Viaggio nel cuore ferroviario d'America, dove le imprese italiane esportano know how
Nella Silicon Valley e in Florida si montano i metrò per l’America e si parla molto italiano
San Francisco. Vedi Silicon Valley e poi muori. Mentre Elon Musk progetta il super treno-capsula, e Uber ha qualche problema con le sue auto senza conducente che talvolta si cappottano, appena fuori San Francisco una squadra napoletana costruisce metropolitane senza conducente da quindici anni, canticchiando pure. E se l’inventore della Tesla sta studiando il treno antigravitazionale per collegare Los Angeles in mezz’ora (ma chissà se arriverà mai), a Pittsburg (senza h), mezz’ora da San Francisco, un mega capannone senza robot vanta invece maestranze umane allegre, con accenti toscani, partenopei e anche più giù, forse grazie a diete non paleo ma a base di ’nduja: han ragione a essere contenti perché stanno costruendo addirittura la metropolitana delle Hawaii (che pare una cosa talmente esotica da fare invidia ai vari Musk).
Viaggio nel cuore ferroviario degli States. L'ex AnsaldoBreda, ora Hitachi Rail, sta preparando la metropolitana delle Hawaii
Quella havaiana è smilza, metrosexual, destinata col suo carico di bici allo Stato balneare di Obama. E per di più è pure d'alluminio
I treni sono costruiti in Italia e assemblati poi a Pittsburg, mezz'ora da San Francisco. Gli ultimi modelli senza conducente
Apprendiamo dettagli romantici, anche: sotto i vagoni o casse, a vedere le ruote e i carrelli che fanno anche un po’ paura, e su tutti i treni anche modernissimi ecco la “sabbiera”, piccolo serbatoio di sabbia per dare quel grip in frenata, pare dettaglio d’epoca ma viene rilasciata tutt’ora sulle ruote, dal Freccia in giù, alle metro havaiane, ai tram, per rallentamenti sostenuti. E poi, lessici: veniamo sgridati perché abbiamo chiesto se anche quelli degli aeroporti sono metrò senza conducente (o quello fichissimo che porta su a Los Angeles al Getty Center, forse il trenino più chic al mondo. “Ma no”. Questi sono “people mover” e “sono gomma su cemento”). C’è poi la questione della terza rotaia, cioè una specie di padella laterale che tocca una linea ad alta tensione (c’è sui treni a Honolulu), e la “grecata”, è il rinforzo laterale alla base del vagone (pardon, la cassa), una specie di bugnato tipo palazzo dei Diamanti a Ferrara, qui però ondulato che si trova nei treni americani dell’immaginario filmico (pare d’essere nel dizionario dei sogni di ogni bambino possessore di trenini).
Così, ecco poster e modellini appesi e in posa nello stabilimento: le metro e i bus e i tram di Baltimora, Washington, Atlanta, Cleveland, Seattle, Boston, dagli anni Settanta a oggi, tutti fatti dagli italiani. Più naturalmente i 151 tram in uso a San Francisco. Tram oltre che bellissimi, con una estetica aggressiva da trattorino, tecnicamente notevoli perché devono sottostare a curve e salite improvvide. Ma nell’America ossessiva dell’autarchia la metropolitana d’Italia simbolo di globalizzazione non vi fa sentire un po’ minacciati? “Il nostro è un prodotto molto americano, in realtà; vige una vecchia legge federale per cui se i comuni vogliono avere i fondi statali, il veicolo deve essere assemblato qui, e i materiali devono essere almeno al 60 per cento americani” ci dice Nuonno. “Ma noi siamo in regola da sempre, siamo qui da talmente tanti anni che siamo percepiti come un player americano”.
Commessa da 300 milioni, la nuova metropolitana di Miami è pronta. Uomini (qui c'è il pilota) e acciaio. Una fissazione per l'inox
E però adesso “le città americane hanno un grande bisogno di espandersi nel settore del trasporto pubblico, adesso noi vogliamo rafforzare la nostra presenza” (in effetti, anche a Los Angeles, aspettando il treno fantasioso di Elon Musk, stanno sorgendo stazioni della metropolitana ovunque, per evitare un traffico micidiale tipo romano). Però saltando a bordo della metro havaiana, tecnicamente “driverless pesante”, che porterà i dipendenti qui da 30 a 100, si potrà dire parafrasando una certa azienda, “designed in Reggio Calabria, assembled in California”, e molte componenti sono italiche, il pavimento di gomma è della Mondo, quella degli omonimi palloni (la sabbia della sabbiera non si sa invece da che spiaggia o cava venga).
