Toscanini gioca a nascondino con la nipote (foto dalla collezione privata della contessa Emanuela di Castelbarco, in concessione alla Fondazione Arturo Toscanini)

Un ponte chiamato Toscanini

Parole e musica: tra Italia e Stati Uniti, Salini Impregilo ricorda il leggendario direttore nato 150 anni fa

Negli ultimi anni della sua vita, Arturo Toscanini si lamentava di chi, credendo di fargli il più lusinghiero dei complimenti, diceva che era sempre rimasto se stesso: “È la cosa più stupida che io abbia sentito raccontare su di me. Non sono mai stato uguale a me stesso, nemmeno da un giorno a quello dopo. La gente forse non lo sapeva, ma io sì”. Il maestro Antonio Pappano, nell’introduzione al volume che celebra i 150 anni della nascita del leggendario direttore d’orchestra edito da Rizzoli e prodotto da Salini Impregilo, scrive che questa frase “potrebbe essere la premessa ideale per una riflessione sul ruolo fondamentale di Toscanini nella storia dell’interpretazione musicale”. In effetti il suo proclamarsi sempre diverso dalla rappresentazione che gli altri ne davano segnala quel tratto cangiante e inafferrabile che spesso certifica il genio. F. Scott Fitzgerald diceva che le grandi menti non sono quelle capaci di produrre una grande idea, ma di abbracciare contemporaneamente due idee contraddittorie.Toscanini era un groviglio di contrasti in continua evoluzione. Esecutore dotato di teutonica precisione eppure inondato di calore latino, era un patriota cosmopolita, un ribelle rigoroso, un eremita mondano, un lussuoso austero, un fedele fedifrago, uno che per amore dell’Italia ha deciso di abbandonare la sua “pestilenziale atmosfera mussoliniana” per abbracciare

Esecutore dotato
di teutonica precisione eppure inondato
di calore latino. Era
un groviglio di contrasti in continua evoluzione

l’America, la seconda patria che ha preso a narrare la leggenda del maestro d’oltreoceano quando questi era ancora in vita. È stato il direttore d’orchestra più raccontato e celebrato dell’epoca contemporanea. La sua stella è impressa sulla Walk of Fame di Hollywood accanto a quelle di una manciata di italiani saliti nell’olimpo della fama globale, Zeffirelli ne ha catturato la giovinezza in una pellicola memorabile, la Nbc Symphony Orchestra ha eseguito centinaia di opere sotto la sua direzione, attività febbrile che ha prodotto 191 dischi e innumerevoli ore di registrazioni video per la posterità, il Time lo ha messo sulla copertina per tre volte, attenzione che non è riservata nemmeno a tutti i presidenti americani, il biografo Harvey Sachs ha esplorato ogni piega della sua vicenda umana, le televisioni di mezzo mondo lo hanno ripreso e celebrato, il vasto corpus epistolare ci ha consegnato un’infinità di sfumature del maestro e dell’uomo privato, ma ugualmente l’essenza di Toscanini sembra allontanarsi in una densa nuvola di contraddizioni. C’è forse “troppo d’assoluto” nel suo cuore, come recita il felice titolo di una raccolta delle sue lettere, per poter esaurire un personaggio che spesso si presentava come un enigma anche a se stesso.

 

Ricorrenze e anniversari dei grandi della cultura sono talvolta circostanze stucchevoli, sia che si presentino nella forma patetica dell’amarcord sia in quella più sostenuta del convegno, e quando si tratta di un genio in continua evoluzione, per afferrarlo non si può misurare, perimetrare, ponderare. Occorre tentare l’impresa di far rivivere. Il 25 marzo si festeggiano i 150 anni dalla nascita del maestro nato a Parma, adottato da Milano e poi reso immortale nella sua New York, un eroe dei due mondi che univa rigore atlantico e passioni mediterranee. Per celebrarlo, Salini Impregilo ha organizzato una serie di iniziative fra l’Italia e gli Stati Uniti con lo scopo di rievocare non già un grande direttore d’orchestra, ma il “fantasma”, così lo definisce Pappano, con cui tutti i direttori di tutte le epoche sono chiamati a confrontarsi. Il gruppo industriale italiano che si occupa di grandi opere come il Canale di Panama e la metropolitana di Riad ora si occupa di grandi opere come “Turandot” e “Pagliacci”. Sono sfaccettature differenti di un medesimo genio italiano. La natura transatlantica dei festeggiamenti di Toscanini va a braccetto con la traiettoria di sviluppo del gruppo che lo scorso anno ha acquistato Lane, colosso della costruzione di strade con sede in Connecticut che fattura circa un miliardo e mezzo di dollari. Giusto per ricordare che l’Italia non è soltanto turismo ed esportazione di prodotti culturali “soft”, ma è un coacervo di elementi eterogenei, una sinfonia di arte e asfalto.

