Il fu uomo qualunque

Pietrangelo Buttafuoco

I nobili siciliani nella trasposizione cinematografica che Luchino Visconti fece, nel 1963, del “Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

La vera Scilla è Napoli, e Cariddi è Palermo. Il largo tratto di mare che separa le due città è uno stretto che Guglielmo Giannini, fondatore dell’Uomo Qualunque nonché scrittore di vaglia – “E di telegrammi!”, aggiunge lo spiritoso amico che l’accompagna nella traversata – farebbe volentieri a nuoto: “Per abbracciare così gli amorevoli siciliani sempre pronti alle battaglie in difesa degli ultimi e contro il rutto del Nord e gli u.p.p. Ovverosia, uomini politici professionali!”.

 

Il postale si lascia alle spalle il Vesuvio orbo di pennacchio. L’ultima sfogata l’ebbe tre anni fa, nel 1944, quando gli anglo-americani arrivarono a Salerno, alla volta di Posillipo e questo pomeriggio di aprile giorno 15 concede alla navigazione un cielo terso e prodigo di promesse: è buon vento.

 

Uno squillante presagio per l’alleanza del Blocco Democratico Liberal Qualunquista alla prova per le prime elezioni regionali in Sicilia. Mancano cinque giorni all’appello delle urne e Giannini, atteso da una moltitudine, può ben gustare il sapore squisito della vittoria.

 

I viaggiatori, con l’equipaggio a far sol uomo con il capitano del battello, non nascondono l’entusiasmo di poter salutare l’uomo che con il suo settimanale giunto al balzo di una tiratura mirabile di 800.000 copie dopo le prime ore dell’apparizione nelle edicole ha dato voce a tutti col motto: “Non ci rompete più le scatole”.

 

La folla che si stringe intorno a Giannini recita col fervore di un’avemaria il programma del partito: lotta al comunismo russo, lotta al capitalismo americano, incoraggiamento dell’iniziativa individuale, limitazione del prelievo fiscale, lotta al saccheggio perpetrato dallo stato nella vita quotidiana della povera patria italiana. Ognuno prende parte al corale proponimento ma ciascuno, come in un appello che bussa alle porte del destino, scolpisce nell’aria la propria identità: “Io sono l’Uomo Qualunque”.

 

Il postale già solca le onde del Tirreno quando padri di famiglia – radunati al grido “Abbasso tutti!” – chiedono al capo fondatore dell’UQ di avere controfirmata la tessera di adesione.

 

Giannini, ben volentieri, verga il proprio autografo sul simbolo dell’omino torchiato e la stessa cosa viene chiesta all’accompagnatore del direttore che non può più nascondersi dietro i suoi occhiali fumé e l’elegante soprabito da principe in incognito.

 

Chi è dunque lo spiritoso amico che accompagna Giannini nel suo viaggio elettorale in Sicilia? E’ Totò, il beniamino dei teatri di varietà, adesso giunto alla notorietà del cinematografo. La pellicola che lo consacra al largo pubblico è “I due orfanelli” del regista Mario Mattoli. Con lui, nella felice recita, c’è Carlo Campanini e l’inseparabile compagno di tante gustose scenette è già in Sicilia, ospite dei reverendissimi padri cappuccini al convento di Leonforte, e chissà che non sia riuscito a convincere i pii ospiti a non disperdere il patrimonio di fede con la Democrazia cristiana pagnottista e aiutare gli italiani a liberarsi dei camaleontei come Caccamandrei-Calamandrei, dei filosofessi come Servitorelli-Salvatorelli o di quei grulli come Fausto Grullo-Gullo.

 

Guglielmo Giannini va incontro alla folla festante che lo attende al molo di Palermo e sulla scaletta del postale improvvisa un comizio proprio su Fausto Gullo e la sua sciagurata riforma agraria: “Come l’acqua avversa il fuoco, come il molto aborre il poco, comunisti e proprietari son di solito avversari. Ma non è così citrullo il compagno Fausto Grullo, gran borghese, forte agrario, comunista e milionario”.

