Lunga vita al Canard enchaîné
Da cent'anni a guastare la festa di potenti e presidenti
E’ il più impertinente dei giornali francesi, “né di destra, né di sinistra, ma soltanto all’opposizione del potere in funzione”. E la lista delle vittime dei “Coups de bec” dell’anatra incatenata si allunga di settimana in settimana
La mia prima reazione, quando vedo qualcosa di scandaloso, è quella di indignarmi, la seconda di ridere. Molto più difficile ma assai più efficace”. Ripeteva a tutti questa frase Maurice Maréchal, convinto che l’ironia e la causticità fossero le migliori armi per lottare contro l’occhiuta propaganda ufficiale, per criticare il potere in maniera contundente, ma senza finire sotto le cesoie di “Anastasia”, come veniva chiamata in codice la censura. E nel 1915, questo giornalista del Matin poco più che trentenne, nato a Château-Chinon, in Borgogna, convinse anche sua moglie, Jeanne, e un vignettista parigino, Henry-Paul Deyvaux-Gassier, che era tempo di creare un foglio libero e smarcato dall’uniformità di vedute della stampa francese all’epoca della Grande guerra, asservita più o meno discretamente al governo. Nacque così un secolo fa il Canard enchaîné, il più guastafeste e impertinente dei giornali francesi, il più temuto dalle élite e il più amato dai francesi, che ogni mercoledì, da cent’anni, si recano in edicola, ritualmente, per informarsi dalle “plume” più informate di Parigi. In occasione di questo compleanno molto speciale, che fa del Canard il più antico giornale satirico di Francia ancora in attività, le Éditions du Seuil hanno appena pubblicato un volume di 608 pagine, “Le Canard enchaîné. 100 ans. Un siècle d’articles et de dessins”, che raccoglie un secolo di articoli e vignette dell’anatra incatenata. La prima versione del settimanale, in realtà, uscì il 10 ottobre 1915, ma durò appena cinque numeri, per la scarsità dei mezzi economici a disposizione di Maurice Maréchal e consorte. La data d’inizio dell’epopea canardesque, costellata di rivelazioni, scoop e retroscena che hanno fatto vacillare il potere politico e servito per tre République consecutive un succulento materiale da chiacchera ai salotti del Tout-Paris, coincide invece con il 5 luglio 1916, in piena Prima guerra mondiale.
Il giornale, inizialmente, veniva costruito nella cucina dei Maréchal: Maurice “incatenava” le notizie false, i “canard” appunto, nella cucina di casa, mentre Jeanne, in bicicletta, distribuiva il giornale finito andando a suonare ai campanelli degli abbonati. In poco tempo, grazie al passaparola e a una rete di informazioni capillare, l’anatra incatenata prese il volo per non fermarsi mai più, continuando a dire “quello che gli altri non dicono” e mantenendo intatta la propria identità. Ai suoi albori, il “Volatile”, come lo chiamava il generale De Gaulle, era politicamente schierato a sinistra, aveva marcate tendenze anarchiche, era anticlericale e antimilitarista, in un periodo dove non era certo facile esserlo. Dagli anni Sessanta in poi, quando il Canard assunse anche il ruolo di giornale investigativo, facendo passare notti insonni ai politici che prendeva di mira, divenne “né di destra, né di sinistra, ma soltanto all’opposizione del potere in funzione”, come ama ripetere il suo caporedattore, Erik Empatz. Dal 15 ottobre 1918 al 28 aprile 1920, il titolo del settimanale conobbe una variante, e prese il nome di “Canard déchaîné”, l’anatra scatenata.
Ma la modifica piacque ben poco ai primi affezionati del palmipede cartaceo, e così Maurice Maréchal decise di tornare alle origini. Le due anatre poste al lato destro e sinistro del titolo, divenute un simbolo assieme al motto che accompagna ogni mercoledì il giornale, “La libertà di stampa si usura quando non la si utilizza”, sono opera del disegnatore Henri Guilac, uno dei primi collaboratori, che prima di dedicarsi alla creazione di fantasiose caricature per l’anatra più celebre di Francia lavorava come semplice funzionario alla Caisse des dépôts et consignations (la nostra Cassa depositi e prestiti). Maurice Maréchal, quando lo incontrò decidendo di includerlo nel progetto, lavorava al servizio meteo del Matin, e secondo un aneddoto tramandato di redattore in redattore, pare che salisse sul tetto dell’edificio che ospitava il giornale per capire quale indicazioni meteorologiche dare ai propri lettori. Di questi aneddoti trabocca il “Roman du Canard”, la cronaca romanzata dei primi cent’anni del settimanale satirico che figura all’interno del volume edito da Seuil, curata da Patrick Rambaud, scrittore e membro dell’Académie Goncourt dal 2008.
