Pablo Picasso, "Sipario del balletto 'Parade'", 1917, ora in mostra a Napoli (Photo Centre Pompidou, Dist. RMN-Grand Palais / Christian Bahler / Philippe Migeat - Succession Picasso by Siae 2017

E Pablo s'innamorò di Napoli

Giuseppe Fantasia

Un secolo fa. “Cantiamo e siamo felici”, scriveva Cocteau alla madre mentre Picasso dipingeva, rapito dalla bellezza della città e influenzato dalle sue tradizioni. Una mostra tra Pompei e Capodimonte

Credo che nessuna città al mondo possa piacermi più di Napoli”, scrisse in una lettera indirizzata a sua madre Jean Cocteau (1889-1963), rapito dalla bellezza e dalle mille contraddizioni di quella Montmartre araba “dove l’antichità brulica”, il disordine dà vita “a una kermesse che non ha mai sosta”, il Vesuvio “fabbrica tutte le nuvole del mondo” e il mare blu scuro “scaglia giacinti sui marciapiedi”. Che non sia una città come le altre, è fuori discussione, perché non si può non esser rapiti dalle tante e diverse anime che la compongono, capaci ogni volta di creare un vero e proprio teatro di vita a cielo aperto, come non si può restare coinvolti dalla sua gioia e dalla sua tristezza, dalla sua bellezza e dal suo degrado. I problemi ci sono, ma non solo lì, e la voglia di reagire e di migliorare si fa sentire ogni giorno di più, tanto che da anni la città è sempre più al centro di una vera e propria rinascita artistica e culturale che sta facendo raccogliere i suoi frutti più gustosi, dai suoi sotterranei fino alla superficie. Sì, perché sotto quella che conosciamo, c’è un’altra Napoli sotterranea, nascosta agli occhi del mondo, con il buio al posto della luce – come ricorda Maurizio De Giovanni nel suo ultimo libro, I Guardiani (Rizzoli)– e questo la fa essere meno sola. Un esempio è dato dalle Catacombe di San Gennaro – aree cimiteriali risalenti al II secolo d.C. dove c’è anche la tomba del santo, il più amato e il più popolarmente riconosciuto tra i cinquantadue patroni cittadini – come dalle Catacombe di San Gaudioso, il secondo cimitero paleocristiano più importante della città, sito sotto la basilica di Santa Maria della Sanità, nel rione più vivo del momento, uno di quelli in cui la “rinascita” è in atto già da tempo grazie al parroco Don Antonio Loffredo e a un fattivo gruppo di giovani della cooperativa “La Paranza”.

 

Nelle scorse settimane, proprio in quella chiesa-simbolo che i napoletani chiamano San Vincenzo (recentemente restaurata) e in quel rione dove nacque Totò, è stato ospitato il concerto del cantautore Vinicio Capossela, uno degli oltre cinquanta eventi del primo festival di Sky Arte che per tre giorni hanno animato la città attirando quasi ventimila presenze tra mostre, dibattiti (a Villa Pignatelli), reading e installazioni poi divenute permanenti.Pensiamo all’intera facciata del Muro dello Spazio Damm al Parco dei Ventaglieri (arrivate fino in cima: la vista da lì è magnifica) o ai basamenti di piazza Montesanto, all’uscita dell’omonima metro di quel quartiere popolare e multietnico, raffiguranti dieci personaggi iconici napoletani (tra cui Giancarlo Siani, Concetta Barra ed Artemisia Gentileschi), realizzati da Rosaria Bosso, in arte Roxy in the Box, che dopo sedici anni passati in Telecom, ha deciso di diventare una streetartist facendosi apprezzare dal grande pubblico con il suo stile a metà tra Warhol e Almodóvar.

 

Il risultato fu la più grande opera mai realizzata dal pittore: il sipario del balletto "Parade", che avrebbe debuttato nel maggio 1917 a Parigi

“Cantiamo canzoni napoletane e siamo felici”, scriveva sempre Cocteau a sua madre in una cartolina spedita proprio dalla città partenopea. Esattamente cento anni fa (era il 1917), si trovava a Roma per assistere alla tournée della compagnia dei Ballets Russes di Sergej Djagilev, invitati dall’allora impresaria del Teatro dell’Opera, Emma Carelli. Con lui c’erano anche Erik Satie e un trentaseienne Pablo Picasso che voleva iniziare i lavori del sipario Parade, il balletto ideato da Cocteau su musiche dello stesso Satie che debuttò poi al Théâtre du Châtelet di Parigi nel maggio del 1917. Nelle otto settimane trascorse nella capitale (dove Picasso fu rapito dalla bellezza della ballerina Olga Khokhlova, che sposò pochi mesi dopo), lasciarono l’Hotel de Russie (loro dimora capitolina) solamente due volte, e fu proprio per andare a Napoli e alla vicina Pompei, un viaggio che quel trio d’eccezione non dimenticò mai. Soprattutto il pittore spagnolo, che fu molto influenzato da alcune delle maggiori espressioni della cultura tradizionale napoletana, dal presepio al teatro popolare fino a quello delle marionette, oltre che da quel binomio particolare composto dalla città antica e da quella moderna. Il risultato fu proprio il sipario del balletto Parade (1917), la più grande opera da lui mai realizzata, una tela di diciassette metri di base per dieci di altezza, conservata al Centre-Pompidou di Parigi ed esposta solo in rare occasioni proprio per via delle sue dimensioni. Dopo essere stata al Brooklyn Museum di New York (nel 1984), al Palazzo della Gran Guardia di Verona (nel 1990), al Palazzo Grassi a Venezia (nel 1998) e al Centre-Pompidou di Metz (tra il 2012 e il 2013), la potrete ammirare dal vivo proprio a Napoli, al Museo e Real Bosco di Capodimonte.

