Jamais l'Islam
La sua vocazione totalitaria è incompatibile con la storia, la laicità e la democrazia della Francia. Le provocazioni di Eric Zemmour
Chi è Zemmour Passa il tempo a pubblicare pamphlet e a difendersi in tribunale dalle accuse di “razzismo” e “islamofobia”. È il nemico pubblico numero uno, eppure Eric Zemmour è ovunque. È un perseguitato che diventa persecutore. Del pensiero unico, delle ideologie, della società orfana. I suoi saggi vendono più dei romanzi del Nobel Patrick Modiano. Anticipiamo un capitolo di “Un quinquennio per nulla”, un bilancio poco edificante della presidenza Hollande (Enrico Damiani Editore, traduzione di Mauro Zanon). Zemmour è il “petit juif”, il piccolo ebreo che ha sconvolto le lettere parigine. I fondamentalisti islamici lo hanno costretto a girare con la scorta dopo Charlie Hebdo. Il suo progetto per la Francia domani? Quella di ieri. Quella che non torna. Ma anche se spesso non si è d’accordo con lui, Zemmour ha quasi sempre qualcosa da dire
(Giulio Meotti)
Il quinquennio di Hollande è sfociato nel sangue. Con una macchia di un rosso vivo indelebile. Gli attentati contro Charlie, l’Hyper Cacher della porte de Vincennes e il massacro del Bataclan annunciano l’inizio di una guerra civile francese, o peggio europea, e la grande sfida lanciata dall’islam alla civiltà europea sulla sua terra d’elezione.
È come se la storia avesse atteso, ironica,
il presidente
più mediocre della Quinta Repubblica
per prendere
il sopravvento
Philippot e Mélenchon sono in ritardo di venticinque anni: la battaglia della sovranità è stata quella del referendum di Maastricht nel 1992. E’ stata persa. Ciò non significa che non si debba cercare una rivincita. Ma il terreno si è spostato, la situazione si è degradata. La questione della sovranità si pone ancora, ma non è più centrale. Quella dell’identità l’ha sostituita nel firmamento delle urgenze storiche. Ormai, la Francia non si batte più per recuperare la sua sovranità perduta, ma per non perdere la sua identità. Non si batte più per vivere libera, ma per non morire. Non deve più soltanto affrontare Berlino, Bruxelles, Washington, per ritrovare, alla maniera del generale De Gaulle, la sua “indipendenza”. Deve rispondere a una sfida esistenziale che le è stata lanciata dall’islam, che è quella del suo essere, della sua natura, della sua civiltà. Una Repubblica islamica francese potrebbe essere sovrana, ma non sarebbe più la Francia. Se si cambiano la lama e il manico di un coltello, possiamo pure continuare a chiamarlo coltello, ma non sarà più lo stesso coltello.
La Francia non si batte più per recuperare
la sua sovranità,
ma per non perdere
la sua identità.
Non per vivere libera, ma per non morire
L’islam è un “giudaismo riscaldato”, come aveva ben capito Voltaire, un’ortoprassi che poggia sul rispetto e il controllo delle regole che inquadrano la vita dal mattino alla sera, durante tutta l’esistenza. Il cristianesimo è uscito dall’ortoprassi giudaica attraverso l’ortodossia: la fede e l’amore che sovvertono la Legge. Il giudaismo stesso, a contatto con la filosofia greca, e costretto dall’esilio, è uscito dalla propria rigidità teocratica attraverso la disputa e l’interpretazione libera di tutti i testi sacri. E’ il Talmud. E il verbo chamailler trova la sua origine nel nome del rabbino Chamaï che si opponeva al suo grande rivale Hillal. Un Talmud dov’è scritto nero su bianco per tutti gli ebrei in esilio: “La legge del tuo paese è la tua legge”. Infine, il giudaismo francese ed europeo ha avuto la fortuna storica di incontrare Napoleone che ha aperto tutti i ghetti dove sono passati i suoi eserciti e che ha preteso dai francesi di confessione ebraica di cancellare dai loro testi ciò che contravveniva alle leggi, ai codici e anche alle tradizioni francesi, forgiando dei cittadini francesi di confessioni ebraica, individualizzati, senza confessione, senza nazione, secondo la celebre invettiva di Clermont-Tonnerre: “Bisogna rifiutare tutto agli ebrei come nazione e accordare tutto agli ebrei come individui”.