 

La natura transatlantica dei festeggiamenti
del maestro
va a braccetto
con la traiettoria
di sviluppo
del gruppo industriale

I festeggiamenti iniziano alla Scala il 21 marzo con la presentazione del libro fotografico “Toscanini. The Maestro: a Life in Pictures”, che raccoglie immagini inedite selezionate dal professor Capra, e con il lancio di una mostra sul maestro presso il museo teatrale. Il 25 marzo, sempre alla Scala, ci sarà invece un concerto per rievocare Toscanini. Se i muri del teatro milanese potessero parlare, racconterebbero delle rivoluzioni che all’inizio del secolo Toscanini ha portato nel modo di mettere in scena l’opera, dall’idea di abbassare completamente le luci in sala, per favorire il processo di immedesimazione del pubblico e minimizzare le distrazioni, all’introduzione della fossa per i musicisti fino alla tassativa chiusura delle porte d’ingresso per i ritardatari, usanza che potrebbe essere riproposta con profitto in molti ambiti della vita pubblica. Quegli stessi muri racconterebbero anche di essere stati coperti, molti anni dopo l’esilio del maestro, di invocazioni d’amore venate di nostalgia: “Lunga vita a Toscanini”, “ritorni Toscanini”. Sono stati distrutti dai bombardamenti nel 1943, ed è stato grazie alle donazioni dello stesso Toscanini che sono stati riedificati in poco tempo.

 

L’intermezzo fra la direzione e la distruzione del teatro è stata la fase più nera della vicenda umana del maestro. Sono stati gli schiaffi di una camicia nera fuori dal Comunale di Bologna a far precipitare definitivamente le cose. Si era rifiutato di eseguire “Giovinezza” e la “Marcia Reale” davanti a un codazzo di gerarchi riuniti in Emilia, e l’aggressione fisica per il rifiuto era soltanto l’ultimo passo di una storia di dissensi e aperte contestazioni. Poi è scattato il protocollo dell’intimidazione che è il marchio di ogni regime autoritario: minacce, abusi, diritti negati, passaporti che si volatilizzano. Come aperto contestatore del fascismo, Toscanini era già riuscito a rimanere in patria ben più a lungo di molti colleghi costretti all’esilio o al silenzio, e certo la fama internazionale aveva contribuito a proteggere questo peso massimo della cultura che s’era proclamato contrario alle idee del Duce già prima della marcia su Roma. Per molto meno altri colleghi erano stati “invitati”, spesso con la violenza, a mantenere un profilo di quieto conformismo. Sulle prime Mussolini era riuscito a catturare l’immaginario socialista del maestro, tanto che Toscanini nel 1919 si era candidato assieme a Marinetti con i fasci di combattimento per una posizione politica. Gabriele D’Annunzio lo aveva anche convinto a raggiungerlo a Fiume, dove stava conducendo il suo grandioso e tragico esperimento patriottico sospeso fra anarchia, avanguardia e autoritarismo. Il vate gli aveva scritto una lettera appassionata: “Venga a Fiume d’Italia, se può. E’ qui oggi la più risonante aria del mondo e l’anima del popolo è sinfonia come la sua orchestra”.

 

Gli abbagli del 1919,
gli schiaffi
di una camicia nera
a Bologna, l’esilio volontario in America, l’aiuto ai musicisti ebrei

Il maestro si pentirà ben presto di questi abbagli, figli degeneri dello stesso patriottismo che lo aveva portato sul fronte durante la Grande guerra a dirigere bande di fortuna per dare morale alle truppe. La vicinanza al nazismo della famiglia Wagner lo allontana da Bayreuth, l’Anschluss da Salisburgo, la personale iniziativa di Hitler per convincerlo a dirigere di nuovo in Germania trova una risposta indignata e laconica. Le leggi razziali “da medioevo” consolideranno in via definitiva il suo antifascismo militante, e se l’abbandono dell’Italia all’inizio del secolo è una questione che ha a che fare con i sogni artistici di un uomo aperto al mondo e con le scorribande amorose di un noto libertino (nel 1915 è rientrato in Italia perché il soprano Geraldine Farrar, con la quale aveva una relazione, voleva costringerlo ad abbandonare la moglie e i figli), la seconda fase americana assume i tratti amari dell’esilio. Inizia ad aiutare i musicisti ebrei perseguitati da nazisti e fascisti, cosa che gli vale un invito a Tel Aviv per dirigere l’Orchestra Filarmonica d’Israele e gli assicura la perpetua riconoscenza di intellettuali antifascisti come Albert Einstein. Il grande scienziato gli scrive: “Sento la necessità di dirle quanto l’ammiri e la onori. Lei non è soltanto un impareggiabile interprete della letteratura musicale mondiale… Anche nella lotta contro i criminali fascisti lei ha mostrato di essere un uomo di grandissima dignità […] Il fatto che esista un simile uomo nel mio tempo compensa molte delle delusioni che si è continuamente costretti a subire”.