Forse da Miami: l’azienda italo-giapponese, che sta fornendo il mega appalto per il rinnovo della flotta, ha investito molto nella città floridiana. Così, a chilometri zero, noi ci sacrifichiamo e andiamo, ed è un altro momento di grande orgoglio patriottico perché l’aeroporto MIA come praticamente tutti quelli americani ospita solo bar e ristoranti italiani gestiti da Autogrill tramite la controllata HMShost; e all’alba appena sbarcati corriamo in uno Starbucks dove gigantesche signore ispanoamericane cantano molto di buonumore in spagnolo in uno degli 8 Starbucks che appartengono pure al gruppo italiano (diverranno presto 11) senza polemiche, qui le palme ci sono da sempre, a differenza di Milano.
Superiamo l’enoteca di Gloria Estefan con i suoi prosecchi a marchio proprio e private label cafonal, e la tabaccheria dove è stato appena vinto un premio da 60 milioni di dollari, e andiamo verso l’altro grande stabilimento dei treni italiani: qui, è già bell’e pronta la metro di Miami, commessa da 300 milioni di dollari, per 136 casse. Nelle foto dell’inaugurazione, col sindaco Carlos Gimenez e il ceo di Hitachi Rail Italy Maurizio Manfellotto, il primo veicolo consegnato a ottobre reca il capolinea “Palmetto” e tutto torna perché la Palmetto a nordovest della città è anche il nome di una famigerata autostrada mai finita: è insomma la loro Salerno-Reggio Calabria.
Saliamo subito sopra questo grosso grasso vagone floridiano, operai stanno montando dei cavi ascoltando rap napoletano seguendo istruzioni attaccate con sagome tipo quelle dei Playmobil. In ogni cassa scorrono circa 15 chilometri di fili, meno dei 18 necessari per quelle driverless. Questa di Miami è così diversa da quella havaiana, è blu con la bandiera americana e la grecata d’acciaio, e addirittura il conducente in carne e ossa. E’ la metropolitana trumpiana. Acciaio e umani. “Le metropolitane standard americane sono storicamente tutte di acciaio inox”, dice Budetta. Hanno dunque una fissazione per questo materiale lucente, ci si è trovati più volte a interrogarsi su questa peculiare questione, i treni americani tipo “Una poltrona per due” hanno degli esagerati rinforzi, tubi, corrimano, come se nel trasporto su rotaia che poi è quello che ha creato l’America (città come Las Vegas sono nate grazie alla ferrovia, il treno portava la civiltà e il business e sterminava i nativi), dovesse esserci per sempre il segno della conquista, l’orrore della leggerezza, come se al venir meno del tubolare sovradimensionato l’inconscio americano si sentisse subito minacciato. “Hanno una passione per l’acciaio inox che non ha pari nel resto del mondo” dice Nuonno, se si pensa alla laggiadria delle nostre metropolitane, femminee e sensuali, contro questi mammozzoni.
Pure quella havaiana è smilza e metrosexual, forse perché fatta in California, e pure destinata col suo carico di bici allo Stato balneare di Obama. E per di più è pure d’alluminio (dunque forse antipatriottica). Saranno complessi misteriosissimi, o forse ragioni pratiche. Anche nella sospetta Europa si predilige il leggiadro materiale: “in Europa le metropolitane sono prevalentemente in alluminio”, dice Nuonno. “E’ più facile perché l’estruso viene fuori praticamente dallo stampo come da una pastamatic, bisogna solo ritagliare i buchi per le finestre, mentre l’acciaio inox ha una lavorazione molto più complicata”, ci spiegano. “In America invece si preferisce l’inox perché poi non va verniciato. E ha caratteristiche migliori di resistenza”, e assorbe anche i botti.
Intanto questa metropolitanona della Florida ha la consueta forma a lingotto o mattonella, tipica degli Usa profondi; mentre in Europa ci piacciono più un po’ rastremate, a plum cake. Scendiamo nella pancia del paese in una specie di grande autolavaggio, è la cabina idrica per testarla all’impermeabilità, con idranti a 10 atmosfere, perché a Miami c’è la stagione delle piogge. Ogni cassa o lingotto costa circa due milioni, e impiega 2.500 ore di lavorazione, pesa circa 40 tonnellate. Le metropolitane americane non sono mai uguali, vanno sole o in compagnia. “Girano a coppie, da due, quattro o sei, e vengono accoppiate e separate a seconda dell’ora” ci dicono al terminare della visita al grande Trenino d’America (servirebbe, più che un Bart, un Roland Barthes, forse).
Il Foglio sportivo - in corpore sano