Innamorarsi dell'Europa
Nello scontro finale di Francia, Macron contro Le Pen, non c’è spazio per i cuori tiepidi e schizzinosi: si sceglie in che galassia ci piace vivere (e trovatela una migliore di questa)
Il Cevipof, istituto di sondaggi francese, dice che il voto in Francia è tutto una questione di disamore. Il fatalismo degli schizzinosi, degli annoiati, di chi si trascina appresso passioni finite o semplicemente mai esistite è il vincitore delle presidenziali francesi, ché i candidati all’Eliseo, Emmanuel Macron e Marine Le Pen, diversissimi tra loro, hanno un tratto in comune: sono poco amati. Secondo i dati del Cevipof, il 47 per cento degli elettori ama poco o non ama per niente Macron, mentre il disamore complessivo per la Le Pen è al 59 per cento.
Pennac ha scritto
una lettera "a un amico astensionista":
quel che mi spaventa, dice, è l'equivalenza, che tutto è uguale,
e tutto vale
Il disincanto, questo è il nemico del mondo come lo conosciamo, abbiamo già vissuto elezioni così, di disamore assoluto, cuori tiepidi che s’affacciano nell’urna sapendo che in gioco ci sono equilibri ben più grandi e ben più appassionanti, eppure non trovano il modo, lo slancio per scaldarsi. Il “ni-ni” che tanto è andato forte in queste due settimane di campagna per il ballottaggio in Francia è l’espressione del disincanto, la Le Pen no ma anche Macron no, non mi rappresenta, non mi assomiglia, è troppo giovane, è troppo banchiere, è troppo cinico, ha pure la voce stridula. I giornali si sono riempiti di appelli più o meno riusciti, l’Obs mette in copertina “oggi ni-ni domani Le Pen”, per ricordare che l’occasione è questa, semplice e democratica, il giorno dopo è tardi per tutto, figurarsi per un pentimento. Daniel Pennac sul Monde scrive una lettera “a un amico astensionista”, e spiega che a spaventarlo è questa faccenda dell’equivalenza, la faccia seria del disamore, per cui ogni cosa si equivale, e ogni cosa vale. Le falsità, ma anche le volgarità. Gli inglesi dicono “whatever”, ed è la risposta che fa impazzire le mogli, i figli, i genitori, non è vero che “fa lo stesso”, non sempre almeno, non ora di certo, quando si contrappongono visioni così diverse, due mondi, due galassie: non puoi non schierarti, non puoi non sapere che il giorno dopo devi fare i conti anche con le tue non scelte.
Ci siamo piano piano assuefatti al disamore. Il ritorno al passato, a quando si era tutti un po’ meno integrati e un po’ più soli, si nutre di questa disaffezione, e intanto la faglia delle contrapposizioni si è allargata: la retorica delle “deux France” ricalca quella che s’è vista nel Regno Unito e negli Stati Uniti, le città che si aprono e le campagne che si chiudono, il popolo insofferente e le élite impermeabili, il pessimismo di chance che si riducono e l’ottimismo di chi non perde fiducia nel progresso. Il disincanto ha avuto spesso la meglio, abbattuto dalla forza della rabbia certo, ma anche dal suo modo di fare scettico e circospetto. Gli inglesi, prima di tutto: l’Europa è un mercato enorme, indispensabile per il Regno Unito, ma gli europei sono inutilmente invadenti, opprimenti, pretendono e non danno, come posso schierarmi con loro? Poi le piazze del rimpianto erano pienissime, lacrimevoli e d’un colpo consapevoli, ma prima, quando c’era da scegliere e convincere, l’entusiasmo non c’era. Con Hillary Clinton in America è andata sin peggio, perché lei si portava dietro montagne di disamore, tutte per lei ed esclusivamente per lei, ma il conto poi lo stiamo pagando anche noi, compresi i tiepidi, che si guardano attorno facendo finta di non riconoscere più se stessi. Per questo, per la storia recente e per un mondo che tende a fidarsi più della rabbia che della rappacificazione, la sfida francese è diventata lo specchio in cui ognuno di noi ha trovato il modo di riflettersi, illusi e disillusi – il test finale.