Si racconta per esempio che De Gaulle, negli anni Sessanta, reclamasse ogni settimana il “Volatile”, e che prima ancora di iniziare a sfogliarlo chiedesse all’usciere che glielo portava: “Che cosa dice oggi il palmipede?”. Il generale, tra l’altro, ispirò una delle rubriche più apprezzate del Canard: “La Cour”, dove la penna raffinata di Roger Fressoz, accompagnata dalle vignette sardoniche di Roland Moisan, raccontava e criticava ogni settimana il potere gollista con uno stile e uno humor che, pare, facessero sorridere lo stesso De Gaulle. L’abitudine di chiedere il Canard non era certo un’esclusiva del fondatore della Quinta Repubblica. Anche oggi, ogni martedì pomeriggio, quando i rulli delle rotative iniziano a girare con la nuova edizione del settimanale pronta per essere diffusa nelle edicole, i ministri e i politici di ogni sponda inviano i loro corrieri per assicurarselo alla vigilia: sghignazzando se si tratta del proprio avversario, o preparando con i collaboratori il discorso di difesa, nel caso in cui il bersaglio siano loro stessi. Perché le vittime preferite dello scorrettissimo Canard sono anzitutto i politici. C’è un’immagine che è rimasta impressa nella mente del direttore, Michel Gaillard, e della sua banda di giornalisti insubordinati e amanti dello scandalo: Nicolas Sarkozy, ex presidente della Repubblica, mentre si sganascia dalle risate assieme all’ex ministra della Salute, Roselyne Bachelot, con il Canard tra le mani. “Dopo quella volta non ci ha più amato particolarmente. Da quando anche lui ha preso dei colpi, ai suoi occhi siamo diventati improvvisamente meno simpatici”, dice oggi Gaillard con un sorriso beffardo.
Come a gennaio di quest’anno, quando l’anatra ha rivelato che Sarko si è fatto offrire le vacanze a Marrakech dal re marocchino Mohamed VI, mentre a settembre, sempre secondo il pettegolo settimanale, avrebbe fatto pressione sui dirigenti di France Télévisions affinché non venisse diffuso un reportage che smascherava il suo ruolo attivo nell’affaire Bygmalion (inchiesta spinosa su un sistema di false fatture messo in piedi da Sarkozy e dai suoi pasdaran per finanziarsi la campagna presidenziale del 2012 senza superare il tetto imposto dalla legge). I politici francesi non si privano certo di trascinare in tribunale i giornali che li sbattono in prima pagina nel quadro di affaire dai contorni fumosi, ma con il Canard c’è un rapporto diverso. Anzitutto perché è difficile “infilarsi tra le sue piume”, come raccontato non senza humor dalla redazione: le informazioni sono verificate e contro verificate, ma sono soprattutto inacessibili fino alla loro pubblicazione. In secondo luogo, nonostante le accuse di infangare l’onore della République e della politica francese con i loro nomignoli pungenti e i loro giochi di parole corrosivi, la classe dirigente, in fondo, ama essere raccontata dall’anatra e nello stile che le è proprio. “Hanno un po’ paura. Ma sanno bene che se protestano la nostra eco sarà ancora più forte. In fondo amano che si parli di loro. Sanno che raramente pubblichiamo dei panegirici. L’ultima volta, è successo con l’arrivo di Blum al potere”, si ricorda Louis-Marie Horeau, caporedattore del palmipede. La lista delle vittime dei “Coups de bec” dell’anatra incatenata è lunghissima, e ogni settimana si arrichisce di nuove entrate.