La storia dei musulmani cominciò allo stesso modo. A contatto con i testi greci, e in particolare con Aristotele, alcuni pensatori musulmani tentarono anch’essi il trapianto greco nella tradizione islamica. I mutaziliti nel Nono secolo vollero interpretare il sacro attraverso la ragione umana. Questa dissidenza fu repressa, punita con la pena di morte. Si ricordò con forza che, contrariamente ai Vangeli e alla Torah, il Corano non è opera degli uomini ma di Dio; non creato dagli uomini, ma “increato” da Dio. Un testo divino perfetto che non tollera alcuna interpretazione né adattamento. Il Corano è sulla Tavola conservata, presso il Trono divino, dalla Creazione. Le leggi di Allah sono superiori a quelle degli uomini. Emanano direttamente da Dio.
Il califfo chiuse le porte dell’interpretazione e del rinnovamento (ijtihad). Da allora sono rimaste ostinatamente chiuse. Per questo motivo l’“islam dei Lumi” è un’impostura, un’invenzione degli occidentali ignoranti o militanti. Un mito. La libertà di coscienza nell’islam non ha mai ottenuto la minima legittimità nel diritto. Le filosofie critiche sono le grandi sconfitte della storia dell’islam. Il loro idolo, Averroè, fu cacciato da Cordoba e vide i suoi libri bruciati nel 1195 in Andalusia. Da molto tempo, a Baghdad non era più possibile interpretare i suoi testi. E Rémi Brague, eminente specialista dell’islam, ci ricorda con ironia che Averroè stesso, erede di una dinastia di giuristi degli almohadi, non è mai stato ostile al jihad armato e si è sempre definito come un musulmano di rigida obbedienza: “La negazione e la messa in discussione dei principi religiosi mettono in pericolo l’esistenza stessa dell’uomo; per questa ragione bisogna uccidere gli eretici”.
Il petrolio è guardato come il frutto
della Provvidenza,
una prova che Allah
è di nuovo accanto
ai musulmani
Gli intellettuali minoritari che provano oggi ad aprire nuovamente le porte dell’ijtihad sono una manciata e vivono tutti in Occidente. L’influenza dominante sulle masse arabe, laggiù e qui, è quella di un rigido ritorno al dogma inaugurato dai teologi di Al-Nahda (“la rinascita”) e tutti i teologi salafiti.
Questa “rinascita” dell’islam è una risposta all’umiliazione causata dalle invasioni europee del Diciannovesimo secolo. La grande riforma dell’islam ha preso allora la forma di un ritorno alla purezza originale della Legge per rispondere a questa umiliazione della sconfitta (islah).
Abbiamo vissuto un fenomeno comparabile nella società cristiana rivoluzionata dall’invenzione della stampa. Il protestantesimo manifestava all’epoca la stessa volontà di ritorno alle origini e alla purezza del messaggio evangelico, deviato dall’ignoranza dei preti e dalla perversità dei papi. Il salafismo ritorna anch’esso alle origini dell’islam per portare a termine la rinascita di un mondo musulmano umiliato dalla sconfitta dove l’hanno portato le sue cattive guide. Tutti si dicono salafiti.
Il fondatore dei Fratelli musulmani si diceva salafita. Il salafismo, ritorno dell’islam alla sua “purezza” originale, è l’islam, l’islam delle origini, l’islam di sempre. I riformatori progressisti musulmani lo riconoscono, pur dispiacendosene: “La base nascosta e molto ampia del salafismo è lì, in questo tradizionalismo ancorato in troppi spiriti che sacralizzano abusivamente una tradizione che ha fatto dell’islam un sistema rigido di leggi” (Abdennour Bidar).
La differenza tra i salafiti e i Fratelli musulmani è di grado, non di natura.
La dinastia di Saud, che ha impiegato centocinquant’anni per conquistare i luoghi santi e imporre il suo dominio sull’Arabia Saudita, si richiama anch’essa al salafismo; sono i loro nemici che li qualificano come wahabiti.
Il petrolio è guardato come il frutto della Provvidenza, una prova che Allah è di nuovo accanto ai musulmani. Gli introiti del petrolio gli hanno permesso di “wahabizzare” una gran parte dell’islam. Di riportarla al salafismo, e dunque alla sua purezza originale.
Gli orientalisti francesi e i loro successori dovranno farsene una ragione: le sottigliezze d’antan tra i riti sunniti e le innumerevoli sfumature dell’islam integrate nel loro paese d’adozione sono in procinto di essere gettate nella spazzatura della storia dalla wahabizzazione. Quest’ultima unificando il sunnismo con il suo islam purificato lascia sopravvivere una sola divisione, fondatrice e spietata, quella con lo sciismo. Dopo la dissidenza protestante, ci fu la guerra dei Trent’anni tra protestanti e cattolici, così come oggi si affrontano, in una nuova guerra dei Trent’anni, sunniti e sciiti.