 

Un cordone di attivisti, cui concorre un manipolo di carabinieri, consente a Giannini e a Totò di fendere la folla e raggiungere così l’Isotta Fraschini di Guido Russo Perez, il fidato capo dell’UQ in Sicilia che attende mentre lo chaffeur, alla guida, deve sostenere l’urto di entusiasmo che quasi impedisce alla vettura di portarsi sulle vie cittadine. Ad accogliere il direttore Giannini non c’è Gennaro Patricolo, il primo cittadino di Palermo.

 

Primo sindaco qualunquista di una città capoluogo, eletto già da un anno, Patricolo vede osteggiato il proprio operato dagli u.p.p tutti, coalizzatisi al punto di soffiare sul malcontento della popolazione, anche presso la brava gente che simpatizza per il Fronte dell’Uomo Qualunque. Ancora un anno, e a Palermo, promette Giannini, si realizzerà il programma dello Stato Tecnico. Grazie al partito dell’UQ – spiega a Russo Perez – che “concepisce uno Stato non di natura politica, ma semplicemente amministrativa, senza alcuna base ideologica, con un buon ragioniere che entra in carica il primo gennaio per andarsene il 31 dicembre. Non rieleggibile, per nessuna ragione.”

 

Non è Palazzo delle Aquile, sede del municipio, la prima tappa di Giannini, bensì la passeggiata della Marina dove il barone Russo Perez fa fermare la propria vettura per scendere e salutare il duca di Palma e barone della Torretta, ovvero il principe di Lampedusa, don Giuseppe Tomasi, come al solito in compagnia di se stesso.

 

L’aristocratico viandante accoglie il festoso incontro con un educato sorriso, confessa di non avere ancora letto con la dovuta attenzione il programma politico del commendatore Giannini (“Non è ancora commendatore”, precisa Totò, “lo faranno!” replica don Giuseppe Tomasi) e però consiglia vivamente l’illustre barone Russo Perez di mettere una mano in testa a Patricolo perché – argomenta il principe di Lampedusa cercando il sostegno di Totò, principe di Bisanzio – “malgrado io sia orbo, la vedo nera per Palermo!”

 

Gli ultimi cinque giorni che portano alla data delle elezioni sono un continuo riscontro per il Blocco Democratico Liberal Qualunquista. I cari chiassosi separatisti, gli ancor più cari attivisti del Partito Nazionale Monarchico, i galantuomini liberali dell’Unione Democratica Siciliana e gli irriducibili ostinati che hanno voluto presentare una lista dell’Uomo Qualunque fuori dall’alleanza del Blocco, tutti destinatari di larghi consensi, non sembrano sottrarre voti nella gara per la liberazione della Sicilia, e di tutto il popolo italiano, dal vero fascismo, il Partito Comunista Italiano.

 

Prova ne sia che all’arrivo alla stazione di Palermo, oltre alla traboccante folla di popolo, il direttore Giannini e i suoi amici, vanno a salire su un treno la cui locomotiva – una gloriosa Breda – ostenta sul muso i manifesti invoglianti il voto a favore del qualunquismo, chiaro segno di un entusiasmo irrefrenabile anche da parte dei macchinisti affrancatesi dalle sirene social-comuniste della lista Garibaldi-Blocco del Popolo.

 

“Il proletariato è con Guglielmo Giannini, e noi tutti con lui.” E’ con commosso orgoglio che nientemeno l’altero Francesco Lanza di Scalea, primo conte di Mussomeli, duca di Sommatino e di Baviera che rende nobili suoi consanguinei i braccianti reclutati a giornata nei feudi Tribonella e Val Salso e così anche i febbrili scavatori delle zolfare di Zimbalio, Assoro e Dittaino.