Il primo a farne le spese fu uno dei baroni del gollismo, Jacques Chaban-Delmas, che nel 1972 era ministro delle Finanze. In testa nei sondaggi per succedere a Georges Pompidou, morto improvvisamente il 2 aprile 1974, il suo crollo di popolarità e la sua conseguente esclusione dalla corsa alle presidenziali furono causati dalla pubblicazione, da parte del Canard, della sua dichiarazione dei redditi, che evidenziava, tra un esonero e l’altro, che pagava le stesse tasse di un operaio della Renault. L’opinione pubblica non apprezzò, a ogni meeeting la gente gridava “Chaban, paga le tasse!”, e il Canard fece così il suo primo colpo. Nel 1979 fu il turno del presidente della Repubblica in carica, Valéry Giscard d’Estaing. Il Canard scrisse che Vge, da ministro delle Finanze, nel 1973, aveva ricevuto un generoso omaggio da Jean-Bedel Bokassa, allora imperatore dell’impero centrafricano (oggi Repubblica centrafricana): dei diamanti di 30 carati per un valore totale di un milione di franchi, come ringraziamento per la “vicinanza” della Francia al suo impero. Lo scandalo gli costò la rielezione all’Eliseo nel 1981 e soltanto molti anni dopo, nel suo memoir, “Le pouvoir et la vie”, provò a giustificare quel regalo sontuoso, dicendo che le pietre preziose erano state messe all’asta e il ricavato era stato devoluto in beneficenza (Claude Angeli, ex caporedattore del Canard, disse di essere certo che da ogni viaggio nell’impero centraficano Vge tornava con le tasche piene di diamanti). Nello stesso anno in cui Giscard accoglieva a braccia aperte il munifico Bokassa, il Canard è protagonista di un’incredibile vicenda, che coinvolge in prima persona il ministro dell’Interno di allora, Raymond Marcellin, e i cui segni sono ancora visibili nella redazione del settimanale. Il 3 dicembre 1973, due uomini vestiti da idraulici si presentano discretamente negli uffici della redazione per compiere dei “lavori di manutenzione”.
Ma due giornalisti del Canard li sorprendono mentre scavano un buco nel muro, scoprendo che non erano affatto due semplici operai, bensì gli uomini della Dst, i servizi segreti dipendenti dal ministero dell’Interno, incaricati da Marcellin di installare dei microfoni per tenere sotto controllo la redazione più indisciplinata di Parigi e scoprire le loro fonti di informazione. La “Watergaffe”, come venne chiamata l’affaire, fece saltare il ministro dell’Interno, Marcellin (fu relegato al periferico ministero dell’Agricoltura), suscitò molti risolini in merito alla qualità del controspionaggio francese, e in ricordo di quel momento, oggi nella redazione di rue Saint-Honoré troneggia sopra il “buco dei servizi” una lapide trasformata in monumento alla libertà d’espressione e con su scritto: “Con tanti rigranziamenti al ministro dell’Interno Raymond Marcellin”. Tra le rivelazioni che hanno forgiato il mito del Canard enchaîné, facendone il più efficace giornale investigativo di Francia molto prima di Mediapart di Edwy Plenel, ci fu l’affaire Papon. L’anatra incatenata riportò a galla una parentesi di vita volutamente taciuta dal ministro del Budget del governo Barre: il suo ruolo centrale nella deportazione degli ebrei quando era segretario generale della prefettura della Gironda, il dipartimento di Bordeaux. Incolpato nel 1983 per crimini contro l’umanità, venne condannato nel 1998 a dieci anni di reclusione, dopo una lunga battaglia giudiziaria.
