L'isola della prima repubblica
Da trent’anni sulla scena. Leoluca Orlando si prepara a diventare per la quinta volta sindaco di Palermo
Correva l’anno 1985. Era il maggio odoroso e mentre il Verona di Osvaldo Bagnoli si apprestava a festeggiare il suo storico scudetto e Mikhail Gorbaciov muoveva i primi passi da segretario del Pcus, a Palermo un professore democristiano trentottenne diventava sindaco. Si chiamava Leoluca Orlando, o Orlando Cascio, come ancora oggi qualche nostalgico lo chiama ricordando il doppio cognome usato dal padre, avvocato e professore. All’epoca al Quirinale sedeva per le ultime settimane Sandro Pertini e a Palazzo Chigi regnava Bettino Craxi. Oggi, quel professore democristiano che aveva mosso i primi passi in politica accanto a Piersanti Mattarella, il presidente della regione ucciso dalla mafia, scalda i motori per chiedere ai palermitani di riconfermarlo ancora sindaco, per la quinta volta, trentadue anni dopo. Trentadue anni trascorsi tutti all’ombra dell’ingombrante presenza di un politico che come pochi altri ha intrecciato un rapporto quasi carnale con la sua città, che gli è diventata quasi consustanziale.
Il primo mandato, da dc, nel 1985: erano le ultime settimane di Pertini al Quirinale, a Palazzo Chigi c’era Craxi
Un evergreen sopravvissuto politicamente senza battere ciglio alla Prima e alla Seconda Repubblica, Leoluca Orlando. Un vero e proprio primato nazionale il suo. Basta scorrere l’elenco delle liste che correvano alle elezioni del 1992, le ultime col proporzionale, prima di Tangentopoli e della caduta dei partiti tradizionali. Tra i Forlani e gli Occhetto, i Fini e i La Malfa, gli Altissimo e i Cariglia, solo un leader di partito di quella competizione elettorale siede ancora tra le prime file della politica italiana, ed è proprio l’allora leader della Rete. Già all’epoca abile e visionario interprete di quel sentimento antisistema che spinse i candidati del suo movimento legalitario ai primissimi ballottaggi per le amministrative delle grandi città: Nando Dalla Chiesa a Milano, Diego Novelli a Torino e Claudio Fava a Catania. Persero tutti. Non Orlando, che a Palermo tornò sindaco, direttamente eletto, per due mandati dal 1993 al 2000. Sulla stessa poltrona che aveva occupato nei difficili e insanguinati anni Ottanta, quelli della Primavera, della guerra contro i potentati democristiani e le infiltrazioni mafiose che si insinuavano in ogni anfratto di potere ma anche gli anni della spregiudicata polemica con Giovanni Falcone e la procura su quelle carte relative ai misteri palermitani che secondo Orlando sarebbero rimaste “nei cassetti”. Erano gli anni del sistematico “mascariamento” dell’avversario, del “sospetto anticamera della verità” professato dal gesuita Ennio Pintacuda, suo ascoltatissimo ispiratore prima di una clamorosa e mai sanata rottura, ma anche quelli del celebre articolo di Leonardo Sciascia sul professionismo antimafia che riportava proprio l’identikit di un sindaco innominato che a Orlando tanto assomigliava. Articolo per il quale l’intellettuale di Racalmuto collezionò sfregi e sputi dalle conventicole antimafiose che tra Roma e Palermo celebravano la fortunata ascesa del giustizialismo orlandiano.
Secoli appaiono trascorsi da quei (difficili) tempi, tanto è mutato, tutto fuorché Leoluca Orlando. Alle scorse amministrative aveva detto di non essere interessato. “Come volete che lo dica, in aramaico che non mi candido?”, ripeteva il Professore che sosteneva a quel giro Rita Borsellino. Ma quando la sorella del magistrato ucciso dalla mafia perse le primarie, Orlando scese in campo last minute, solo contro tutti, sbaragliando la concorrenza e sfiorando il successo già al primo turno. Al ballottaggio poi, fu un plebiscito.
Ora, a pochi mesi dalla tornata di amministrative che ha in Palermo la città più grande chiamata alle urne, il Pd locale sta
Gli anni di Pintacuda e del “sospetto anticamera della verità”, dell’articolo di Sciascia sul professionismo dell’antimafia
cercando di riallacciare un’alleanza con lui. Vani sono stati i tentativi dell’ultima ora dei dem di convincere qualche nome della “società civile” a scendere in campo per contrastare l’uscente. Che nella sua area politica ha fatto da quel dì terra bruciata. Senza mai lasciare le luci della ribalta ad altri che non fosse lui stesso, il Sinnacollando, come si dice nel ventre di Palermo. Nessun delfino, nessun erede, al massimo disciplinati gregari e un pugno di fedelissimi. Che Orlando ha distribuito ai vertici della gigantesca macchina che fa capo a Palazzo delle Aquile, sede del municipio. Una sorta di mastodontica holding che controlla decine di migliaia di posti di lavoro e anche aziende dal fatturato pesantissimo. Uno scampolo di socialismo reale che è anche una gigantesca piramide di consenso al cui vertice sta proprio Orlando, nella doppia veste di sindaco e di sindaco metropolitano, cioè capo della ex provincia.