 

L’antica nobiltà derivata dai privilegi concessi nel 16 dicembre 1080 da Roberto il Guiscardo si sente chiamata all’appello proprio della Cavalleria, in difesa del popolo minuto, ed è per questo che col duca conte di Scalea – pronti alla pugna elettorale – si mobilitano anche i Lanza di Trabia, i Lanza Tomasi, tutti convocati presso i locali della Libreria Sciascia in Corso Umberto I a Nissa in attesa del direttore Giannini, di Totò e del barone Russo Perez attesi alla stazione di Xirbi. Ancora una volta per un gioioso bagno di popolo.

 

“Italia proletaria non avrai bandiera rossa, giovani alla riscossa!”. Questo il vibrante appello del Duca conte, candidato nella lista del Blocco Democratico Liberal Qualunquista nel collegio di Caltanissetta-Gela, salutando dalla vetrina della libreria di Salvatore Sciascia i Lanza con i Necchi, reduci dalla prigionia in Germania, e la simpatica plebaglia accorsa perlopiù da Catania e dai viciniori paesi etnei: i Lanzafame!

 

Un’onda di berretti, si scioglie così in un mare di coppole. Il Duca Conte, riscaldando l’attesa del direttore-fondatore dell’UQ, illustra agli astanti il programma di riscatto sociale il cui primo punto riprende i principi corporativi e la partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda. Il barone Bordonaro Branciforte, avvolto nel suo pastrano d’astrakan nonostante i primi caldi di aprile, seduto ad ascoltare appoggiandosi al proprio bastonetto d’avorio, s’alza di scatto e solleva al Duca Conte la sua più viva preoccupazione: “Pregiatissimo onorevole, la prego vivamente di usare cautela con certe discussioni perché corporativismo oggi, partecipazione degli utili domani, tutti questi villani qui presenti – scusate, ma non è un fatto personale con voi – finisce che ci vengono a fottere tutti i giardini, a Gelso Grande, come a Trapani, a Biancavilla come a Randazzo!”

 

Sta per accendersi un vero fuoco tra i due titolati quando l’arrivo di Guglielmo Giannini a Caltanissetta – annunciato da un caruso delle miniere giunto nei pressi della chiesa del Redentore – spegne ogni incomprensione per vivificare nella gremita Caltanissetta un fragoroso e continuo applauso.

 

Nello scompartimento attiguo a quello dove avevano trovato posto Giannini, Totò e Russo Perez c’erano i tre fratelli baroni di Calanovella, ovverosia Lucio, Casimiro e Agata Giovanni. Giunti da Capo d’Orlando sono in viaggio da Palermo per Xirbi diretti a Pietraperzia per assistere alla preparazione della processione in tutto il mondo ammirata: Il Signore delle fasce. I tre fratelli, ciascuno per la propria aspirazione, hanno lungamente interrogato Giannini. Agata Giovanna sulla botanica, Casimiro sugli elfi e le apparizioni degli spettri, Lucio, infine, sapendo della capacità drammaturgica del direttore – apprezzato commediografo – l’ha intrattenuto sulla poesia e il simbolismo barocco per poi rispondere, alla richiesta di Giannini: “Aderite dunque al Fronte dell’Uomo Qualunque?” con un verso dei Giochi a nascondere: “Da molt’anni sono morti i mandolini e le chitarre”.

 

Nel crescere dell’applauso – additando la folla che lo reclama – Giannini si congeda dunque dai baronelli di Calanovella descrivendo con Leopardi quella massa simile a lava: “Il flutto indorato… par che ondeggi”. La superba adunata lascia attonita, infatti, la sparuta conventicola di democratici cristiani dimenticati al chiuso della sagrestia dello stesso Redentore.

 

Fonti qualificate c’informano della presenza di Bernardo Mattarella arrivato da Castellamare del Golfo, di Salvatore Aldisio giunto da Gela, quindi di Giuseppe Alessi, di due o tre monache di casa cui va ad aggiungersi, alfine, Calogero Volpe che, pedalando sulla sua Bianchi – da Serradifalco fino a Nissa – entra trafelato scongiurando i partecipanti della tempestosa riunione: “Attenti, non uscite; chi esce la testa dalla tana… pum, pum!”.

