Grillo s'è preso la tv
Dal populismo peloso di Giletti alle intemerate delle “Iene”: chi sono i nuovi predicatori del M5s
All’epoca di “Mani pulite” le parole d’ordine erano “piazza”, “corruzione”, “società civile”. Parole celebrate e amplificate da “Samarcanda”, “Il Rosso e il nero”, “Profondo Nord”, “Milano, Italia”, “Un giorno in pretura”. Programmi che raccontarono, spinsero e incoraggiarono la transizione tumultuosa tra la Prima e la Seconda Repubblica. La parola con cui entreremo nella Terza è “vitalizio”. Format del momento e nutrimento di una fluviale epica televisiva del risentimento. Le serie tv americane superano il cinema, la televisione italiana sorpassa il grillismo: “Brignano racconta i vitalizi della casta” (“Le Iene”), “Mr. Neuro contro i vitalizi del Trentino” (“Striscia la notizia”), “Parlamentare per un giorno, vitalizio per sempre” (“Quinta Colonna”), “Oltre i vitalizi, i mille privilegi della casta” (“La Gabbia”), “La casta colpisce ancora - I vitalizi” (“L’aria che tira”), “Ambra racconta i vitalizi” (“Piazza pulita”), “Orgoglio e vitalizio”, l’ultimo monologo di Massimo Giletti all’“Arena”, tratto dall’omonimo libro di Primo Di Nicola del Fatto Quotidiano.
Conviene partire proprio da qui. Dall’“Arena” e da Massimo Giletti, conduttore né di destra, né di sinistra, quindi candidato premier ideale per il ruolo di Michele Santoro della Terza Repubblica o prima dell’èra grillina. Nato da una costola di “Domenica in”, “L’Arena” dei primi anni Duemila affrontava temi come la castità, il tradimento, il fumo passivo, l’alternativa tra amore e carriera, frappe e castagnole. Un giorno, mentre Luisa Corna sta finendo di cantare “Roma capoccia”, Giletti entra in studio con una copia gigante della Costituzione e annuncia l’arrivo di Giulio Andreotti. E’ il primo gennaio del 2006. Inizia la lenta ma inesorabile discesa in campo di Massimo Giletti. Nell’edizione successiva, “L’Arena” si popola di politici e di politica, cambiando pian piano registro. Manca solo un’assimilazione minima della “casta” di Rizzo e Stella che intanto è lì sul comodino. La trasmissione si dilata a dismisura fino a sganciarsi da “Domenica in” e diventare un talk politico puro.
Massimo Giletti: nel gennaio del 2006 la “discesa in campo” all’“Arena”, con una copia gigante della Costituzione e l’annuncio dell’arrivo di Giulio Andreotti
Dopo il furioso faccia a faccia con Berlusconi e il lancio letterale del libro di Mario Capanna, scaraventato per terra al culmine di una lite sui vitalizi, la metamorfosi è compiuta. “Abbiamo rotto un tabù, abbiamo portato la riflessione, l’approfondimento, l’inchiesta: prima la domenica c’erano solo nani e ballerine”, diceva Giletti all’epoca della scissione da “Domenica in”, “la mia è una tv che rispecchia la società di oggi, che è diversa da quella di dieci anni fa, c’è la voglia di capire: io ho interpretato questa voglia”. Al posto di nani e ballerine, domenica scorsa c’erano l’ex deputato dell’Assemblea regionale siciliana, Biagio Susinni e il suo avvocato Lattuca, piazzati tutti e due su un trespolo, nascosti dietro le quinte come i cantanti di “X Factor”. Preceduto dal consueto refrain di Vasco, “Buoni o cattivi”, Giletti esordisce spiegando “i dati” dello sperpero siciliano che giganteggiano nella scenografia. Poi avanza lentamente verso la telecamera, lancia uno sguardo da crooner, ed è subito “confidentiality”: “Sapete, ho avuto due o tre telefonate che mi hanno invitato a non rompere le scatole sui vitalizi, ma io vado avanti… e ora non sono solo in questa battaglia”. Giletti non è più solo perché ora c’è Pif. Parte un video con le stesse cifre di prima, ma urlate da Pif a RadioDue, come antipasto dell’urlata furiosa a Crocetta di qualche giorno dopo, circondato da disabili, fotografi e telecamere. Parte un servizio con gli inviati dell’“Arena” che inseguono i detentori di vitalizi per le strade. Ospite in studio, Laura Revetto sente il dovere di complimentarsi con il conduttore “per come riesce a trattare questi temi importanti, senza essere demagogico”. Sfilano finalmente le scenografie, come a “C’è posta per te” quando Maria apre la busta. Dietro il muro, l’imputato: Biagio Susinni, 65 anni portati male, ex sindaco di Mascali, otto anni da deputato regionale, processi e arresto per mafia, vaga somiglianza con Totò Riina. L’ospite perfetto. “E’ chiaro che non facciamo una questione su di lei”, dice Giletti, specificando di non essere “un pm” e ricordando al pubblico che “tutti gli indennizzi e i vitalizi di Susinni sono legali”, ma “il fatto che siano legali è ancora più grave”. Applausi.