Dopo Papon, giunse la rivelazione scottante sul primo ministro Pierre Bérégovoy, che incarnava l’immagine del militante socialista integro, ma nel 1986 incassò un prestito di un milione di franchi da un imprenditore amico di François Mitterrand, Roger-Patrice Pelat, per l’acquisto un appartamento parigino. Fu una brutta storia, che si concluse con il suicidio di Bérégovoy, e la celebre frase di Mitterrand: “Avete dato in pasto ai cani l’onore di un uomo”. Il Canard si difese affermando che il trattamento era uguale per tutti, non c’era stato nessun accanimento, e aveva soltanto compiuto il suo lavoro di informazione ai cittadini. “Dobbiamo rendere conto solamente ai nostri lettori”, rispondono oggi i giornalisti del Canard a chi rievoca quel momento. Nel 1995, fu la volta di Alain Juppé, allora delfino di Jacques Chirac al comune di Parigi e in piena ascesa nella destra neogollista. Il Canard rivelò che Juppé viveva in un appartamento del comune di 189 metri quadrati a un prezzo di favore, e che al suo interno aveva fatto fare dei lavori per diversi milioni di franchi. Gli studenti lo aspettavano ogni giorno sotto casa gridandogli, “Merdone, paga la tua pigione!”, il Canard rincarò la dose poche settimane dopo dicendo che anche suo figlio alloggiava in un appartamento del comune a un prezzo agevolato, nella centralissima rue Jacob, e il “migliore tra noi”, come lo chiamava Chirac, fu costretto a traslocare. Nel 2002 fu celebre il numero del Canard che pubblicò il conto salatissimo delle “frais de bouche” lasciato dai coniugi Chirac dal 1987 al 1995, quando il “vecchio leone” del gollismo era primo cittadino. Tra cene trimalcioniche e opulenti banchetti per accogliere i suoi ospiti all’Hôtel de Ville, Chirac e consorte avevano sborsato l’equivalente in franchi di 2,1 milioni di euro. Nel 2011 è Michèle Alliot-Marie, allora ministra degli Esteri di Sarkozy, a dimettersi in seguito a uno scoop del Canard, che raccontò con il suo stile caustico le vacanze sontuose di Mam in Tunisia, subito dopo le prime manifestazioni contro Ben Ali, e i favori che questa ricevette da un controverso uomo d’affari vicino al potere tunisino. Per avvicinarci ai nostri giorni, lo scandalo più rumoroso scoperchiato dal settimanale satirico ha coinvolto la Cgt, il potente sindacato rosso francese. Thierry Lepaon, ex capo della Cgt, aveva utilizzato 130.000 euro presenti nelle casse dell’organizzazione sindacale per ristrutturare il suo appartamento di funzione. Era l’equivalente delle quote di 750 iscritti alla Cgt, come commentò perfidamente l’anatra incatenata.
Così Lepaon fu costretto a dimettersi, e l’affaire costò parecchio, in termini di immagine, all’organizzazione sindacale più importante di Francia. Per le sue rivelazioni, che hanno segnato la storia della Terza, Quarta e Quinta Repubblica, i giornalisti del Canard hanno subito un’infinità di processi, ma non ne hanno mai perso uno, i governi che si sono succeduti hanno tentato, chi più chi meno di meno, di metterli sotto intercettazione, o comunque di limitare il loro lavoro, ma tutti i tentativi si sono rivelati vani. Ce lo dice anche Jean-François Juillard, caporedattore e pilastro del Canard, che fu all’origine dell’affaire de la Mnef, una mutua per studenti tramite la quale Dominique Strauss-Khan si era arricchito personalmente. Lo scandalo finanziario fu talmente rumoroso, che il futuro direttore del Fmi, allora ministro delle Finanze del governo Jospin, decise di dimettersi. “L’affaire de la Mnef credo abbia giocato un ruolo importante anche nella caduta di Lionel Jospin, il che mi era dispiaciuto molto all’epoca, avendo per lui stima e rispetto. Ma era il mio lavoro”, dice al Foglio Juillard. Di minacce, il Canard, “non ne ha ricevute molte, a differenza di quello che si può pensare”, dice Juillard, “l’ultima è stata quella dei jihadisti, arrivata subito dopo la strage di Charlie Hebdo”. Di pressioni economiche, invece, non ce n’è nessuna, perché il settimanale satirico è totalmente indipendente: le azioni sono tutte in mano ai giornalisti, fatto che garantisce loro una totale libertà di movimento e di scrittura. Accanto a ciò, al Canard, “c’è uno scrupolo che è raro nella stampa francese: quello della stabilità finanziaria”, spiega Juillard. “C’è l’idea che non bisogna spendere più di quanto si guadagna. Fino a qualche anno fa, questa era considerata mentalità da droghiere.
