mai). Aveva fatto il suo grand tour in Europa con una mamma fondamentale, che praticamente aveva edificato l’università di Berkeley, e poi come Berlusconi aveva costruito una sua Villa Certosa qui vicino, a San Simeon, 127 stanze, lo zoo privato più grande del mondo (è la Xanadu del film). Aveva sposato una ballerina, con cui produce il papà di Patty, Randolph, e poi un’attrice disgraziata che tenterà di lanciare, invano.
Il nonno era il re dei quotidiani (ancora oggi la famiglia possiede 300 magazine globali). Lei, da giovane, si annoiava a morte
Con questo background, Patty Hearst si capisce che si annoiava a morte nella sua casa di Berkeley, con questo fidanzato saputello e snob che le impedisce di fare Veterinaria, perché “non è in grado”, e dunque lei si iscrive a Lettere e diventa casalinga disperata, fa i letti e rassetta, come sta facendo quella sera dopo cena quando qualcosa di eccitante finalmente succede nella sua vita, vita “mediamente da suicidio”, come dirà poi lei in tribunale. Lui non la protegge neanche quando arrivano i rapitori, anzi scappa e dice “prendete tutto quello che volete”, e loro prendono lei. Una ragazza si introduce in casa dicendo che per carità non voleva ma facendo marcia indietro le ha tamponato la macchina, e Patty già smadonna per la sua Mg: invece poi altri saltano dentro e capisce che la cosa è più complicata quando viene agguantata da un afroamericano che le dice con poca deferenza “zitta, stronza, sennò t’ammazzo”.
Lei è subito conquistata: lui, Donald De Freeze, è il leader che si è autonominato Generale delle Forze armate federate dell’esercito di liberazione simbionese; già imbianchino, alcolizzato, delinquente seriale sempre arrestato per delitti dementi: rapimento di una custode di sinagoga, pretendendo un riscatto dal rabbino; trasporto di due bombe a mano in bicicletta; furto a prostituta dei 10 dollari che le ha appena dato come onorario; poi infine spedito in carcere a Vacaville, California, per aver derubato una turista hawaiana a Los Angeles.
In carcere metterà in piedi questa Banda dei Brocchi. In carcere conosce soprattutto il suo mentore, il leader delle Black Panthers George Jackson, che legge Mao, Fidel Castro, scrive la sua autobiografia “Blood in my eye”; poi livre de chevet dei simbionesi, postumo dopo che l’autore viene sparato. Questo esercito di liberazione simbionese era forse la formazione terroristica più sgangherata di tutti i tempi, c’era De Freeze, e poi un veterano del Vietnam fanatico (Joe Remiro), una lesbica militante (Patricia Soltysik), un’attrice fallita (Angela Atwood), un giovane idealista (Willy Wolfe), più altri comprimari. Come sottofondo, vicinanza ai movimenti panafricanisti, a Cuba, marxismo sudamericano con preferenza per i Tupamaros, maoismo, e in Europa un twist di Brigate rosse.
Uscito di galera, De Freeze si era rifugiato in una comune a Oakland, sobborgo di San Francisco che ancora oggi ha il genius loci fricchettone-violento: qualche giorno fa qui ci sono stati 40 morti in un’altra comune andata a fuoco per sovraffollamento e incuria, il Ghost Ship, teatro di eventi e okkupazioni. Oakland era ed è il Pigneto di San Francisco, dove si va nel weekend, dove ci sono le gallerie d’arte e i rari afroamericani, e appartamenti ancora a prezzi decenti. A Oakland c’era il centro della Controcultura, a Oakland le Pantere Nere, considerate moderate, si erano candidate al Comune nel 1973 ed erano arrivate seconde. Qui De Freeze viveva felice in regime di poliamore insieme alla poetessa Camilla Hall e alla prostituta Nancy Ling, che faceva commuting ogni giorno per andare a battere a San Francisco come oggi gli impiegati di Google e Facebook sui loro torpedoni col wi-fi.