Gli interpreti
delle due galassie
non potevano essere
più perfetti: lei rivendica "il monopolio
del popolo",
lui s'avvolge
nella bandiera Ue
Gli interpreti di questo scontro non potevano, non possono, essere più perfetti. Da un lato Emmanuel Macron, il ragazzo secchione, cresciuto nei palazzi dell’élite, tra politica e finanza, formatosi alla scuola della fluidità in cui contano le riforme e le libertà e non se sei di destra e di sinistra, riedizione moderna e giovane – c’è chi dice infantile – della “big tent” del progressismo degli anni Novanta, con la variante del “tecnico” cui resta appiccicata una buona dose di freddezza e distacco. Dall’altro Marine Le Pen, vorace leader della destra estrema di Francia, autrice di un parricidio politico epocale pur se ideologicamente superficiale, guerriera e bellicosa ancorché cresciuta in un partito che nasce contro i valori repubblicani del paese che oggi lei aspira a governare, una che i cuori li scalda e gli animi ancora di più, tantissimo. Macron e Le Pen rappresentano due galassie diverse che duellano senza scrupoli – al loro dibattito televisivo s’è vista ogni inconciliabilità possibile tra i due – e se il loro scontro è interessante per tutti, uno specchio per noi osservatori del paese accanto, è proprio perché almeno sulla carta questi due, di segno tanto contrario, annullano il disamore, annullano il disincanto, sono rivoluzioni per definizione, fuori dai partiti tradizionali e dalle traiettorie storiche del bipartitismo repubblicano.
Com’è possibile allora che in una contesa tanto perentoria, in cui la proposta dell’uno è l’esatto opposto di quella dell’altra, in cui le sfumature sono ridotte a zero, in cui ogni cosa che dice uno suona come una bestialità all’orecchio dell’altra e viceversa, abbiamo letto e ascoltato racconti dettagliati di indecisioni irrimediabili? Come si può essere indecisi o “ni-ni” quando si deve scegliere se vivere in una galassia oppure in un’altra? Il disamore sa essere, vuole essere, spietato, c’è lui e soltanto lui, l’urgenza di chi vuole dire ti amo impallidisce di fronte al furore di chi deve graffiare con il suo non ti amo.
Abituandoci al disamore e alla rabbia, ci siamo dimenticati che cos'è
il progetto europeo,
i suoi numeri,
e le sue alternative
Eppure le galassie contano. C’è quella in cui l’Europa e l’euro sopravvivono, si rilanciano pure, e le libertà che hanno animato il progetto europeo restano non negoziabili, e anzi diventano garanzia di protezione. Qui, in questa galassia, si viaggia a costi sempre più bassi, si telefona a tariffe sempre più basse, si vive in media più che negli altri continenti del mondo (nei dieci paesi in testa alla classifica Ocse sette sono europei). Secondo i dati del Fondo monetario internazionale, il reddito pro capite della maltrattissima Grecia in costante rischio default era, anche nel 2016, più del doppio di quello della Cina e della Russia e del Brasile. Il coefficiente Gini, che misura l’eguaglianza nella redistribuzione dei redditi, rappresenta l’Europa con un brillante colore verde, più o meno intenso ma verde, che è il segnale di un’equità che se leggi i giornali non ti aspetteresti mai. Certo, è tutto relativo: non siamo qui a sostenere che non esista il disagio di chi non può permettersi il dentista per il figlio finché non arriva il sussidio dallo stato (e comunque anche questo c’è in Europa, il sussidio arriva: sull’ultimo numero dello Spectator, magazine inglese, c’è un elogio del welfare continentale quasi surreale, ché questa generosità ci ha resi più indebitati e fragili, ché proprio da questa generosità gli inglesi scappano veloci). Così come è evidente che l’impoverimento, il fatto che i figli guadagnino meno dei padri soprattutto, un’umiliazione generazionale insostenibile, determinino insofferenza e frustrazione e voglia di scardinare un sistema che esclude e non include. Ma il punto è un altro: è l’alternativa a questa galassia, è come si vive fuori dall’Europa – in media molto meno meglio che qui, e non soltanto per chi sta bene, ma soprattutto per chi sta male – e anzi come si vivrebbe nell’Europa dell’altra galassia.
Piccoli cenni. Secondo l’ultima rappresentazione della Le Pen, soltanto per usare quella più visibile, l’Europa torna a essere un insieme di stati sovrani che, di progetto in progetto, si alleano, ma senza trattati, senza regole, senza armonizzazioni. Avete presente l’Airbus?, ha detto la Le Pen al Corriere della Sera, ecco. Naturalmente l’euro non può sopravvivere a questo sovranismo, e allora secondo la Le Pen ci sarebbe l’euro usato dalle banche centrali e dalle grandi multinazionali e il franco – e tutte le altre valute nazionali negli altri paesi – per andare dal panettiere. Come si pagano i mutui, se lo stipendio arriva in euro o franchi e il cambio chi lo stabilisce, non si sa, ma si può ragionevolmente presumere che il rischio di impoverimento è alto. Infine le frontiere sarebbero chiuse, sigillate, e i doganieri farebbero un po’ tutto, calmerebbero l’isteria di chi non è più abituato alle dogane da decenni e allo stesso tempo sarebbero la prima forza di antiterrorismo sul campo.
