Natalie Portman è una delle interpreti di "Song to Song", film scritto e diretto da Terrence Malick (foto LaPresse)

L'epopea del Texas

Vedere Austin, immortalata da Terrence Malick in Song to song, per scoprire promesse e delusioni del nuovo sogno americano

Austin è quella città in cui, con un po’ di fortuna, si può vedere Terrence Malick ballare musica country mano nella mano con la sua Ecky. Qualche anno fa, un avventore del Broken Spoke ha ripreso per qualche secondo il regista che danzava sulla pista, gaudente e incurante, circondato da cowboy in libera uscita. Il video postato su YouTube ha tolto il regista dal gruppo delle leggende che non si mostrano mai davanti alla telecamera, come Thomas Pynchon e il mostro di Loch Ness, e il motivo per cui l’incidente è accaduto proprio lì e non a Los Angeles o a Parigi – dove pure Malick ha lavorato a lungo – lo ha spiegato Eric Benson in un’affascinante inchiesta sul numero di aprile del Texas Monthly. La versione stringata è che Malick è cresciuto ad Austin, probabilmente ci vive ancora, ma di sicuro un pezzo del suo cuore non se n’è mai andato dalla capitale del Texas, quella per lui è casa. E a casa si vive con la guardia abbassata. Il maniaco della riservatezza sapeva che ambientare un film nella propria città d’origine, dove ancora vivono molti compagni delle elementari, non era il modo migliore per mantenere il riserbo, ma come da tradizione Malick ha violato le sue stesse abitudini e ha girato nelle strade, nei parchi, nelle radure e nei campi dove scorrazzava da bambino, quando gli amici lo chiamavano “dancing bear”, più che altro per via della stazza. Portare a spasso il solito cast fuori scala (Ryan Gosling, Natalie Portman, Michael Fassbender, Rooney Mara, Cate Blanchett) accompagnati all’occorrenza da Val Kilmer, Patti Smith, Iggy Pop e i Red Hot Chili Peppers, fra cui spicca il veterano del cameo Flea, nella sua migliore apparizione cinematografica dai tempi in cui faceva il nichilista ne Il Grande Lebowski, non era il modo migliore per passare inosservati, ma il guardingo e timidissimo Malick nel suo territorio si muove senza precauzioni. Quando un cinefilo con buon occhio lo ha notato in quel locale stava appunto girando Song to Song, ultima creatura di questa fase estremamente prolifica della carriera, dove la distruzione delle strutture narrative e la cancellazione dello storyboard ha trasformato i suoi fan più fedeli in adepti di un culto a tinte metafisiche, mentre molti altri sono diventati scettici e pure nemici di un metodo di racconto fatto di immagini, sospiri, silenzi, simboli, sussurri, parole ritagliate e luce calda che filtra tra le fronde.

 

Un pezzo del suo cuore non se n'è mai andato dalla capitale del Texas, quella per lui è casa. E a casa si vive con la guardia abbassata

