Una scimmia per Bollorè
Dall’Isola alla D’Urso, il trash padrone della tv. Piacerà al finanziere che vuole scalare Mediaset?
Gli ultimi ritrovati dell’“Isola dei Famosi” sono una scimmia come giudice di gara, un percorso tematico e la trasformazione di Vladimir Luxuria in una sfavillante Alda D’Eusanio. Il tema è il racconto dell’evoluzione umana. “E’ un’isola antropologica”, ha ripetuto compulsivamente Alessia Marcuzzi per tutta la prima puntata. “Ripercorreremo tutte le fasi evolutive dell’uomo, e a seconda del vostro grado di evoluzione potrete andare avanti”. Un’“Isola” sospesa tra Lévi-Strauss e “Ciao Darwin”. Un’“Isola” che “sembra un garage”, come ha detto Ceccherini lamentandosi dei tagli (l’“Isola che ho fatto io era diversa, c’erano cose da pescare, qui non c’è nulla”). Un’“Isola” che prova a sfruttare l’onda lunga del “Grande Fratello Vip”, con Stefano Bettarini inviato in elegante muta-smoking che sembra uscito da una reunion dei reduci di “Baywatch”.
Il nuovo look di Vladimir Luxuria è invece un omaggio all’icona degli antichi, indimenticati pomeriggi di “Al posto tuo”. Un volto impresso per sempre nella memoria catodica degli italiani, scolpito nelle vette del nostro “Monte Trashmore” accanto a quello di Funari, Barbara D’Urso, Mara Venier, Paolo Limiti e Floradora, l’inseparabile barboncino col ciuffo fucsia che aveva già la pettinatura à la Trump. Guardiamo “L’Isola” e vediamo Luxuria, ma la mente ritrova tutte le epifanie di Alda D’Eusanio. Alda D’Eusanio con addosso la T-Shirt “Dalla: non è un cantante, è un consiglio”, Alda D’Eusanio che sculetta con la busta della mondezza in segno di indignazione per l’etichetta di tv spazzatura, Alda D’Eusanio esiliata da Gasparri, messa al bando dalla Commissione di vigilanza Rai, attaccata da Avvenire e bullizzata da “Striscia la notizia” che la elesse “regina delle bufale” tanti anni prima delle fake news sui social. A distanza di tempo, Mediaset si fa perdonare e trasforma il transessuale Luxuria in una copia esatta di come sarebbe Alda D’Eusanio esposta al “Madame Tussauds” di Roma, tra Padre Pio, Napoleone, Totti e Obama. Il “Grande Fratello” e l’“Isola” sono un continuo inabissamento nel passato televisivo. Il trash televisivo vive di nostalgia. E’ come se per i reality quel momento aureo della tv generalista sospeso a cavallo tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila non fosse mai passato e non dovesse mai passare.
D’altronde, il pubblico è grosso modo lo stesso, visto che gli adolescenti e le fasce più giovani abbandonano la tv per i contenuti on-demand e se stanno seduti sul divano sono chini sull’iPad. Ma anche il trash cambia, evolve, si aggiorna. L’asticella si abbassa ma l’indignazione cede il posto all’imperturbabilità. La sproporzione tra l’aspettativa della nuova edizione di un programma e il suo effettivo contenuto è cresciuta a dismisura come una bolla finanziaria. I format sono vecchi. Il pubblico anche. Tutti si chiedono quanto potrà durare. Il trash meccanico, routinizzato, genera noia. Faceva tenerezza Alessia Marcuzzi l’altra sera, quando per calmare gli animi dei naufraghi che già volevano mollare il programma provava a scuoterli facendo appello al sentimento patrio, “dai fate vedere agli italiani che avete voglia di fare quest’Isola”. Come un rituale stanco, una cena coi parenti sotto le feste, un richiamo all’ordine per dare un senso a tutte quelle biografie irrilevanti, inclusa Malena, la pornostar che ha tradito il Pd per Rocco Siffredi a cui gli autori fanno dire “sono tutta bagnata” nel mezzo della pioggia della prima puntata. Ma forse il senso dell’incitamento della Marcuzzi era un altro; “dai, fate vedere a Bollorè che facciamo il ventitré per cento di share, sennò non ci compra nessuno”. Lo share è oscillato attorno al ventuno. Non come nelle previsioni per l’esordio di un programma decisivo di una rete e meno degli spettatori di Inter-Lazio. Un aspetto su cui torneremo, perché è qui che si costruisce ogni riflessione sul “trash” della tv generalista. Nel frattempo, il pubblico dell’“Isola” se l’è presa con la scimmia, la “Dottoressa Tibi”.
