Abbiate Fedez in noi
Su Instagram lui e Chiara contano già dieci milioni di follower. Perché le stories sui social rubano pubblico alla tv generalista
La ricorderemo come l’ennesima “estate più calda degli ultimi centocinquant’anni”. L’estate dell’ultima spiaggia dei vitalizi, del razionamento grillino dell’acqua, del rientro di Berlusconi e delle prime, meravigliose vacanze brandizzate di Fedez e Chiara Ferragni, tra baci stellati sotto la Torre Eiffel, corse in jet ski a Miami, tuffi a Taormina, tramonti sulla costiera, selfie a Positano, chiappe en plein air a strapiombo su Santorini. Un mosaico di frammenti d’estate che si compone tappa dopo tappa su Instagram e scandisce le loro e le nostre vacanze come una striscia quotidiana imprevedibile eppure puntuale. Sono già ripartiti? Dove andranno ora? Lei come si vestirà stasera? Hai visto come la guarda lui? Si diceva una volta che le serie televisive sono la nuova letteratura. Semmai, sono le Instagram stories che stanno diventando la nuova televisione.
Un format perfetto che mescola e rilancia parecchi generi. Il gossip sul lettino in spiaggia, la soap del primo pomeriggio, i reality show
Così, è altamente simbolico il confronto tra la coppia defilippica di “Temptation Island”, i coatti romani Selvaggia e Francesco, detti “lenticchi”, e i viaggi molto milanesi di Fedez e Ferragni su Instagram, che quando fanno le fusa si chiamano “raviolo” e “raviola” e si proiettano spavaldi sulla scena globale mentre i primi restano au bord de Fregene. Maria De Filippi parla ancora a quel pezzo di paese (enorme) che preferisce la tv a internet. Il superamento di Instagram su Facebook tra gli indici di gradimento dei social racconta invece una nuova riscrittura dei confini tra finzione, ritualità sociale, vita quotidiana, product placement e modelli di identificazione. Racconta infine le trasformazioni delle nostre vacanze. Se per la cronaca rosa quelle di Fedez e Ferragni sono solo delle “prove tecniche di luna di miele”, per noi si tratta di un format perfetto che mescola e rilancia parecchi generi. Il gossip sul lettino in spiaggia, la soap del primo pomeriggio, il feuilleton a puntate, i reality show, i video virali, Jane Austen, il diario delle medie, la distopia social di “Black Mirror”, i sogni di “Gossip Girl”, il lusso cafone di “Rich Kids”, i film vacanzieri di Nino D’Angelo, tutti frullati insieme in un interminabile romanzo Harmony da scrivere sotto i nostri occhi (lo ricordava Annalena Benini su questo giornale, “cinquant’anni fa mia nonna nascondeva gli Harmony che le passava una sua amica dietro libri più presentabili, e adesso noi possiamo nascondere le Instagram stories di Fedez dietro i video di Barack Obama a Milano”). Possiamo prendere la loro storia d’amore di petto, in buona fede. Due ragazzi molto celebri che si amano, vivono nel lusso, mettono in scena la loro gioia quotidiana sui social e difendono il loro amore dalle insidie della distanza, del successo, dell’invidia. Oppure, due ragazzini ricchi, viziati, annoiati che si danno molte arie per nulla. Oppure, i protagonisti di un avvincente racconto fatto di foto, video e post costruito e collaudato giorno per giorno da uno staff di una ventina di persone con dentro quattro fotografi professionisti, un fatturato da vari milioni di euro l’anno e la promozione estenuante, oltre che delle rispettive carriere dei due, di luoghi, locali, marchi, prodotti, brand. Dipende da come vogliamo vederli. La storia di Fedez e Ferragni su Instagram è tutte queste cose e altro ancora. Solo che rispetto agli Harmony entriamo in gioco anche noi. Siamo parte integrante del loro amore brandizzato perché Fedez e Chiara Ferragni “lavorano costantemente per migliorare la nostra esperienza su Instagram”. Nella foto in cui annuncia al pianeta di aver superato i dieci milioni di follower, Chiara Ferragni è seduta sulla prua di un motoscafo ancorato nell’azzurro mare di Capri. L’immagine è perfetta. Con indosso un bikini bianco, un paio di occhiali da sole e i capelli raccolti, la super-blogger alza un braccio al cielo con l’indice e il medio aperti in segno di vittoria, come un atleta dopo una gara alle Olimpiadi. “Vi adoro perché seguite le mie avventure pazze e mi infondete l’energia più pure del