Le filosofie critiche
sono le grandi sconfitte della storia dell'islam.
Il loro idolo, Averroè,
fu cacciato da Cordoba,
i suoi libri bruciati
Bisogna essere un grande ignorante come François Hollande per proclamare: “L’islam è compatibile con la democrazia”. L’islam è incompatibile con la laicità, con la democrazia, con la Repubblica laica. L’islam è incompatibile con la Francia.
Il progetto dei rinnovatori dell’islam non è quello di modernizzare l’islam, come credono le nostre élite incolte, ma di islamizzare la modernità. E anzitutto di islamizzare la Francia. Non può esserci un islam di Francia; può esserci soltanto una Francia islamica. L’islam non è una religione, ma una legge, un Din. E’ un progetto politico che si avvale della Legge divina per imporre il suo ordine totalitario. L’islam moderato non può esistere, anche se possono esistere dei musulmani moderati. Tuttavia sono di rado moderatamente musulmani. O allora, si allontanano dall’islam perché lo trasformano in qualcosa di privato, in una semplice spiritualità, astorica e apolitica. Ciò che Napoleone aveva preteso e ottenuto dal giudaismo. Ciò che l’islam non è mai stato nella sua storia. E ciò che rifiutano con veemenza il 99 per cento dei musulmani. I successori di Clermont-Tonnerre possono tuonare invano: rifiutare tutto ai musulmani come nazione e accordare tutto ai musulmani come individui. L’islam è una nazione.
Il musulmano è un uomo politico che non sa di esserlo. L’islam è insieme una religione, una nazione, una legge e una civiltà. (…)
Non bisogna più lasciar credere che ogni straniero entrato nel territorio francese è lì per restare. Ci portano giustamente a esempio le immigrazioni del passato, italiana, spagnola, polacca, che, dopo un inizio caotico e conflittuale, hanno finito per integrarsi e “arricchire” la nazione francese. Ma viene dimenticato, ignorato, o occultato l’essenziale. Secondo i calcoli del grande storico Pierre Milza, su 3,5 milioni di italiani venuti in Francia tra il 1870 e il 1940, due terzi sono ripartiti. Stima ugualmente al 60 per cento i polacchi ritornati a casa loro. La Repubblica francese era allora sagace ed efficace. Sapeva separare il grano dalla crusca, espelleva i delinquenti e i disoccupati, e spingeva alla partenza tutti coloro che non sopportavano le rigidità dell’assimilazione. Nessun diritto assoluto al ricongiungimento familiare; nessuna nazionalità francese accordata d’ufficio a ogni coniuge di una persona avente già la nazionalità francese; nessun flusso massivo di studenti stranieri che poi non ripartivano mai; nessuno ius soli automatico; nessuna naturalizzazione senza una reale assimilazione; nessuna scolarizzazione obbligatoria dei figli dei clandestini; e rispetto rigoroso della legge dell’anno XI che stabiliva l’obbligo di scegliere per i bambini un nome derivante dal calendario dei santi e dalla religione cristiana. Era meglio per tutti: quelli che desideravano assimilarsi alla nazione francese non subivano più i sarcasmi o l’ostilità dei loro compatrioti che non lo desideravano; e per questi ultimi, il ritorno a casa loro era la miglior soluzione al loro legittimo mal del paese, che rispondeva alla volontà di perpetuare il loro essere culturale e civile. L’errore funesto degli anni 80, sotto l’egida delle associazioni antirazziste, fu quello di spezzare, in nome dei diritti dell’uomo, il legame tra assimilazione e nazionalità. Dobbiamo ricucirlo. E’ il solo modo per ricostituire un popolo francese degno di questo nome, unito da una storia, da uno stile di vita, da dei valori comuni, e che desidera far valere “l’eredità ricevuta indivisa”, secondo la celebre espressione di Renan. I musulmani dovranno scegliere tra l’islam e la Francia. Tra una Francia cristiana e un islam che non concepisce la coesistenza senza la dominazione. La Francia è una terra di miscredenza e che vuole restarlo. La scelta deve essere chiara e definitiva. E’ la maniera più onesta e più rispettosa di ognuno, contrariamente a ciò che ci ha lasciato credere una propaganda mielosa e “inclusiva”. E’ la nostra politica che li definirà e obbligherà ciascuno a posizionarsi.
Il Foglio sportivo - in corpore sano