Giletti si gioca il siciliano trasportatore in collegamento da Torino che fa i sacrifici e “non ha di che mettere a tavola” contro il siciliano della casta. Parola ai giovani in studio: “Questa settimana ho letto una frase di Pertini sull’onestà e l’altruismo, mi auguro che non tarpiate le ali al futuro”. Quando Susinni ricorda che non è in carica da venticinque anni, Giletti si spazientisce: “Susinni lei è un privilegiatoooo”. Applausi, ovazioni. Poi il colpo di grazia: “Lei è stato condannato per abuso di atti d’ufficio nel 1995, poi nel 2008 e nel 2012 ha una serie di procedimenti pesanti, mafia, corruzione e prende ancora il vitalizio?” “Eccerto”. Sipario.
Nel 2015, rifiutando la candidatura a sindaco di Torino con il centrodestra, Giletti diceva di “non sentirsi pronto”. Preferisce “fare politica in televisione”, ma non esclude di ripensarci. “Ho un consenso di quattro milioni di persone che mi seguono sull’‘Arena’, posso avere qualcosa da dire anche in politica”. La traiettoria anticasta di Giletti sintetizza bene il nuovo corso. Le lottizzazioni in Rai sfumano, il futuro di Mediaset è incerto, l’M5s stacca tutti e vola al 32 per cento nei sondaggi nonostante la catastrofe romana. Il partito della nazione c’è già. E’ l’abbraccio tra grillismo, indignazione, risentimento popolare e televisione. Più Grillo se la prende con i media, più i media assecondano le battaglie del M5s, un po’ come lo stato con i taxi. In tv, i primi a cercare di accreditarsi come simboli anticasta sono naturalmente i politici. Emblematica l’ospitata del 2013 di Grasso e Boldrini da Floris a “Ballarò”: “Vorremmo proporre la riduzione del 30 per cento del nostro compenso, l’aumento delle ore di lavoro e la giustificazione delle spese perché abbiamo scoperto che sono rimborsate in modo forfettario”. Mancavano solo gli scontrini.
Venerdì scorso, a “Omnibus”, intervenendo sulle proteste anti Uber, Michele Emiliano dice che “le lobby vogliono far fuori i piccoli” e “i tassisti sono gli uomini politici più intelligenti d’Italia perché parlano con la gente”. La gente è la nuova religione dei talk. Poi c’è “il popolo”, messo in soffitta negli anni Ottanta e ritornato all’assalto come Bersani e D’Alema. Più se la prendono col “populismo”, più evocano la vocazione salvifica del “popolo”. La piazza ha stancato. C’è rimasto solo il cortiletto di “Quinta Colonna” e la sua sfilza di Cantù Cermenate schierate tutti in piedi sotto il campanile del paese coi cartelli contro gli immigrati negli alberghi. Piazze esigue, piazze di destra. Buone per un Trump italiano che, non a caso, Berlusconi ha già individuato in Paolo Del Debbio. La piazza di Santoro quella sì che era emblematica. Funzionava come opposizione di “realtà” all’Italia “virtuale” e “aziendale” di Berlusconi. Oggi c’è “Piazza pulita”, c’è “La Gabbia”, c’è “Carta bianca”. Pulizia, risentimento, trasparenza.
L’allievo di Santoro, Riccardo Formigli, sforna speciali che sembrano usciti dal blog di Grillo: “I reportage di ‘Piazza pulita’ sono un atto di accusa verso un sistema corrotto e anche verso noi cittadini, troppo spesso passivi e quindi conniventi di fronte al disastro: non può esistere una nazione sana e civile se la sua è una capitale infetta”. Il racconto di Mafia Capitale è un altro di quei cavalli di battaglia che fanno impennare l’M5s nei sondaggi. Vedi l’ultimo reportage di “Presa diretta” di Riccardo Iacona, team Santoro, andato in onda sabato scorso e costruito come una lunga flânerie tra i ristoranti burini del centro e il degrado delle periferie tenuti assieme dal filo rosso delle mafie, rigorosamente al plurale. A “Presa diretta” riviviamo il summit al fungo dell’Eur tra la banda della Magliana e la ’ndrangheta. Immagini minacciose del “fungo” ripreso dal basso. Un sole infuocato che tramonta sulla Cristoforo Colombo. “Perché si incontravano qui?”. “Perché a Roma non si fa la guerra ma ci si mette d’accordo”; “Le mafie a Roma non si accontentano mai”; “A Roma si incontrano tutte le mafie del mondo”; “Tor Bella Monaca supermarket della droga a cielo aperto”; “le organizzazioni paramilitari di San Basilio”. Una Roma postapocalittica peggio di Suburra, Caracas, Bogotá. Inseguimenti raccontati dall’interno della volante, riprese in camera-car, “devi anna’ a destra, svorta suaa casilinaaa, sbrigate che scappano”. Anche per questo, contrariamente alle previsioni di quelli che “lasciamo che prendano Roma così tutti vedranno che non sono in grado”, più Virginia Raggi sprofonda in Campidoglio, più il Movimento si compatta sul territorio. Perché se Roma è in mano alle “mafie”, non è che possiamo stare lì a preoccuparci delle nomine, delle paralisi dell’Atac e della mondezza.