 

La costituzione della Nbc Symphony Orchestra, una specie di dream team di virtuosi americani e internazionali, porta le esecuzioni di Toscanini nelle case della gente, e il popolo americano impara ben presto ad amare questo personaggio poliedrico che con i baffi incerati e i sontuosi colli di pelliccia trasuda charme europeo. La personalità decisa, assai poco incline al compromesso, talvolta vanitosa e perfino sfacciata e iraconda è un invito a nozze per i cronisti che tratteggiano il personaggio. È rimasto nella leggenda uno scambio con la Farrar, che di fronte a una correzione del maestro durante le prove gli ricorda che lei è una stella. Lui, puntando il dito a sé, risponde soltanto: “Quando il sole splende le stelle non si vedono”. Negli ambienti musicali diventa noto per la cura maniacale con cui prepara le opere e per la formidabile memoria visiva che gli vale la fama di direttore impeccabile. Era ossessionato dalla ricerca dell’armonia perfetta. Sachs scrive che Toscanini “credeva che una rappresentazione non potesse essere artisticamente riuscita finché non si fosse stabilita una unità di intenti tra tutti i componenti: cantanti, orchestra, coro, messa in scena, ambientazione e costumi”.

 

L’anima americana di Toscanini viene celebrata a Washington il 27 marzo con un concerto dei Cameristi della Scala alla Library of Congress, la più grande biblioteca del mondo, e il giorno successivo ci sarà la replica nella Union Station, la stazione ferroviaria della capitale, a due passi dal Congresso. La tournée americana si conclude il 29 marzo al bookstore Rizzoli, nella città che Toscanini ha amato di più, la New York di Carnegie Hall e del leggendario studio 8H, dove l’orchestra della Nbc faceva le registrazioni, la New York che lo ha accolto quand’era un artista sgradito al regime del suo paese e ha continuato a offrirgli ospitalità quando il fascismo e la monarchia erano ormai stati debellati. Erano queste le condizioni per una sua eventuale riconciliazione definitiva con l’Italia. È da New York che Toscanini rifiuta la nomina di senatore a vita offerta dal presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, con un concitato telegramma: “È un vecchio artista italiano, turbatissimo dal suo inaspettato telegramma che si rivolge a Lei e la prega di comprendere come questa annunciata nomina a senatore a vita sia in profondo contrasto con il suo sentire e come egli sia costretto con grande rammarico a rifiutare questo onore. Schivo da ogni accaparramento di onorificenze, titoli accademici e decorazioni, desidererei finire la mia esistenza nella stessa semplicità in cui l’ho sempre percorsa. Grato e lieto della riconoscenza espressami a nome del mio paese pronto a servirlo ancora qualunque sia l'evenienza, la prego di non voler interpretare questo mio desiderio come atto scortese o superbo, ma bensì nello spirito di semplicità e modestia che lo ispira… accolga il mio deferente saluto e rispettoso omaggio”.

 

Un fitto calendario
per libri e concerti.
Il 21 e il 25 marzo
gli appuntamenti
alla Scala, poi
a Washington e New York

New York è la città dove il maestro si è spento, nel 1957, alle soglie dei novant’anni, nella sua villa di Riverdale, altolocata porzione del Bronx che si affaccia sul fiume Hudson. Qualche anno prima aveva tenuto proprio alla Carnegie Hall il suo ultimo concerto, dedicato a Wagner, a coronamento di una carriera durata 67 anni. Aveva fatto scalpore che il maestro, considerato infallibile sulla concentrazione e la memorizzazione delle partiture, avesse perso il tempo durante l’esecuzione del Tannhäuser. Erano seguiti quattordici secondi di silenzio, i quattordici secondi più lunghi della carriera di Toscanini, quelli che suggerirono a lui che era arrivato il momento di ritirarsi e suggerirono al pubblico che anche il maestro era umano. Quell’applauso scrosciante, infinito, riecheggia ancora oggi.

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