La tv dei capipopolo
Guardate Giletti: era un conduttore brillante, il grillismo l’ha trasformato nel Santoro dei poveri
Occorre attrezzarsi in fretta per dare un pantheon culturale alla nuova egemonia dell’indignazione popolare. Poiché non è che si può buttare via tutto, mettiamo intanto da parte “Povera Patria” di Battiato, l’“Io so” di Pasolini, “Il portaborse” con Nanni Moretti, l’ultimo Funari di “Apocalypse Show”, il “Fantastico” di Celentano, la segreteria telefonica di Radio Radicale, le inchieste di Sandro Ruotolo, Fedex & J-Ax, Rizzo & Stella, le intercettazioni dell’Espresso, i post di Saviano, l’ultimo film di Ficarra & Picone, “Le Iene”, “Report”, l’urlo di Pif, il Gabibbo, i monologhi di Crozza, Selvaggia Lucarelli su Facebook, le interviste a Davigo, gli spettacoli di Travaglio, “I cento passi”, i film brutti di Gian Maria Volonté e poi un faro, un totem, un padre della Patria scolpito nella perennità del nostro Monte Rushmore: Sordi che multa De Sica nel “Vigile”, film manifesto della trasparenza all’italiana, della ferocia dell’uomo comune, della resa culturale ai 5 stelle, della dittatura dell’onestà-tà-tà. Una nebulosa ideologica dai confini incerti. Una galassia in continua espansione. D’altro canto siamo ancora in cerca di un vate, un traghettatore che prenda in mano la tv dell’indignazione, come il Santoro dell’antiberlusconismo d’antan. Noi qui teniamo a cuore l’ostinata candidatura di Massimo Giletti, il pasdaran dei vitalizi.
Nei più furiosi anni della tv santoriana, Beniamino Placido incorniciò il conduttore di “Samarcanda” dentro un’immagine perfetta: “Sembra Gigi er bullo, noto personaggio del folklore romano, minacciava tutti e non spaventava nessuno”. Nessuno meglio di Giletti ha saputo raccogliere il senso profondo dell’eredità gigibullesca di Santoro. Ma conviene partire dalla fine. Dall’ultima puntata dell’“Arena” di domenica scorsa, con gli highlights su Rayplay che sono già un programma: “Lo sfogo di Massimo Giletti”; “Agnesod e il vitalizio anticipato”; “Agnesod e il vitalizio in un colpo solo, seconda parte”; “Flavio Briatore”; “Le false Tac”.
Quando si apre lo show, Massimo Giletti è in piedi, jeans e giacca, camicia aperta, un eroe tormentato dei fotoromanzi “Lancio”. Accanto a Giletti, c’è Renato Crocetta, seduto davanti all’enorme scritta: “Vitalizio che vai regione che trovi”. Si parte. Massimo Giletti, ripreso in primo piano, lo sguardo teso, cupo. Si capisce subito che qualcosa lo strazia. “La rabbia che si accumula in certi momenti è alta”, dice. “Poi, certo, si chiede ai conduttori di controllarla ma io oggi faccio veramente fatica”. La mente corre subito al primo, ormai epico scontro con i guardiani del vitalizio. Alla furibonda querelle con Mario Capanna e multa a seguire di venticinquemila euro da parte della Rai a Giletti che accettò di buon grado, consapevole che dopo aver urlato “lei è stato sulle barricate, si deve vergognareee!", tirato il libro per aria e essere uscito dallo studio mentre un incredulo Capanna diceva “ma che cazzo fai?", nulla sarebbe stato più come prima. “Faccio fatica a controllare la rabbia, perché prima ho fatto una telefonata a una persona che è venuta qui a denunciare i poteri forti in Sicilia e ora è stata minacciata di morte, questa persona è l’avvocato Fiumefreddo che si occupa della riscossione delle tasse”, dice Giletti, casomai qualcuno volesse dare una mano ai picciotti. Giletti si rivolge direttamente ai poteri forti che lo seguono da casa. Brandisce l’indice ammonitore: “A me le minacce, le pressioni, non fanno paura”. La steadycam stringe sulla maschera del volto, la pupilla contratta in segno di sfida, un primo piano alla Sergio Leone, un duello da western, per un pugno di vitalizi: “Per me le minacce sono solo uno stimolo a continuare”. Applausi scroscianti. “Oggi intanto parliamo dei vitalizi della Sicilia”. Ci sono Mario Giordano, Nunzia De Girolamo, Gianfranco Rotondi nei panni del difensore della casta. Giletti respinge subito le accuse di chi crede si sia occupato solo dei vitalizi siciliani e ce l’abbia con loro. Anzi, sbalordisce tutti e attacca coi vitalizi della Valle d’Aosta. Parte il servizio. L’inviato di Giletti gira in eskimo tra le montagne e le villette, a caccia di detentori di vitalizi. Non importa dove sia l’inviato, chi stia cercando, cosa stia denunciando, esiste solo una certezza in questi servizi. La musica avrà sempre un clarinetto malinconico, un violino dell’est, un tamburello, una melodia popolare tra Goran Bregovic, Moni Ovadia, Capossela e i Modena City Ramblers. È lo stile “primo maggio”, codificato dai vari “Anno Zero”, “Ballarò”, “Report”, ripreso dagli epigoni di La7 e celebrato a “L’Arena” in segno di continuità con la tradizione. Giletti inizia a camminare su e giù per lo studio. Snocciola cifre. Ogni cinque minuti ribadisce "a chi ci segue da casa” che “comunque sia è tutto legale”. Quando Giletti s’inerpica su calcoli, addizioni, sottrazioni dei vitalizi, “L’Arena” si trasforma nell’“Eredità”, versione indignata. Lo scopo non è più indovinare e collegare parole ma smascherare politici e pensioni d’oro. Manca solo la sfilata delle vallette, le “ereditiere”, “le professoresse”. A “L’Arena” potrebbero ingaggiare “le vitalizie” o le “baby pensionate”. Mario Giordano si lancia in uno spiegone sulle strategie di incasso del vitalizio, citando i dati del suo libro “I vampiri”. Rotondi presenta “Meglio la casta”, libro, precisa, in cui “c’è comunque un capitolo sui vitalizi”. Rotondi ci prova, per carità. Ma gli applausi sono solo per gli anti casta. Per gli affondi di Klaus David, per gli acuti di Giordano, per i refrain di Giletti.
Massimo Giletti con Matteo Renzi (foto LaPresse)
Finalmente Crocetta: “Io non ci sto, io non ci sto, noi dobbiamo dire io non ci sto”. Giletti gli fa rivedere “la domanda scomoda a Crocetta” di una settimana fa. Una domanda diretta sui vitalizi degli ex-consiglieri regionali. “Mi hanno detto falso, bugiardo, hanno attaccato la Rai, la redazione, ma io voglio essere valutato sulle cose serie”, dice Giletti. E allora, d’accordo con Crocetta, lancia l’appello: “Da queste telecamere parte oggi una proposta alla regione Sicilia, mettetevi d’accordo e fate i tagli”. Applausi a scena aperta. Rivediamo anche l’incontro Pif-Crocetta. Rivediamo le urla di Pif tra i disabili. Poi interviene il sindaco di Giarre per “fare chiarezza su questo tema importante dei disabili”, ma al culmine della lite sulle percentuali di disabilità, Giletti zittisce tutti. Si apre il led, parte lo stacchetto con Vasco Rossi, entra Flavio Briatore. Sono le 15.45. Stiamo entrando nel cono d’ombra degli ascolti dell’“Arena” che da qui inizia il suo flusso calante. Ogni domenica, dopo un’ora e mezzo di vitalizi, Giletti entra in collisione con Barbara D’Urso che nel frattempo sfodera le diete del dottor Lemme, le saghe testamentarie di Claudio Villa e Fabrizio De André, gli alimenti di Bobby Solo e ogni tanto infila anche un servizio sui “furbetti” e l’assenteismo negli ospedali. Allora Giletti si gioca Briatore. Indignazione e mali del paese, con un filo di gossip per frenare l’emorragia di pubblico che se ne va a “Domenica Live”. Accerchiare la casta con Briatore. La politica fa schifo, i politici sono inutili, i politici rubano, ci vogliono gli imprenditori di successo. Fatti, non parole. “Ma tu investiresti in Italia?”, domanda Giletti a Briatore. Briatore dice che no, non investirebbe. “Ha sentito Crocetta? Ha capito? La sua Sicilia, così bella, eppure non ci investirebbe”. Crocetta capisce. “Ci sono i burocrati, ci sono le tangenti”, dice. “Se lei invece compra un appartamento a New York va sull’internet ed è fatta”, spiega Briatore vestito in total black e occhiale da sole. Lui e Giletti, seduti sullo sgabello, uno di fianco all’altro al centro dello studio, soli, come due consumati marpioni da piano bar con un Old Fashioned sul bancone, affondano sui mali del paese. “Io che vivo la Sardegna moltissimo”, dice Giletti, “sono stato colpito di vederti in mezzo ai pastori”. “Ho visto i problemi di questa gente, non hanno capito il valore aggiunto delle pecore a cielo aperto e gli ho dato una mano”. Pane, amore e vitalizio. Ma non c’è tempo. Bisogna virare sulle “false Tac” di Loreto Mare. Partono i servizi. Partono le intercettazioni. A “L’ Arena” si visualizzano con le sagome in stile skype call. “Indagato” parla con “uomo”, “indagato” parla con “donna”. Poi tutto sfuma sul “fantasma del Campidoglio”, il momento comico di Rosanna Sferrazza, che fa battute sugli “assenteisti a tempo pieno” e le “bustarelle da Oscar”. Giletti ringrazia tutti. Titoli di coda. “Linea a Pippo Baudo, è stata una grande puntata oggi”.