Dopo Days of Heaven, anno 1978, si è ritirato a Parigi, si è risposato, ha fatto il professore e il giornalista, ha letto e pensato molto, è rientrato in America e ci ha messo vent’anni prima di tornare al cinema con The Thin Red Line. Dagli anni Zero la produzione è aumentata esponenzialmente e gli incassi sono esponenzialmente diminuiti. Malick è diventato il regista più richiesto e ammirato dai grandi attori, ma anche quello che meglio si presta alla parodia. Life of Trees è un controtrailer memorabile del suo capolavoro, Three of Life, del 2011, anche se esiste un qualche consenso sul fatto che dopo le scene digitali dei dinosauri, Malick abbia fatto il salto dello squalo, raggiungendo un livello in cui è contemporaneamente (e sinceramente) se stesso e la sua caricatura. Beffeggiarne lo stile è facile, ma anche inutile. Song to Song è stato girato assieme a Knight of Cups, tragedia losangelina che chiude la trilogia aperta con Three of Life e – al centro sta To The Wonder – e con questa condivide alcuni temi e pezzi di cast. Nel film con Christian Bale va in scena la sorridente disperazione del jet set riunito a bordo piscina, c’è pure Antonio Banderas che fa passi di flamenco per impressionare le attrici giovani e prolungare l’agonia della sua reputazione. La fragile bellezza di Los Angeles è lo sfondo perfetto per una mortifera vicenda di disillusione dove l’immagine sintetica è quella di una cane che si getta in piscina e apre le fauci per afferrare un giocattolo gommoso. L’animale si dimena, azzanna l’acqua, s’industria, crede di farcela e infine desiste. Vorrebbe ma non può. L’ambientazione di Song to Song è invece Austin, che a parte essere la città del regista è la promessa della vita americana nella sua forma contemporanea, una promessa incorniciata e glorificata dal Sxsw, il festival che anticipa molto di ciò che c’è da anticipare in America in fatto di tecnologia, musica e arte. E’ allo stesso tempo normale e strambo che proprio lì sia stato presentato in anteprima il film di Malick, che non è né una bomba commerciale né un epigono del pensiero debole hipster. C’è così tanta vitalità in quel periodo di celebrazioni che alcuni visitatori devono avere l’impressione che la città non esista affatto nelle altre 51 settimane dell’anno, un po’ come succede con l’accampamento artificiale del Burning Man, dove le tende si fanno e alla fine si disfano, e il popolo venuto dai quattro angoli del globo si lascia alle spalle il deserto. Quando i cittadini del mondo arrivano ad Austin in business class scoprono con disappunto che non c’è nemmeno Uber. La città invece esiste eccome, ci sono circa 150 giovani che ogni giorno si trasferiscono alla ricerca di lavoro e opportunità, la University of Texas alimenta un crescente bacino di start up tecnologiche, la legislatura dello stato garantisce l’adeguata presenza di fondi pubblici, la tradizione di città festaiola fatta di bordelli e locali con musica dal vivo è stata reinterpretata in senso millennial, ed è grazie a questa generazione che Austin sta vivendo la sua età dell’oro. La popolazione è cresciuta del 40 per cento negli ultimi dieci anni.

 

Quando i cittadini del mondo arrivano in città in business class scoprono con disappunto che non c'è nemmeno Uber

Una delle spie del benessere è la fila di gente che aspetta per ore e ore (e ore e ore) davanti a Franklin Barbecue, il tempio dell’affumicatura della carne dove un giovane ossessionato dalla perfetta cottura indiretta si sveglia nel cuore della notte per accendere un fuoco di legna sotto un gigantesco barbecue in stile Oklahoma. I clienti arrivano la mattina con le seggiole pieghevoli e le birre, e aspettano. Il critico gastronomico del New York Times ha scritto: “Se dopo due ore di fila, quando siete finalmente davanti al commesso, non avete ancora deciso quanta brisket volete ordinare, lui non vi pianterà un coltello nelle schiena, ma forse io sì”. D’estate c’è pure il volo diretto Londra-Austin. E’ sempre stato un luogo avulso dal contesto, Austin. Città democratica in mezzo al Texas repubblicano, isola della tecnologia nel regno del petrolio, qui Lyndon Johnson è diventato il più conservatore dei progressisti e Willie Nelson ha trovato il modo impossibile per coniugare la cultura country e quella rock, facendo abbracciare hippie e cowboy, che nel resto degli Stati Uniti si prendevano a pugni. C’è anche un’immensa colonia di pipistrelli che ogni sera, al crepuscolo, s’abbarbica sotto un ponte, e il consiglio comunale tiene le illuminazioni stradali più basse nella zona per non spaventare le bestiole tanto amate in città. Il padre di Malick, Emil, un cristiano assiro di origini iraniane, è arrivato da queste parti attraverso l’industria dell’energia, ma l’azienda in cui lavorava era a Waco, a metà strada fra Dallas e Austin, nel guado fra i due mondi.

 

Nell’antica geografia delle opportunità e dei sogni americani le mete incontrastate erano New York, Los Angeles, Chicago, San Francisco; nella nuova mappa i magneti sono Austin, Denver, Portland, città di seconda fascia che si autodefiniscono “weird”, strane, e con orgoglio difendono la loro irrinunciabile stranezza. I festival musicali come Austin City Limits e Fun Fun Fun Fest sono la sintesi di una scena che incessantemente produce talenti e influenze. E’ dentro questo perimetro musicale e culturale che lavora Malick, raccontando la storia di un triangolo amoroso fra Faye (Rooney Mara), giovane musicista in cerca di fortuna, Cook (Michael Fassbender), produttore di successo che vuole il mondo e tutto ciò che c’è dentro, e BV (Ryan Gosling), musicista che la fortuna la sta faticosamente trovando proprio grazie all’ambigua amicizia con Cook. Entrano nel gioco degli amori, dei tradimenti e delle delusioni anche Rhonda (Natalie Portman), Amanda (Cate Blanchett) e Zoey (Bérénice Marlohe). Definirlo, come fanno le sinossi, un film sulla scena rock di Austin è come definire Delitto e Castigo la cronaca di un omicidio a San Pietroburgo. Gli occhi di Malick, si sa, da tempo sono puntati più sull’eterno che sul passeggero, ma questo film racconta anche delle promesse e le illusioni dell’oggi, perché Austin è l’angolo di America in cui è più facile credere di “poter vivere in questo mondo di momento in momento, di canzone in canzone, di bacio in bacio”, come dice Faye, abbracciando un’opportunità soltanto in vista di un’altra possibilità più attraente, in un fluido mutare di desideri e identità che è rappresentato dagli stili e dalle acconciature che la giovane cambia continuamente. Ora vuole piacere a Cook, ora a BV, ora a Zoey, ora a suo padre, a se stessa, a tutti, a nessuno. Chissà.