Non si tratta di una caricatura, questo è il mondo “giusto” secondo la Le Pen. Ma pure nella ben più placida Inghilterra, dove c’è un premier tosto e cauto come Theresa May, l’altra galassia assume sfumature allarmanti. Il negoziato è lungo, si sa, ma Londra si sta gradualmente accorgendo che il principio affascinante di gettarsi liberi nel mondo si scontra con una realtà inossidabile: il mercato migliore, oltre che il più comodo, è quello europeo. E questo non significa per forza che assecondare il desiderio della Brexit sia sbagliato, quale politico potrebbe ignorare l’esito di un referendum così decisivo? Ma il negoziato dovrebbe partire da una certa condivisa ragionevolezza, gridare al sabotaggio di un voto nazionale – quello dell’8 giugno – da parte dell’Europa perché dei burocrati tedeschi hanno parlato male di Londra sui giornali non pare un inizio promettente. E l’alternativa, ancora una volta, è un impoverimento di tutti.
I dettagli non piacciono mai a chi rivendica, come ha fatto la Le Pen, “il monopolio del popolo”: è una lotta tra l’alto e il basso, tra i centri e le periferie, tra i cinici e gli esclusi, tra chi riduce tutto a un numero e chi guarda negli occhi i suoi elettori. E’ una filosofia, ha detto la Le Pen quando le è stato chiesto di ribattere alle proposte di Macron: una galassia appunto. Eppure al desiderio di cambiare il mondo, anzi di scardinarlo, non può non seguire la domanda: sì, ma per diventare come chi?
Scaldatevi voi il cuore per l’Europa, se siete capaci, ci siamo ripetuti per anni, quando la questione europea era come una maledizione, nessuno si sognava di pronunciarla, men che meno di difenderla. Tutte le involuzioni possibili sono state sperimentate, lotte tra stati, lotte tra partiti, lotte tra funzionari, lotte tra cittadini, mai una gioia con quest’Europa che ogni volta che finiva in un’urna, direttamente o indirettamente, usciva a pezzi. Come un’amante appiccicosa che ha bisogno di continue conferme e a ogni passo perde l’occasione di trovarle, così l’Europa non ne ha mai ottenuta una, anzi, è rimasta piegata da questo suo non rappresentare più alcun valore positivo, ma soltanto un mondo di noie burocratiche e di regole involute. Ci siamo avventati sulla fine dell’Europa, una due cento volte, abbiamo analizzato le sue rughe una a una, sentenziando sulla impossibilità di riscatto.
Abbiamo assaggiato
un pezzo della fine dell'Europa, e siamo scesi in piazza a cantare e fare una conta di mani alzate che ci riguarda tutti
Poi la fine s’è avvicinata, sotto forma di una Brexit informe, di un presidente americano che una volta sorride e il resto del tempo s’allontana, di una Russia che scommette sull’implosione europea dal suo interno – sul disamore – e l’istinto di sopravvivenza ha avuto un sussulto inaspettato, incarnandosi in un leader spuntato dal nulla, che passa il tempo a scansarsi da eredità che non riconosce e tentando allo stesso tempo di attirare consensi che fino al giorno prima non gli appartenevano. Per rinascere l’Europa non poteva che affidarsi all’azzardo di Macron, e anche questo se ci si pensa ha un che di drammatico e di meraviglioso, perché si sentono ovunque scricchiolii di fragilità eppure è evidente che solamente il fascino del nuovo arrivato poteva provare a salvare un progetto che soffre di decadenza.
La Le Pen non entra in uno studio tv se c’è la bandiera dell’Europa, pretende di farla rimuovere, e Macron si avvolge con quella bandiera, talmente orgoglioso che appare strafottente. Pulse for Europe, il battito per l’Europa, è la nuova icona della piazza che vuole costruire un amore che pareva impossibile, canta l’Inno alla gioia e porta dei muri di cartoni per poi tirarli giù, sventolando stelline, perché l’Europa questo è, questo ha fatto, ha tirato giù muri. In molte città europee ormai da settimane ci si vede alla domenica con addosso l’abito del patriottismo europeo – questo sconosciuto – e ci si ricorda l’un l’altro che ci vogliono cambiamenti, certo, ma che questa galassia così male poi non è. “Penso che la cosa importante sia riportare l’emozione nel progetto europeo”, ha detto una delle organizzatrici di un incontro a Berlino, i cuori tiepidi e gli schizzinosi sono uomini di un altro tempo, oggi si chiede uno sforzo in più, uno slancio in più, per restare in questa galassia, almeno: il disamore non può vincere sempre, soprattutto se poi la vita, l’abitudine, racconta un’altra storia. “L’Unione europea se le dimentica queste cose. Una volta abbiamo chiesto: ‘Chi di voi si è innamorato in un altro paese europeo?’. Dovevate vederle, tutte quelle mani alzate”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano