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Noi atei impazziti

Giulio Meotti

“Siamo tutti vittime, viviamo in una società ossessionata dal senso di colpa figlio della secolarizzazione”. Intervista a Wilfred McClay

Era il 1981 quando cominciò a circolare nelle librerie e nelle aule delle università anglosassoni un agile libretto dal titolo “Dopo la virtù”. L’autore, Alisdair MacIntyre, in epoca di conformismo ideologico attaccò il “pensiero debole” e l’impossibilità di parlare di virtù nella morale moderna “emotivista”. Moralismo, sentimentalismo, scientismo, ipercriticismo, perbenismo, materialismo, collettivismo, femminismo, animalismo e sindacalismo per MacIntyre erano tutti sintomi della decadenza del pensiero occidentale. “Dopo la virtù” si apriva con un passaggio diventato famoso. Immaginate se usassimo ancora parole come “neutrino” e “peso atomico”, ma senza più il quadro generale per spiegare come metterle assieme. Questo è lo stato del nostro discorso morale oggi. Usiamo ancora parole come “virtù” e “vizio”, ma senza più la metafisica necessaria. David Brooks sul New York Times indica questa afasia culturale per spiegare che “siamo entrati nell’era del relativismo”. La vita in occidente si è secolarizzata e le grandi ideologie politiche si sono allontanate, ma il conflitto morale è soltanto cresciuto. E’ quella che Wilfred McClay, filosofo americano che insegna all’Università dell’Oklahoma, già membro del Centro Woodrow Wilson e nel board del National Endowment of the Humanities, in un saggio fulminante ha chiamato “La strana persistenza della colpa” e che viene citato sul New York Times.

 

McClay ha scritto "La persistenza della colpa" citato dal New York Times: "La religione è crollata, il conflitto morale è cresciuto"

La tesi di McClay è che viviamo nel tempo più scettico, ateo e indifferente alla religione della storia, ma la colpa è sempre onnipresente. Il senso di colpa circola come in un organismo irrorato e ciascuno si senta un po’ criminale, senza saper bene perché. Il senso di colpa è il comodo surrogato di un’azione impossibile. In mancanza di capacità reale, domina la commozione. Qualunque cosa facciamo, la colpa prospera fra di noi, l’inespiabilità è il nostro fato. Non siamo lontani dalla teoria, esplosiva anch’essa, formulata dal tedesco Odo Marquard, secondo cui, cancellando Dio dal proprio orizzonte, l’uomo è diventato giudice e imputato di se stesso. I saggi di Marquard uscirono qualche anno fa per Laterza sotto il titolo di “La storia che giudica, la storia che assolve”, e scaturirono dalla lettura della “Liquidazione del diavolo” del 1974 dall’allora professor Joseph Ratzinger. “Assolutamente colpevole dei mali del mondo – scriveva Marquard – davanti a un tribunale permanente nel quale l’umanità stessa è parimenti accusatore e giudice, cade vittima di una compulsione legittima all’autogiustificazione”.

 

I nostri procuratori moralizzatori ci ordinano di farci carico dell’intera umanità, di rinnegare i legami di famiglia, d’amicizia, di nazionalità, per onorare soltanto la figura universale dell’uomo afflitto. E’ la grande gara del vittimismo, la corsa al riconoscimento cui partecipano i paria del pianeta, brandendo le loro disgrazie per vedersi attribuire il titolo di popolo maggiormente vittimizzato. E per ogni vittima, c’è un assassino. Sempre occidentale.

 

"La responsabilità è cresciuta con la tecnologia: dobbiamo diventare tutti moralmente irreprensibili"