 

I festival musicali come Austin City Limits e Fun Fun Fun Fest sono la sintesi di una scena che produce talenti e influenze

Lo scenario è, per lunghi tratti, quello di una promessa non mantenuta, di un desiderio bruciante che non trova una risposta adeguata. Le scene dei concerti ricordano sabba o raduni di branco popolati di vecchi malvissuti, alle feste ci si annoia, ci si consola malamente con i funghetti allucinogeni intinti nel miele. Nemmeno il lusso degli interni è appagante, ché spesso sembra di essere intrappolati in una pubblicità di infissi molto costosi ed ecocompatibili. L’impressione è che l’esibizione dell’insufficienza degli scenari artificiali sia ricercata, anche se così non l’ha interpretato il New York Times, seppure incastonando l’osservazione in una recensione complessivamente molto positiva: “Malick è avvinto dalla bellezza come espressione di Dio e come strada verso Dio. Ma in Song to Song la familiarità della sua estetica e l’incapacità di alcuni attori di trovare una luce interiore creano superfici fotografate in modo immacolato piuttosto che immanenza. Si vedono le pose, non il divino”.

 

Il sesso – e ce n’è tanto – è il luogo supremo della delusione e della morte. I rapporti senza amore sono il simbolo della frustrazione per la promessa di felicità che non è stata mantenuta, a contatto con le lenzuola di seta tutto si brucia e si rovina. Nella frase che apre il film Faye dice di sentire la forza delle cose per metà: ha bisogno di baci più forti, emozioni più calde, sesso più violento per poter avvertire qualcosa in questo suo stato di anestesia.

 

Malick avrebbe voluto intitolare il film Lawless e ancora prima aveva pensato a Weightless, senza peso, da un passo di V. Woolf

Malick avrebbe voluto intitolare il film Lawless e ancora prima aveva pensato a Weightless, senza peso, da un passo di Virginia Woolf: “Come posso procedere adesso, ho detto, senza un io, senza peso e senza vista, in un mondo che non ha peso, senza un’illusione?”. A sorpresa, Malick si è presentato in persona a un incontro per la presentazione del film al Sxsw, con Fassbender e il regista Richard Linklater. Un video catturato di frodo lo restituisce così come lo raccontano tutti quelli che lo hanno incontrato: bonario, timido, intelligente. Spiega: “Penso che ti faccia sentire come se fossero tutti pezzi delle vite dei personaggi. Tutto è riportato alla citazione che dice che si può vivere in questo mondo di momento in momento, di canzone in canzone, di bacio in baci, e lei che lo dice cerca di creare questi umori differenti per se stessa, per andare nel mondo come in quella frase della Woolf, ‘senza un io’, e vivere un desiderio dopo l’altro, vedendo dove porta, cosa succede in questa vita fatta di momenti. E’ una cosa difficile da comunicare e non sapevamo come farlo, perciò girare in tanti posti e con tante canzoni era il modo che ci sembrava più sensato”. L’esasperazione della dinamica dei desideri che bruciano ogni cosa perché sono “senza un io” a cui fare riferimento è infine interrotta da una pozzanghera cristallina che risplende nella roccia, un luogo ricorrente e perfettamente malickiano, in cui la mano di BV s’immerge per impartire quello che è un riposante battesimo dopo tanto dannarsi e tanto cercare. E’ l’ipotesi di redenzione per tutti quei personaggi che avevano bisogno di un’illusione per sopportare l’assenza di peso, la tragica perdita dell’io, e allo stesso tempo è la redenzione della promessa della vita americana che oggi è incarnata da Austin, la città dove ancora si crede di poter vivere di canzone in canzone.

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