E in questa Bloomsbury bombarola, in regime di paranoia e affetto universale come i personaggi di “Purity” di Jonathan Franzen (ambientato sempre a chilometri zero, in un’altra comune pure ad Oakland, con leader carismatici ugualmente cialtroni però 2.0), De Freeze mette giù anche la costituzione del Movimento, che si conclude con la frase che poi andrà in calce a tutti i comunicati stampa di queste Br californiane: “E con questo veleno di queste sette teste distruggeremo l’insetto fascista che vola predando la vita del popolo” (il brand prevedeva infatti un cobra a sette teste, come i sette principi del Qwanza, vabbè. Mentre “simbionese” era venuto in mente a De Freeze per l’assonanza con “simbiosi”, nel senso di empatia). Nella comune poi arrivano gli altri due membri: Russ Little, studente marxista della Florida, e Remiro, l’unico killer serio della situazione, figlio di una lavandaia italiana, che va in Vietnam, e torna cattivo.
Nel 1973 i simbionesi fanno il primo attentato, ammazzando il preside del liceo di Oakland, Marcus Foster, afroamericano, che aveva tentato di tenere fuori gli spacciatori dalla scuola. Il primo comunicato recita che si tratta di una ritorsione contro “i governi fantoccio messi dagli amerikani in Vietnam, nelle Filippine e in Sudafrica”, e poi la chiosa: “E con questo veleno di queste sette teste distruggeremo l’insetto fascista che vola predando la vita del popolo”.
Pareva normale amministrazione: del resto negli anni Sessanta San Francisco e la Bay Area erano stati l’epicentro della gioventù sognante: la Summer of Love del 1967, la nascita del movimento hippy, il Free Speech Movement proprio a Berkeley, e col decennio successivo sembrava che la California dovesse ripagare tutta questa felicità e questa trasgressione con gli interessi. Se a livello nazionale arrivavano Nixon, il Watergate, la guerra del Kippur e le crisi petrolifere, il terrorismo (mille attentati all’anno negli Stati Uniti), San Francisco offriva crimini e misfatti anche inspiegabili: il serial killer Zodiac seminava il terrore uccidendo 37 persone. Clint Eastwood impersonava il detective Dirty Harry; Karl Malden e un giovane Michael Douglas andavano su e giù per le strade di San Francisco in cerca di criminali. Soprattutto prosperavano movimenti terroristici come i Death Angels, il cui core business era sterminare californiani bianchi. Il 29 gennaio 1974, mentre si celebrava la seconda vittoria di Muhammad Ali contro Joe Frazier, uccidevano quattro bianchi nella stessa notte.
Una settimana dopo veniva rapita Patricia Hearst. Vittima delle stesse ragioni sociali di famiglia, con nemesi rotativa. La vita scorreva felice nella comune dei suoi futuri sequestratori: facevano la differenziata con le bottiglie di vino di De Freeze, che riciclano per farne molotov, studiano il teorema del focolaio di Régis Débray (piccoli attentati per aizzare le masse sonnolente), guardano documentari sui Tupamaros, che in Uruguay rapivano eminenti personaggi sfruttandone l’effetto mediatico. Improvvisamente però leggono sull’Examiner del fidanzamento di Patty Hearst, “giovane studentessa a Berkeley”. Scoprono in uno schedario studentesco dove abita (2603 Benvenue Ave, appartamento 4, Berkeley), e il gioco è fatto (anche prima di Facebook si ponevano problemi di privacy, dunque).
Una Bloomsbury bombarola a Oakland, ancora oggi il genius loci fricchettone-violento. Il capo si inventa l’esercito simbionese
Quando la scaricano dal cofano della macchina le dicono che lei “è in stato d’arresto in quanto nemica del popolo” e “verrà trattata secondo le garanzie della Convenzione di Ginevra” (sono chiaramente dei mitomani). La notizia viene tenuta riservata dalle autorità; a informare gli Hearst ci pensa la sorella Anne (oggi sposata allo scrittore Jay McInerney). I rapitori, seccati dal silenzio stampa, emettono un comunicato bizzarrissimo: “Elementi dell’esercito simbionese armati di proiettili al cianuro hanno arrestato la cittadina Patricia Campbell Hearst” (pare che il cianuro non vi fosse, ma lo ritenevano un tratto di distinzione). E poi: “Tutte le seguenti comunicazioni dovranno essere pubblicate INTEGRALMENTE da ogni giornale, a pena della sicurezza della prigioniera”. Questa era poi l’unica richiesta di quella strana comunicazione, che non chiedeva né soldi né altro, e dunque metteva in crisi la famiglia e la polizia.