 

1E’ lei la superstar della mostra “Picasso e Napoli: Parade” in programma fino al 10 luglio prossimo in quell’imponente Reggia (edificata tra il 1738 e il 1838 su progetto dell’architetto ed ingegnere militare Giovanni Antonio Medrano, con la collaborazione del progettista romano Antonio Canevari), che con la sua collezione immensa, una pinacoteca, un museo di arti decorative e un gabinetto dei disegni, è un museo reale, una raccolta dinastica, ereditaria, alla quale si aggiunge la produzione artistica di una grande capitale con una corte fastosa, “forse l’unico museo in Italia che può illustrare la storia dell’arte a partire dal XIII secolo, di capolavoro in capolavoro, attraverso il Rinascimento fino all’arte contemporanea”, come ha spiegato al Foglio il direttore generale Sylvain Bellenger, che è anche curatore della mostra assieme allo storico dell’arte Luigi Gallo. La sua storia si lega senza soluzione di continuità alle vicende dinastiche e politiche che videro susseguirsi a Napoli i Borbone, il dominio francese di Gioacchino Murat, la Restaurazione, il Regno d’Italia sotto i Savoia e infine la Repubblica italiana dal 1946.

 

Dopo aver visitato il Salone della Culla e quello dei Cammuccini e aver ammirato la meticolosa maestria degli artisti del Salottino di porcellana (consta di oltre tremila pezzi) proveniente della Reggia di Portici – trasportato poi a Capodimonte nel 1866 per la regina Maria Amalia di Borbone – lasciatevi conquistare anche dalla bellezza delle altre porcellane che arrivarono lì da tutte le ex regge borboniche, realizzate per la maggior parte dalla Real Fabbrica della Porcellana fondata da Carlo di Borbone nel 1743 e da quella fondata da Ferdinando nel 1772, creando così una delle più importanti raccolte fittili del mondo che superò, qualitativamente, quelle di Meissen, Vincennes-Sèvres e Vienna. Con la sua imponenza e i suoi colori, messi in risalto da un particolare gioco di luci, Parade domina la vicina e sfarzosa sala da ballo, dove i candelabri a luce calda e rossa creano un ambiente ancora più suggestivo che ricorda quello dei teatri.

 

Oltre ai quadri, si possono vedere anche i costumi di scena di "Parade" e "Pulcinella" e il bozzetto delle "Demoiselles d'Avignon"

Il tema del circo, una delle passioni di sempre di Picasso, va a confondersi con i richiami alla tradizione napoletana e ad altri soggetti ricorrenti nella sua opera, veri e propri stilemi dell’artista, come la natura morta, la figura del musico e degli strumenti musicali oltre alla maschera di Arlecchino. “Il Novecento comincia qui, inventando il presente, e c’è anche Napoli”, ha dichiarato Bellenger, autore anche di alcuni testi presenti nel catalogo illustrato pubblicato da Mondadori/Electa. “Quell’opera d’arte è una visione, un balletto, una musica e uno spettacolo unico, visto che mette insieme Jean Cocteau, Erik Satie, Léonide Massine, Serge Djagilev e Pablo Picasso”, ha aggiunto. A Capodimonte troverete anche i bozzetti eseguiti dall’artista per il balletto Pulcinella (che andò in scena nel 1920 a Parigi con musiche di Stravinskij e coreografie di Massine), più alcune marionette e pupi della maschera napoletana provenienti dalla collezione Fundación Almine y Bernard Ruiz-Picasso para el Arte. Da non perdere, poi, lo Studio per il costume femminile dell’acrobata(1917), I due fratelli (1906) e l’iconico L’acrobata (1930), tutti e tre del Musée Picasso di Parigi assieme all’Arlecchino (ritratto di Léonide Massine del 1917), di proprietà di quello barcellonese.

 

I costumi che l’artista disegnò per Parade sono, invece, all’Antiquarium di Pompei, messi a confronto con una raccolta di maschere africane e una selezione di reperti archeologici, tra cui un gruppo di maschere teatrali inedite, rinvenute nel sito archeologico più importante al mondo dove, per l’occasione, è arrivato anche il bozzetto del quadro-manifesto del cubismo: Les demoiselles d’Avignon. Gli appassionati di danza non potranno poi mancare ai due balletti (Parade, su musica di Erik Satie e Pulcinella, su musiche di Stravinskij) entrambi interpretati dai primi ballerini, solisti e corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma – in programma dal 27 al 29 luglio prossimo al Teatro Grande di Pompei – come alle tante altre iniziative organizzate dal Teatro San Carlo di Napoli per ricordare il centenario del viaggio in Italia del genio spagnolo. Tutti questi eventi, che anticipano il progetto Picasso-Mediterraneo lanciato dal Musée Picasso di Parigi, continueranno anche a Roma (dove, al Teatro dell’Opera, è stata già ospitata una serata ricordo lo scorso aprile) fino alla primavera del 2019.

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