Oggi, invece, tutti mi dicono che seguendo questa filosofia non si rischia di cadere nelle mani di Monsieur Niel (miliardario patron del Monde e dell’Obs assime a Pierre Bergé e Matthieu Pigasse) o Monsieur Arnault (presidente del gruppo del lusso Lvmh e editore del Parisien e di Echos). Quando l’ultimo che rimane in redazione se ne va, non si dimentica la luce accesa, la carta non la sprechiamo, e via discorrendo. Sono cose minuscole, ma che favoriscono la situazione solida del giornale, con spese di gestione stabili e limitate. Abbiamo una redazione che non è grande e in più non abbiamo il train de vie dei reportage degli altri giornali”. In effetti, il Canard, gode di buonissima salute. In controtendenza rispetto a tutta la stampa francese non ha pubblicità, rende pubblico ogni anno il suo bilancio, produce utili che fanno dire ai suoi giornalisti di troneggiare su una “riserva d’oro”, continua a viaggiare sulle 400.000 copie a settimana, e il suo prezzo, 1,20 euro, è rimasto invariato dal 1991 (in franchi ne costava 8). Così come l’estetica vintage, da foglio dell’Ottocento, e il rosso come unico colore oltre al bianco e nero. “La foliazione agile è rimasta la medesima. Salvo qualche numero speciale, il Canard è sempre stato di 8 pagine, abbiamo sempre avuto lo stesso formato, siamo sempre apparsi il mercoledì: è immutabile”, dice al Foglio Juillard. “Accanto a queste questioni più tecnico-estetiche, ci sono le principali caratteristiche del Canard: siamo sempre stati un giornale satirico, che crede nell’umorismo come pedagogia dell’informazione, non abbiamo mai avuto pubblicità, siamo sempre stati un giornale che utilizza un numero molto importante di vignettisti e siamo praticamente gli unici nel paesaggio giornalistico francese. C’è Charlie Hebdo, ma Charlie è un giornale di vignette: più di vignette che di informazione. Noi, invece, siamo un giornale anzitutto di informazione”.
L’“esprit Canard”, di cui tutto parlano, “non è facile a definire, da inserire entro dei contorni ben marcati”, spiega Juillard. “C’è stata sicuramente un’evoluzione, perché quando è nato, nel 1915 e 1916, c’era la Prima guerra mondiale. E’ stato fondato da delle persone che erano vicine alla sinistra pacifista, antimilitarista, anticlericale. Dopo la Seconda guerra mondiale (durante questo periodo il Canard non veniva pubblicato, ma veniva distribuito clandestinamente, ndr) le cose sono ovviamente cambiate: le idee anarchiche sono pian piano sparite e assieme a esse l’antimilitarismo”. Dopo l’attacco terroristico nella redazione Charlie Hebdo, il dibattito sulla libertà d’espressione è stato uno dei più accesi in Francia. Secondo Juillard, “il limite alla libertà d’espressione è quello che ci si impone da sé. Penso che si possa parlare di tutto, ma bisogna avere dei limiti. Questi limiti sono la vita privata e la legge. Noi lavoriamo rispettando la legge e la vita privata delle persone, ma sui soggetti non ci sono tabù”. Le fonti del Canard vengono dal mondo politico-istituzionale, da chi, in particolare, vuole regolare i conti sulla pubblica piazza, vengono da un’agenda di contatti densissima, vengono dalle email e le segnalazioni dei lettori, ma anche da quei giornalisti che hanno informazioni scottanti sul proprio editore, e che per ovvie ragioni non possono pubblicarle sul giornale per cui lavorano. “Partiamo da un’informazione e contattiamo più fonti possibili che ci permettono di dare questa informazione in maniera precisa, o partiamo da zero per mettere in piedi qualcosa.
Tutto molto classico, insomma. La vera differenza, invece, rispetto agli altri giornali, è la struttura del ‘carnet d’adresses’. Il fatto di essere al Canard Enchainé, col passare degli anni, permette di avere un’agenda di contatti un po’ particolare, con molte fonti sensibili nel mondo politico, giudiziario, della polizia e dei servizi. Non siamo solo noi ad andare a cercare i contatti e le informazioni: molti vengono verso il Canard, si confidano con noi perché abbiamo una certa integrità e una certa indipendenza”. Di adattarsi alla rivoluzione digitale, non se ne parla nemmeno, dice Juillard. Sul loro sito, volutamente rudimentale e limitato alle informazioni pratiche per contattarli, i giornalisti dell’anatra incatenata scrivono così: “Il nostro mestiere consiste nell’informare e distrarre i lettori con carta da giornale e inchiostro. Ed è sufficiente per tenere impegnata la nostra squadra”. Nel numero del centenario, il 6 luglio scorso, titolava così il palmipede: “En route pour le bicentenaire”. Verso altri cent’anni da guastafeste del giornalismo francese. Indipendenti e contromano. Lunga vita al Canard.
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