 

Colpi discreti e però decisi s’odono essere battuti all’uscio della sagrestia. Qualcuno s’annuncia e dalla porta fa testolina – senza che dica una sola parola – Calogero Vizzini da Villalba. Appena poco, dietro di lui, egualmente silenziosissimo, Giuseppe Genco Russo. Entrambi rivolgono un cenno di saluto a quelli che la forza degli eventi trasforma quasi in congiurati. Lo stesso padre parroco, affrettatosi a riverire i due visitatori, chiede loro: “Votiamo per i separatisti, per i qualunquisti o per i pagnottisti?”.

 

Don Calogero e don Giuseppe non rispondono; si dirigono quindi nella cappella del Santissimo, lì cadono in ginocchio per una breve preghiera per poi dirigersi lestamente verso la libreria Sciascia raccomandando al sacerdote di pazientare rispetto al consiglio chiesto: “Ci sarà tempo per sapere, siamo qui per dare una mano”.

 

Come le onde del Mar Rosso co’ fuggiaschi, così la marea s’apre s’apre affinché i due notabili possano entrare in libreria tra due fitte ali di folla, raggiungere gli ospiti arrivati da Napoli e così prendere parte al rinfresco in onore di Gugliemo Giannini.

 

Don Calogero Vizzini, stringendo la mano al direttore del settimanale più diffuso a Vallelunga Pratameno, a Marianopoli e anche a Mazzarino ripete ciò che ha appena detto al padre parroco del Redentore: “Siamo qui per dare una mano”.

 

Salvatore Sciascia, il titolare della libreria, non riesce a dissimulare un certo suo tormento. Mormora tra sé, indicando una poltrona con un leggero affossamento: “Lì stava seduto Vitaliano Brancati…”. Totò che è stato sempre in piedi, stanco di tutte le cerimonie e di vani ricami di chiacchiere, va a sedersi proprio lì per fumarsi una sigaretta. Prende un libro a caso, scopre essere un volume di Benedetto Croce e lo ripone immediatamente.

 

Le cerimonie però, come in questo caso, sono più un’esplorazione dello spirito che una pigra consuetudine; raccoglie un’eredità di sospetti più che di formalità. E quando anche Genco Russo, stringendo la mano a Giannini ripete la stessa cosa – “Siamo qui per dare una mano” – il direttore, allora, con un’occhiata circolare rivolta a Russo Perez, al Duca Conte e anche al parroco nel frattempo sopraggiunto, lasciando in sagrestia i democratici cristiani, risponde: “Io sono quello che non crede più a niente e a nessuno”.

 

Alle elezioni regionali in Sicilia del 20 aprile 1947, le prime dopo la proclamazione della Repubblica italiana e la concessione dello Statuto speciale di autonomia per la Regione siciliana, il Blocco democratico liberal qualunquista raccoglie il 14,8 per cento dei voti, con 12 seggi al parlamento per 287.680 voti. La lista del Fronte dell’Uomo Qualunque ha l’1,5 per cento con un solo seggio. Nove deputati elegge il Movimento per l’indipendenza della Sicilia con l’8,8 per cento. Dieci parlamentari saranno espressi dal Partito Nazionale Monarchico con il 9,5 per cento. La Democrazia cristiana ottiene 20 deputati col 20,5 per cento e prima lista si afferma quella del Blocco del Popolo socialcomunista con il 30,4 per cento e 29 parlamentari.

 

Ettore Cipolla, esponente del Blocco liberal qualunquista è il primo presidente del Parlamento a Palazzo dei Normanni. Anche il Duca Conte è deputato all’Assemblea regionale siciliana. Così come Guido Russo Perez che nel 1954 lascerà in eredità alla regione Sicilia la sua inestimabile collezione di maioliche oggi esposta a palazzo Branciforti.

Post Scriptum

Gennaro Patricolo, sindaco di Palermo, il primo qualunquista a essere eletto in un capoluogo di regione, lascia subito.

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  • Pietrangelo Buttafuoco
  • Nato a Catania – originario di Leonforte e di Nissoria – è di Agira. Scrive per il Foglio.