La carceriera era poi una bellissima aspirante attrice, Angelina De Angelis (sic) che sta mettendo in scena una versione rivoluzionaria dell’“Edda Gabler” di Ibsen, ha due gatti di nome Chagall e Vagina, e confida a Patty il suo amore per un altro simbionista che è stato arrestato. Dopo qualche tempo insomma Patty comincia a rilassarsi, i rapitori si rendono conto che non avendo chiesto nulla, non possono ottenere nulla, quindi chiedono agli Hearst in un comunicato di pagine e pagine di donare, a “ogni californiano che ne abbia bisogno”, l’equivalente di 70 dollari di cibo “di alta qualità”, da distribuirsi nei principali supermarkets – “suggeriamo la catena Safeway” (Whole Foods non era stato ancora inventato). E poi una nota per le gentili redazioni: si prega di mettere il logo con il serpente a sette teste in ogni articolo.
I giorni del sequestro. Patty decise che quella vita era molto meglio della precedente. Oggi alleva cani di lusso e fa la nonna
Per gli Hearst, una seccatura tremenda, anche perché, tipo gli 80 euro renziani, praticamente il rapimento dava diritto a milioni di cittadini di reclamare il cibo (con una spesa ai valori attuali di 2 miliardi di dollari). Intanto la casa di famiglia diventa accampamento per i giornalisti. Lady Hearst fa fare continuamente delle zuppe di asparagi calde per ristorare i reporter; la casetta dell’autista viene messa a disposizione per i bagni; gli agenti dell’Fbi attendono nella biblioteca, sotto ceramiche dei Della Robbia raccolte dalla bisnonna benefattrice, telefonate dei rapitori. Vari sensitivi da ogni parte del paese vengono convocati, e indicano rifugi tutti sbagliati. Una prima telefonata con la viva voce della rampolla scuote tutti, e nel giro di una notte viene tirato giù dal letto mezzo governo. Gli Hearst faranno qualunque cosa, ma i guerriglieri non hanno per niente pazienza, fanno ritelefonare da Patty che dice “papà, mamma, non è che dovete prenderli proprio alla lettera, e dare da mangiare proprio a tutti i poveri dello stato”, ma la colossale raccolta di cibo, un programma che si chiama “People in Need”, ormai non si può più fermare (anche se gli Hearst se la cavano con 10 milioni, e verranno accusati poi di essere dei pulciari).
Tutti i nastri delle telefonate sono su YouTube, si può sentire la voce della diciannovenne, che ai tempi si sospettava drogata e terrorizzata, ma forse, suggerisce il biografo, era la sua normale voce di smandrappata. E’ comunque il primo rapimento di una celebrità in America, dove non si vedevano sequestri vip dal 1927, quando scomparve il figlio dell’aviatore Lindbergh (vedi Philip Roth, “Il complotto contro l’America”).
La fine è nota: Patty Hearst decide che questa sua vita è molto meglio della precedente, prende il nome di battaglia di Tania e partecipa entusiasticamente a diverse rapine; verrà poi liberata-arrestata, condannata a 35 anni, poi ridotti, con uno scandalo di casta di cui solo l’America è capace, a sette anni e poi infine a 22 mesi, indultata prima da Carter e poi da Reagan e infine graziata da Bill Clinton (gli Hearst sono sempre stati molto bipartisan). Ha fatto l’attrice e ha sposato una sua guardia del corpo. Adesso alleva cani che vincono concorsi di bellezza mondiali e fa la nonna. “Non so davvero dove ho sbagliato” ha detto in una delle ultime interviste. Scorrazza libera per San Francisco, come un’altra sanfranciscana che si sogna di incontrare, Monica Lewinsky.
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