“Quello che mi ha fatto interessare a questo argomento è stata l’osservazione dello status crescente delle vittime nella civiltà occidentale”, dice Wilfred McClay al Foglio. “E’ uno sviluppo curioso. In primo luogo, è completamente senza precedenti. Nell’antichità classica, nelle culture della Grecia e di Roma, non c’era niente del genere e la stessa umiltà (humilitas in latino, tapeinos in greco) non era considerata una virtù, ma era associata al fallimento e alla vergogna. L’avvento del cristianesimo ha cambiato questo punto di vista sull’umiltà, naturalmente, ma l’umiliazione di Cristo sulla croce fu solo temporanea e di passaggio, per eclissarsi con la sua vittoria trionfale sul peccato e sulla morte. Non era una vittima. Nell’era moderna, il potente dio della ‘autostima’ è stato elevato a regnare incontrastato. Le vittime e le rivendicazioni di vittimizzazione sono ovunque intorno a noi, dominano la politica e paralizzano la nostra capacità di agire”. Perché è successo? “Questo paradosso ha creato una condizione in cui il fenomeno della colpa diventa sia un sottoprodotto sia un ostacolo all’avanzamento della civiltà. I risultati stupendi dell’occidente nel miglioramento delle condizioni materiali della vita umana, l’estensione delle benedizioni della libertà e della dignità a sempre più persone, sono messe in pericolo da misure compensative e addirittura negate da un peso crescente della colpa che avvelena le nostre relazioni sociali e ostacola gli sforzi per vivere una vita felice e armoniosa. Profeti come Friedrich Nietzsche erano sicuri che una volta che il mondo occidentale moderno, toltosi la camicia di forza della metafisica che aveva ristretto le possibilità di tutte le generazioni precedenti, i riflessi morali che avevano accompagnato tale contesto sarebbero scomparsi con loro. Morto Dio, tutto sarebbe davvero stato permesso. Fuori moda sarebbe stata l’esperienza stessa del senso di colpa, come Nietzsche aveva sostenuto nella ‘Genealogia della morale’ (1887). L’ateismo avrebbe significato ‘una seconda innocenza’, una riconquista dell’Eden. Questo non è proprio quello che è successo. Nel suo libro ‘Il disagio della civiltà’, Freud ha dichiarato il senso tenace di colpa essere ‘il problema più importante nello sviluppo della civiltà’. Freud ha cercato di ‘demoralizzare’ la colpa trattandola come una questione strettamente soggettiva ed emozionale. La salute era l’unico criterio rimasto e la visione terapeutica e non giudicante del mondo ha piantato i semi nella sensibilità corrente dell’America moderna, che a sua volta ha profondamente influenzato la posizione e il significato del più venerabile tra i nostri rapporti morali, e non solo le questioni della colpa. Abbiamo ancora la pretesa di pensare al perdono, ma ha di fatto ha quasi perso il suo peso morale per essere stato tradotto in un atto di gentilezza casuale il cui valore principale sta nel senso di liberazione personale che ci dà. Il perdono corre il pericolo di essere degradato in una sorta di grazia a buon mercato. Il perdono ha senso solo in presenza di una concezione robusta della giustizia. Senza questo, è in serio pericolo di diventare qualcosa di passivo, automatico e fragile, un modo bigotto di dire che nulla conta davvero. Un gran numero di scrittori hanno criticato questa tendenza, per la sua falsità e autoindulgenza, ma pochi hanno cercato di capire se ci siano forze più grandi che potrebbero essere alla base di questo immenso cambiamento morale”. McClay ha una spiegazione. “Credo che, per dirla semplicemente, si tratta del risultato del peso immenso della responsabilità morale che è seguito al progresso scientifico e tecnologico, la nostra capacità di controllare sempre più aspetti del nostro ambiente fisico e le condizioni della nostra esistenza. La nostra svolta verso la laicità è una parte di esso. C’era una certa libertà psicologica nella convinzione che il mondo fosse stato plasmato e guidato e giudicato dalla volontà di Dio, piuttosto che dai singoli uomini. Non tutto era, o poteva essere, colpa nostra. Ma oggi un numero crescente di aspetti della vita sono sotto il nostro controllo. Non abbiamo altra scelta che assumere la responsabilità per le difficoltà sociali o politiche o economiche che ci circondano, dal momento che ogni sofferenza umana è ormai un problema da risolvere. Questo è un effetto collaterale inevitabile del crescente movimento per cambiare il nome della nostra epoca geologica da Olocene in Antropocene, il primo nella vita del pianeta definito dalla presenza umana e dal potere umano: effetti come fallout nucleare, inquinamento da plastica, animali domestici, e il cambiamento climatico di origine antropica”.

 

"Dalla Merkel coi migranti alle accuse di 'islamofobia', l'occidente è paralizzato da questo immenso senso di colpa"

La potenza comporta la responsabilità e la responsabilità conduce al senso di colpa. “Vedo le immagini di un bambino che muore di fame in un angolo remoto del mondo sul mio televisore, allora so per certo che avrei potuto recarmi in quel luogo lontano e alleviare immediatamente la sofferenza di quel bambino, se solo avessi voluto. Come la ridicola signora Jellyby di Dickens, che trascura la sua famiglia e il quartiere a favore della filantropia nelle missioni africane. Qualunque donazione faccia a un’organizzazione di beneficenza, non potrà mai essere tanto quanto avrei potuto dare. Non riuscirò mai a diminuire il mio inquinamento da carbonio a sufficienza, o dare abbastanza ai poveri, o sostenere abbastanza la ricerca medica, o fare le cose che mi renderebbero moralmente irreprensibile. Il colonialismo, la schiavitù, la povertà strutturale, l’inquinamento delle acque, la deforestazione, c’è una lista infinita. Potremmo sentirci in colpa per il fatto stesso della nostra esistenza. Diventiamo afflitti dal senso di colpa e cerchiamo modi per scaricare il suo enorme peso sugli altri. Da qui la combinazione di colpa e vittimizzazione. Io sono una semplice vittima, e quindi io sono innocente. Questo, credo, pone le basi per l’attrattiva sorprendente della vittimizzazione nel nostro tempo, come una narrazione da applicare alla propria vita. Come diciamo noi americani, lo status di vittima ‘ti porta fuori dai guai’, moralmente parlando, dal momento che una vittima è, per definizione, una persona innocente”. Lo status di vittima non ha solo valore difensivo, ma ha anche un valore offensivo. “Può essere brandito come un’arma, e utilizzato per sconfiggere i propri nemici dopo averli disarmati completamente. Ci sono quelli che, spudoratamente, sfruttano questa condizione per i propri scopi. Prendono di mira coloro ai quali la colpa è trasferita e applicata, quelli che non possono (o non vogliono) essere vittime. Sono coloro i quali le narrazioni inesorabilmente accusano di oppressione post-coloniale, ingiustizia razziale, insensibilità di genere, e il resto della litania; e ci sono coloro che sono interiormente disarmati e derubati della morale da un iperabbondanza delle stesse qualità di introspezione, rimorso, empatia”.