Come ha ricordato Vladimir Luxuria, la Dottoressa Tibi è di gran lunga il personaggio col curriculum più prestigioso del programma, avendo già recitato con Nicole Kidman, Audrey Tatou, Omar Sy. E’ lei il metro di paragone delle prove dei naufraghi, anche se loro non lo sanno, perché il comitato scientifico è invisibile come quello di Magalli nei “Fatti vostri”. La scimmia contro Ceccherini, la scimmia contro Moreno, Raz Degan, Samantha De Grenet, con gli editoriali di Sandro Mayer su Dipiù già pronti a rilanciare il dibattito tra evoluzionismo e creazionismo nell’epoca della post-verità. “Scoppia la polemica sulla scimmia Tibi”, scrive la Stampa, perché “in molti hanno giudicato fuori luogo un confronto diretto tra l’umano e la scimmia”. La scimmia nel frattempo ha già battuto Ceccherini e Eva Grimaldi in una prova sulle capacità mnemoniche. Può succedere. Ma, fatta salva la sua indubitabile bravura di attrice, non si capisce se la scimmia Tibi sia un’allegoria dei naufraghi, dello spettatore, dello slancio inventivo degli autori, o tutte e tre le cose. Di certo, è il segno dell’edizione antropologica, l’anello mancante tra “Ciao Darwin” e “L’Isola” che ci ricorda quanto l’intrattenimento della tv generalista sia ormai un unico, grande format che sconfina e rimbalza in continuazione da un programma all’altro. La scimmia è un richiamo subliminale al Dottor Lemme che a “Domenica Live” urla “scimmia” alle donne ospiti in studio. Il mostro del momento, un “genio”, un “extraterrestre”, un “domatore di donne” come si definisce nei suoi libri, “L’uomo che sussurrava ai ciccioni” e “La rivoluzione dimagrante”. L’ultima scalata di “Domenica Live” verso le vette del trash si è costruita grazie ai suoi insulti meccanici agli obesi e alle donne, che nella sua teoria occupano il gradino più basso dell’evoluzione.
Lemme che urla “scimmia”, “testa di donna”, “esseri inferiori” a Manuela Villa, Nadia Rinaldi, Platinette, Rosanna Lambertucci e fa impallidire persino il grido disumano del post-metallaro caduto in disgrazia, Richard Benson, giunto a “Domenica Live” a chiedere aiuto. Lemme intercettato al telefono che dice a una sua paziente in cura, “mangi le cipolle e se ne vada a fanculo, scimmia!”. Domenica scorsa, con l’esposto dell’Ordine dei farmacisti italiani, potrebbe essere stata la sua ultima volta nel salotto di Barbara D’Urso. Vedremo se gli autori sapranno fare a meno di un catalizzatore di indignazione come non se vedevano da un po’. Uno in grado di dire “stimolerò il cervello umano affinché prenda coscienza di cosa sta succedendo, ci saranno stimoli cerebrali diretti e indiretti: non potete perdere la trasmissione”. Con Lemme, Barbara D’Urso è riuscita nell’impresa di comprimere nella stessa puntata il suo proverbiale “impegno contro la violenza sulle donne” e la misoginia paranormale del farmacista di Desio. Ma Lemme non è un mostro inedito. Lemme è la sintesi di anni di sperimentazione sulle visioni di Otelma, le televendite di Roberto da Crema, la trance di Giucas Casella, le vibrazioni di Solange, gli insulti alle donne pelose di Wanna Marchi e Stefania Nobile. Lemme è un riepilogo e un rilancio, ma sempre radicato nella memoria della tv e della sua autocelebrazione. Non a caso, indossa solo giacche a quadri colorate e “bow tie” rosa à la Paolo Limiti. La differenza rispetto al trash di vent’anni fa è che oggi non ci facciamo più caso.
New entry di quest’anno all’“Isola” la “Dottoressa Tibi”, una scimmia come metro di giudizio
Il trash è invecchiato come il suo pubblico. Come il guizzo di Iva Zanicchi che zompa dietro il divano di “Carramba”, si accascia, tira su il vestito e fa la pipì in diretta immortalandosi in una performance degna di Marina Abramovic´. Cose che all’epoca sembravano un punto di non ritorno, e che oggi fanno quasi tenerezza. “L’ho fatto perché sono una donna generosa”, confesserà in un’intervista a “Libero” molti anni dopo. “Un impresario con cui avevo lavorato in Argentina ha bussato al mio camerino e mi ha presentato un illusionista spagnolo e io, per fargli fare bella figura ho finto di andare in trance e di essere ipnotizzata. Sono fatta così: quando si può dare una mano a qualcuno, non mi tiro indietro”.