Dalla doppia poltrona Orlando controlla, oltre all’esercito dei dipendenti comunali, anche le partecipate strategiche che gestiscono tutti i servizi, dall’acqua ai rifiuti – con risultati tragici sul fronte della raccolta differenziata, che a Palermo è ferma a percentuali imbarazzanti – e amministrano tra l’altro la gigantesca discarica di Bellolampo. E ancora, tra i pezzi pregiati del risiko manovrato da Orlando, la Gesap, società di gestione dell’aeroporto di Punta Raisi che comune e città metropolitana da lui retti controllano saldamente. Quella Gesap a cui l’Enac del sempreverde Vito Riggio, coetaneo del sindaco e suo vecchio compagno di strada ai tempi delle giovanili Dc (i due fondarono insieme a Sergio D’Antoni la sezione universitaria della Cisl di Palermo, poi ruppero), minaccia di dare il benservito per l’assenza dei fondi necessari ad attuare gli investimenti per la sicurezza dello scalo. Una vicenda che sa di vecchia baruffa tra sopravvissuti della Balena bianca ma che è anche un delicato scontro di potere su un asset più che strategico, che farebbe gola a più di un imprenditore del settore.
Eppure, malgrado il controllo di un impero pubblico talmente sconfinato, Orlando, da sempre abile comunicatore a suon di slogan, ha caratterizzato la sua azione politica sullo spartito antisistema: sindaco di lotta e di governo, come da una trentina d’anni a questa parte. E il gioco sembra riuscirgli. Questa settimana il Sole 24 Ore lo dava in netta ascesa nel sondaggio annuale sul gradimento dei sindaci. Era lui il più apprezzato tra i primi cittadini siciliani, mentre nella classifica della pagina accanto, Rosario Crocetta, per anni bersaglio degli strali dell’Orlando furioso, precipitava sempre più ultimo tra i governatori.
Rosario Crocetta e Leoluca Orlando (foto LaPresse)
“Gli altri cercano consensi, io ho il consenso”, sintetizza lui. Riuscendo a parlare da sempre alle due anime della città. Quella borghese di cui è espressione ma anche quella popolare, per la quale il Sinnacollando è ormai un’icona pop, alla stregua del pane con la milza e del Festino di Santa Rosalia. Nelle borgate per molti Orlando è ancora oggi ’u papà, dai tempi in cui, eccola tornare la Prima Repubblica, leggi nazionali e regionali aprirono le porte del comune di Palermo a infornate di precari di ogni sorta, rimasti per decenni a gravare sui bilanci pubblici. Lì, nelle periferie palermitane, o nei rioni popolari accucciati a un tiro di schioppo dal salotto buono della città, Orlando c’è. Anche fisicamente, perché come nessuno il sindaco da sempre è attento a presenziare e farsi sentire vicino dalla città. Alla vigilia dell’elezione al Quirinale di Sergio Mattarella, a cui Orlando fu vicinissimo in passato, in un’intervista il sindaco definì il futuro capo dello stato un politico che “non ama toccare e farsi toccare”, una pennellata che in negativo potrebbe rappresentare un suo efficace ritratto. “Il sindaco lo sa fare”, recitavano gli azzeccati manifesti della precedente campagna, che invitava i palermitani ad affidarsi all’usato sicuro. Funzionò alla grande.
E così oggi Orlando, sulla soglia dei settant’anni, si prepara a candidarsi per il suo quinto mandato. In una città in cui attorno a lui il tempo s’è fermato. Mentre procede la trattativa con il Partito democratico locale – ultimo capitolo della sindrome di Stoccolma della sinistra palermitana, che Orlando ha per decenni vampirizzato e condannato alla marginalità dai tempi dei Ds a oggi – sulla possibilità di un’alleanza, il Professore ha già stretto patti con altri pezzi di centrosinistra. E anche qui l’effetto macchina del tempo si fa sentire. L’accordo è già chiuso, ad esempio, con il Partito socialista, che a Palermo ha come uomo di punta quel Carlo Vizzini, classe 1947 come il sindaco, già cinque volte ministro per il Psdi di Longo e Nicolazzi tra il 1982 e 1992. Altro patto già in cassaforte è quello con Sicilia Futura, movimento regionale vicino ai renziani che fa capo a Salvatore “Totò” Cardinale, classe ’48, già uomo forte della sinistra democristiana ai tempi d’oro di Calogero Mannino, poi ministro delle Comunicazioni in quota Udeur con D’Alema e Amato. Quasi che ogni rivoluzione, a queste latitudini, non possa che tornare alla Dc.