I nuovi talk accompagnano la metamorfosi del M5s nel delicato, cruciale passaggio da forza antisistema a compagine di governo. Martedì scorso, al suo esordio in prima serata, Bianca Berlinguer ha introdotto l’analisi del “sentiment” dei politici. “Analizzeremo il gradimento del politico ospite in studio giudicando in tempo reale tutto ciò che dice”. Un gruppo d’ascolto in puro streaming grillino. Apoteosi del “sentiment” per Di Maio quando dice “il movimento ha superato la distinzione tra destra e sinistra”. “Ha convinto gli spettatori emotivamente”, spiega Berlinguer. Se non altro, a Gianluigi Paragone va riconosciuto di essere stato tra i primi ad adeguarsi al nuovo corso grillino, quando a “Ultima parola” su RaiDue sfoderò la sua band, “Gli Skassakasta” lanciatissimi nelle cover di Vasco.
Dopo un radicale cambio di look a metà tra Vito Crimi e Max Pezzali, Paragone oggi è un apprezzato conduttore antisistema che a “La Gabbia Open” raggruppa il partito del risentimento, le battaglie contro i vitalizi, l’uscita dall’euro, la guerra ai poteri forti e lancia Di Battista libero e senza freni su Mps, Goldman Sachs, le chat di Virginia, lo stadio della Roma, il Flaminio alla Lazio. Lontanissimi ormai i tempi del diktat di Grillo contro le ospitate televisive degli eletti nelle file del Movimento. “Chi partecipa ai talk-show deve sapere che d’ora in poi farà una scelta di campo”, scriveva sul suo blog nel 2012. La scelta di campo l’ha fatta la tv. Oggi lui ha uno show tutto suo su Netlfix, e nei palinsesti non c’è talk senza grillini. L’ultimo programma a cadere sarà “Porta a porta”, roccaforte dell’establishment tradizionale, finché l’establishment non saranno loro. Ma a quel punto, lo condurranno Fedez e JAx.
Lungi dall’essere figlio di Internet e della cultura digitale (immaginatevi quelli della Silicon Valley che si scagliano contro Uber), l’M5s capitalizza e porta alle estreme conseguenze quarant’anni di sperimentazione televisiva sulla “democrazia diretta” del pubblico, quarant’anni di lento ma inesorabile ribaltamento dei rapporti tra politica, istituzioni e società civile. Come scrive Edoardo Novelli, a partire dagli anni Novanta “è la televisione o meglio un suo particolare utilizzo e concezione che si trovano in linea di collisione con l’intero sistema politico e i suoi rappresentati, intenzionati a difendere un ruolo di rappresentanza che la tv sta progressivamente erodendo” (“La democrazia del talk-show).
Nel 1980, lanciando “L’Altra campana”, uno dei primi talk italiani, Enzo Tortora diceva che rappresentava “il primo tentativo di far votare la gente da casa, perché tra vent’anni le elezioni si terranno via televisore”. Un’ipotetica genealogia televisiva del grillismo parte da qui. Passando per i monologhi animalisti di Adriano Celentano a “Fantastico ’87”, i funambolici talk-show di Gianfranco Funari che aggredisce la politica “dal basso”, le piazze radicalizzate di Santoro, la società civile di Gad Lerner, i complotti di “Report”, le inchieste anticasta delle “Iene” e “Striscia la notizia”, fino ai reality show e al “Grande Fratello”, punta avanzata del percorso di spettacolarizzazione della “voce della gente” e celebrazione della trasparenza, della democrazia diretta, del tracollo delle élite, pura incarnazione televisiva dell’“uno vale uno”. In fin dei conti, è un miracolo che nei sondaggi l’M5s sia solo al 32 per cento.
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