Non ci fu alcuna pipì. Il solito, inossidabile “print the legend”. Nel frattempo, con oltre un milione di visualizzazioni su internet, la pipì di “Carramba” si trasformava in cacca e diventava l’epitome di una irripetibile stagione del trash italiano, da rivedere su YouTube con il ralenti e lo zoom. Si parlava molto di “tv spazzatura” all’alba del Duemila. Spuntò persino un comitato etico promosso dall’Unesco, dedicato a Karl Popper, con Dario Fo e Gabriel García Márquez, messo su con lo scopo di “contrastare i crimini mediatici attraverso la manipolazione dei messaggi e l’esaltazione dei non valori”. Per Lemme non basterebbero due processi di Norimberga. Poi abbiamo smesso di preoccuparci della responsabilità degli autori o dei direttori di rete. Ci siamo appassionati al dibattito sulla responsabilità di nuovi “editori” come Facebook e Google. Eppure, il trash televisivo è ancora lì. Che ne sarà di lui? Ci sono almeno due risposte possibili. La prima è di carattere “antropologico”, direbbe Alessia Marcuzzi. Il trash ci sarà sempre, come una condizione spontanea, primordiale, uno stato insopprimibile dell’animo umano. “Contrariamente al convincimento popolare”, osservava lo storico Daniel Boorstin, “la grande scoperta del Circo Barnum non fu su quanto era facile ingannare il pubblico, ma, piuttosto, quanto al pubblico piacesse essere ingannato”.
Da questo punto di vista, il trash resta il nutrimento profondo di ogni forma di spettacolo a base voyeuristica e inserzioni pubblicitarie. Questo ci conduce alla seconda risposta, decisamente meno antropologica. Il destino del trash, ovvero, è legato a quello della tv generalista. Un destino che secondo le previsioni di mercato di Vivendi può trovare riparo proprio nel nostro paese. Agli occhi di Bolloré, il nodo strategico di Mediaset è la tv in chiaro, non certo la pay che da noi è tra le peggiori d’Europa. A rendere ancora più interessante l’azienda di Cologno è infine la dinamica stessa del mercato televisivo italiano, che poggia tutto ancora sul digitale terrestre e sul satellite, lasciando a internet quote di spettatori del tutto irrilevanti. Aggiungiamo l’età media della popolazione italiana e il gioco è fatto. E’ questo lo scenario che rende possibile per Publitalia vendere “L’Isola” promettendo agli inserzionisti il 23 per cento di share, una mossa azzardata, costruita in fondo sulle acque stagnanti del nostro mercato televisivo. Ma poiché ci si impegna sopra una previsione in un campo che ha le stesse certezze del poker, è qui che ritroviamo la funzione salvifica del trash.
A suo tempo, un intellettuale acuto e raffinato come Tommaso Labranca lo definiva “l’emulazione fallita di un modello alto”, ovvero l’intenzione da cui sottrarre il risultato ottenuto, praticamente una formula matematica applicabile a tutta l’industria culturale. “Nel programma di vendite a domicilio ‘Domenica con Semeraro’, il presentatore Walter Carbone cerca di emulare Pippo Baudo, ma non potendo invitare Madonna e dovendo ripiegare su Mario Tessuto, il suo risultato è trash. Nei suoi libri e film Alberto Bevilacqua cerca di emulare certi artisti aulici, ma innestando l’estetismo decadente sulla crapulaggine parmense, il suo risultato è trash”. La teoria di Labranca andrebbe rivista alla luce di come stanno andando le cose. Anzitutto, il trash sa offrirsi, all’opposto, anche come dilatamento e saturazione di modelli già trash di per sé, vedi il caso della web serie di Lory Del Santo, “The Lady”. La teoria è invece perfetta se la spostiamo dalla riflessione culturale al modus operandi di Publitalia. Anche loro puntano a un modello alto, cioè vendono un prodotto promettendo un’ampia quota di share (intenzione) e se il risultato non si raggiunge, si corre ai ripari. Gli autori sono chiamati in corsa a correggere il tiro verso il basso, a botte di lotte nel fango, flatulenze notturne, bestemmie, sesso, urla e scimmie, e tutto l’armamentario lecito e illecito per corteggiare senza pudore la parte più ignobile di ognuno di noi. Il trash funziona insomma per il mercato della tv generalista in chiaro grossomodo come i mutui subprime ad alto rischio per quello finanziario. Ci si può costruire sopra un impero. Tutto sta a vedere quanto può durare.
Il Foglio sportivo - in corpore sano