 

"Quando il senso di colpa diventa corrosivo rende inoperante l'impulso primordiale a difendere se stessi e la propria vita"

Questo meccanismo sta avendo effetti tragici sull’occidente. “Nelle parole del politologo Thomas U. Berger, ‘viviamo in un’epoca di scuse e recriminazioni’, e non poteva essere più corretto. La colpa è ovunque intorno a noi, e le sue potenziali fonti hanno appena cominciato a essere scandagliate. Andrew Delbanco lo spiega bene nel suo libro del 1995 ‘La morte di Satana’: ‘Viviamo nel secolo più brutale della storia umana, ma invece di fare un passo in avanti, il diavolo è stato reso invisibile. La nozione stessa di male sembra essere incompatibile con la vita moderna’. Scomparsa la nozione hobbesiana amorale per cui la guerra tra le nazioni è espressione dello stato di natura, l’assegnazione delle responsabilità per aver causato una guerra, la designazione della colpa della guerra, la valutazione delle pene e dei risarcimenti, l’individuazione e il perseguimento dei crimini di guerra, il risarcimento delle vittime, e così via, tutti questi sono pensati per essere una parte essenziale della economia morale della colpa in quanto la società opera a livello nazionale e internazionale. Inoltre, le narrazioni più grandi attraverso le quali una nazione organizza e riferisce la sua storia, e attraverso la quale costituisce la memoria collettiva, sono sempre più oggetto di monitoraggio e attento esame da parte dei suoi gruppi etnici, linguistici, culturali, e altri sottogruppi. Non c’è mai stato un più vivo e diffuso senso di lamentele particolareggiate in tutto il mondo. Non è difficile vedere come l’occidente sia stato paralizzato da tale senso di colpa; questa prospettiva è già sulla buona strada. C’è tutta una generazione di leader occidentali che sono sensibili a esso. E’ inimmaginabile una figura come Angela Merkel, forse la leader più potente in Europa, che ha avviato una politica di immigrazione quasi suicida negli ultimi mesi, se non fosse per la forza persistente della colpa tedesca. L’accusa di ‘islamofobia’ ha punto una società profondamente impegnata nella sistemazione generosa delle sue minoranze di migranti e dei suoi sensi di colpa per i peccati passati, tanto da non essere scossa dalla protezione del suo stesso popolo. Tanta generosità, questi sentimenti di colpa, non sono di per sé cose cattive; ma diventano un male quando sono armi e lo spettacolo è a scapito di altri. Un eccessivo senso di colpa nel corso del tempo ha un effetto corrosivo e mortale. Si rende inoperante l’impulso primordiale a difendere se stessi e la propria vita. ‘Facciamo uomini senza petti’, ha dichiarato C. S. Lewis. Vedo l’ineluttabilità della colpa come profondamente radicata nella condizione esistenziale dell’uomo moderno. Quello che mi sembra chiaro, però, è che una comprensione rigorosamente laica del mondo non può essere sostenibile nelle condizioni che stiamo affrontando. Senza qualcosa di paragonabile a quello che il cristianesimo e le altre religioni hanno fatto nei secoli passati, saremo paralizzati dal senso di colpa, o inclini a proiettare la colpa sugli altri, con effetti altrettanto disastrosi. Senza il sostegno della religione, uno non può avere altra scelta che accettare la prospettiva lugubre immaginata da Sigmund Freud, in cui il progresso della civiltà umana non porta alla felicità, ma a una marea di colpe non mitigate e alla ricerca di nuovi e inefficaci, bizzarri modi per scaricarle. Si soffocano così le energie di innovazione che hanno reso l’occidente quello che è, e fatalmente si mina lo spirito di fiducia necessario per sostenere la possibilità stessa del progresso”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.