Da sempre abile comunicatore, ha caratterizzato la sua azione politica sullo spartito antisistema: sindaco di lotta e di governo
Attorno a Orlando a questo giro ancora una volta ci sarà uno scenario diroccato. Con la concorrenza trasversalmente inguaiata dalle cronache giudiziarie. Il primo papabile avversario in odor di candidatura a essere eliminato dall’incrocio giustizia-politica è stato Francesco Cascio, già presidente del parlamento regionale, già Forza Italia e oggi Ncd, condannato in primo grado tre mesi fa per corruzione. Fuori uno.
Poi c’è il centrodestra, che arranca e non ha ancora ufficializzato il candidato, quel centrodestra che negli anni d’oro del berlusconismo riuscì a sconfiggere Orlando due volte (una volta alla Regione e una volta al Comune), imponendogli di fatto un esilio politico scandito da un errare per partiti fino all’approdo all’Italia dei valori di Tonino Di Pietro, suo ultimo domicilio politico conosciuto prima del recente salto antisistema che lo ha portato a fondare il “suo” Movimento 139 a cui oggi aderiscono i suoi consiglieri comunali. Storia recente, questa, quando già la “reconquista” palermitana era cosa fatta e i fedelissimi strategicamente piazzati in tutti i gangli strategici di una città in cui la leva della spesa pubblica resta ancora il fondamento dell’economia.
Solo macerie tutto attorno al Professore in questa competizione. Il giovane Fabrizio Ferrandelli, aspirante erede che allo scorso giro lo abbandonò, lo sfidò e le buscò al ballottaggio, tenta una difficile corsa solitaria su cui s’è abbattuto questa settimana il macigno della notizia di un’inchiesta per voto di scambio politico-mafioso, scaturita dalle dichiarazioni dell’ultimo pentito di Cosa nostra. Rivelazioni fresche quelle del collaboratore di giustizia, con tempi che sgombrerebbero il campo da maliziosi sospetti di avvisi di garanzia a orologeria. Solo un clamoroso colpo di fortuna per l’avversario da battere, appunto Orlando.
Per decenni ha vampirizzato e condannato alla marginalità la sinistra locale. Già chiuso l’accordo con il Psi di Vizzini
Come quello che che ha travolto i grillini, dilaniati in città da una faida senza quartiere tra due opposte fazioni, che è esplosa nella recente indagine sulle firme false che accompagnarono le liste delle ultime amministrative. Tra anatemi reciproci e screzi da social network, le due anime dei pentastellati cittadini si combattono senza quartiere con la pervicacia autodistruttiva da gang di bulli di quartiere. Alla fine il loro candidato sarà l’avvocato Ugo Forello, tra i fondatori di Addiopizzo, un altro esponente dell’antimafia organizzata che però ha in casa pentastellata i suoi primi nemici. Tutto grasso che cola per Orlando, grillino ante litteram. In lui politica e antipolitica da sempre trovano una sintesi per i palermitani. E al suo cospetto, i ragazzi di Grillo con i loro pasticci appaiono poco più che apprendisti stregoni. Tanto da far malignare più di un notabile di centrodestra a taccuini chiusi sull’ipotesi di fantomatici patti di non belligeranza tra Orlando e grillini, in vista di una mano d’aiuto del sindaco ai 5 Stelle alle regionali che si terranno il prossimo ottobre e che potrebbero incoronare il primo governatore grillino d’Italia.
Leoluca Orlando a Palermo (foto LaPresse)
Quella di Palermo è una partita vinta in partenza, insomma? Non è così scontato. Tra Leoluca Orlando e la sua quinta volta da sindaco c’è ancora una campagna elettorale che sarà attraversata dal malcontento e dalla protesta che ha caratterizzato tutte le ultime elezioni. Dalla sua il sindaco potrà menar vanto per il successo delle pedonalizzazioni, che hanno rianimato il centro storico. Contro di lui ci sarà la vendetta che i commercianti gli hanno giurato per la zona a traffico limitato che ha accelerato l’agonia di un pezzo di città vecchia.
Le incognite rimangono, insomma, come quella dell’alleanza tra il sindaco e il Pd, a cui Orlando vorrebbe imporre persino le forche caudine della rinuncia al simbolo. I dem siciliani stanno cercando di gestire la pratica senza finire troppo col cappello in mano e nei prossimi giorni proveranno a frenare la fuga in avanti dei loro cespugli che sono già stati folgorati sulla via del Professore. Che tace sornione da un pezzo, pregustando il tuffo nella mischia, lui tanto appassionato di football americano da presiedere da anni la federazione nazionale dello sport amato negli States della sua amica Hillary Clinton. Attende Orlando, che aprirà alla fine del mese la campagna elettorale. L’ennesima. Ci sarà tempo per puntare, a suo modo, il bersaglio di turno. Come gli andreottiani negli anni Ottanta. Bei tempi per i rivoluzionari, oggi tocca accontentarsi di attaccare Crocetta.
Il Foglio sportivo - in corpore sano