Diceva in un’intervista di qualche anno fa: “Io non faccio il varietà, io non dimentico di essere nato a ‘Mixer’ con Minoli”. Ma non è a “Mixer” che Giletti si è radicalizzato. Non rinnega i “Mezzogiorno in famiglia”, le “voci per Padre Pio”, le “Miss Italia nel mondo”, d’altronde anche Trump fa “Miss Universo”. La politica ha iniziato a fiutarla a metà degli anni Zero, in piena sintonia con i primi vagiti di grillismo organizzato. Poi la svolta con le interviste ai principali candidati delle elezioni. L’“Arena” entra nell’agenda mediale della cronaca politica. Giletti sperimenta il faccia a faccia alla Minoli, due poltrone, una pedana, maxischermi sullo sfondo. E’ chiaro che ormai non si sente più un presentatore, tantomeno una creatura di Michele Guardì. Sente montare l’onda dell’indignazione nel paese. Non è più tempo dell’orchestra di Antonio e Marcello, delle sculettate di Stefania Orlando, degli stacchetti del maestro Mazza, del “comitato” dei “Fatti vostri”. Giletti è un battitore libero, puro maschio alfa dei talk. Lo si capisce nel furioso, scomposto “uno contro uno” con Berlusconi, nel 2012, col Cavaliere che gli urlava addosso, “vuole che me ne vada? Me ne vado!”.
Poi Giletti si butta sul filone dei vitalizi e non li molla più. Si sintonizza con l’incazzatura della gente. Il termine “vitalizio” sarebbe già vecchio, perché tecnicamente vengono aboliti alla fine del 2011, grossomodo quando se ne inizia a parlare nei talk, e sostituiti da una pensione calcolata con metodo contributivo. Ma vuoi mettere la possibilità di fare titoli come “Orgoglio e vitalizio” con “oggi parliamo di pensioni calcolate con metodo contributivo”? Non c’è storia.
Il punto non è il grillismo di Giletti che probabilmente grillino non è. Il punto è che la parabola della sua “Arena”, passata dall’entertainment all’indignazione permanente, sintetizza con un’immagine efficace quella che Panebianco ha definito “una pluralità di forze che agisce ormai da tempo, con scarsa consapevolezza della posta in gioco, per offrire su un piatto d’argento il paese al Movimento 5 stelle”. Una pluralità di forze che si nutre degli errori e dei ritardi disastrosi della politica, certo. Ma anche di quei “mezzi di comunicazione che cavalcano e amplificano l’indignazione popolare contro i politici”, come scrive sempre Panebianco. Sono i “professionisti dell’anti casta”, sono “il partito delle Iene”, sono le maschere del teatro dell’indignazione, come scriviamo spesso su questo giornale. Da un lato c’è la costante amplificazione dell’indignazione. Dall’altro, la tv dei capipopolo brinda ogni giorno alla morte della politica come all’avvento di un tempo nuovo. Celebra il crollo delle mediazioni, la fine rovinosa delle élite, la rivendicazione pauperista. Poi quando arriva il tetto sugli ingaggi Rai ci si può incazzare solo a telecamere spente, sperando di non lasciare tracce in giro.
Più di tutto, spaventa proprio la “scarsa consapevolezza della posta in gioco”. Per esempio, la posta in gioco di Giletti non è certo Grillo al governo ma l’approdo in prima serata a RaiUno. La definitiva legittimazione come grande giornalista in chiave santoriana. Le due puntate di “Viva Mogol” condotte e ideate da Giletti restano tra gli unici sabato sera in cui RaiUno ha battuto Maria De Filippi, prima di ricolare a picco con le micidiali, mefitiche “dieci cose” di Veltroni. Ma gli ascolti non bastano. Tantomeno il varietà. Il fascino del capopopolo è irresistibile, il momento storico favorevole, la saga dei vitalizi potenzialmente sconfinata. In una recente puntata dell’“Arena”, ospite Di Battista, lui e Giletti parlavano dell’amore per la solitudine e il campeggio. Dibba rievocava il primo “Vaffa Day” del 2007. Aveva gli occhi lucidi. Sembravano due reduci. “Lei è un cavallo di razza”, ripeteva spesso Giletti. Lui replicava “quando andremo al governo non ci saranno più vitalizi”. Un’intesa perfetta. Due spiriti liberi. Due viaggiatori. “Si ricordi Giletti che il suo referente deve essere il popolo italiano”. “Non lo dica a me”. Era la fine del 2015. Oggi possiamo dire che lo copiano in molti. Su tutti, Bianca Berlinguer che l’altro ieri a “Carta Bianca” incoraggiava Di Battista a crederci fino in fondo: “La vedrei bene come ministro degli Esteri”. Sarà per via dei “diari di Dibba”.
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