pianeta: fiducia in sé stessi e felicità”, scrive (ovviamente in inglese) sopra la foto che accompagna con l’hashtag #TheBlondSaladNeverStop (per i non addetti ai lavori, “The Blonde Salad” è il nome del suo blog e del primo libro e suoi i viaggi su Instagram diventano #TheBlondeSaladGoesToNewYork, #TheBlondeSaladGoesToPositano, eccetera). E’ la foto con cui Chiara Ferragni bussa alle porte della Instagram Society che conta (Selena Gomez, Beyoncé, Cristiano Ronaldo, anche se il profilo più seguito su Instagram è “Instagram”, duecentotrenta milioni di follower che si impongono come una formidabile parodia del mantra sul “trionfo del narcisismo nell’epoca dei social network”). Nei milleduecentoquarantanove commenti che sfilano sotto la foto si trova ovviamente di tutto. Cuori, congratulazioni, richieste di attenzione, appuntamenti a Sorrento, consigli su dove andare col motoscafo, consigli su dove andare a cena e, va da sé, critiche, rimproveri, insulti. Critiche al bikini, agli occhiali, ai capelli raccolti, all’ostentazione del lusso e a quella dell’inglese (“se hai dieci milioni di follower è solo perché parli inglese”). Soprattutto, insulti e battute sui piedi troppo grandi, estenuante cavallo di battaglia dei suoi “haters”. Trattasi quindi di foto emblematica. Mentre Chiara Ferragni indica la luna coi suoi dieci milioni di follower, gli haters vedono i piedi.
Però non ci faranno rimpiangere le proiezioni forzate in salotto con cartucce da sessantacinque diapositive del villaggio in Kenya
“Tranne che in pochi casi, me ne frego del giudizio degli altri”, dice lei, “ma conosco colleghi che si paralizzano davanti a un commento cattivo, vanno in tilt”. I commenti delle vacanze però sono molto istruttivi. “Vi prego, dimmi dove siete, vi ho cercato per quattro giorni, voglio farmi un selfie con voi”, le scrivono sotto una foto in cui abbraccia Fedez sullo sfondo di Amalfi. I commenti correggono le geolocalizzazioni (“non sei a Taormina, sei dietro lo scoglio di Sant’Anna”), spiegano come vestirsi (“quella scarpe sono orrende”), puntualizzano tutto il puntualizzabile (“non si dice arancini, ma arancine”), ma poi scrivono “sei ancora ha Capri?” con l’h. Così come i veri fan aspettano un nuovo video, noi attendiamo tra i commenti l’immancabile infilata dei grandi classici dell’invidia sociale e dell’indignazione: “Si capisce che siete insieme solo per un profitto economico”, “c’è gente che non arriva a fine mese”, “il Signore vi punirà per come ostentate il lusso”, “ma come fai ad avere tutti quei soldi?”, “Non capisco proprio che lavoro sia il tuo, non fai niente” (a parte gestire un fatturato di venti milioni di euro e stipendiare almeno una ventina persone, tutte ampiamente sotto i trent’anni). Più o meno, le stesse obiezioni che i primi spettatori del cinema muovevano ai divi di Hollywood (che ce vo’? Lo so fa’ pure io). Avere dieci milioni di follower significa che se decidi di tentare la fortuna aprendo una rosticceria italiana a New York, l’investimento migliore che puoi fare è dare cinquantamila euro a Chiara Ferragni per farsi una foto con un supplì in mano e postarla su Instagram con l’hashtag #TheBlondeSupplìGoesToAmerica. Chissà, si può tentare. Anche perché la blogger è in piena riscoperta della sua italianità. “Quando mi sono trasferita a Los Angeles nel 2013 ho provato a omologarmi, poi un giorno ho capito che il mio punto di forza era essere un’italiana in America”. Quindi, Taormina, Capri, costiera amalfitana, selfie con pizza, spremute d’arancia, spaghetti con le vongole, più lancio della T-Shirt “Italian as Fuck” che non si sa bene cosa voglia dire ma ovviamente funziona (per rendersi conto degli stratosferici passi avanti, si confrontino le foto del “mio diario di Capri” apparso sul blog nel 2015 con il tour instagrammato di quest’estate). D’altronde, una che si firma “since 1987” traduce in modo esemplare lo slittamento dell’imperativo di Oscar Wilde. Non più la trasformazione della propria vita in un’opera d’arte ma il racconto di un’esistenza segnata dalla predestinazione a diventare brand. Questo è uno dei punti di forza di Instagram. Il modo inedito e antichissimo con cui personaggio e marchio si saldano uno con l’altro dentro un racconto in cui identificarsi, una strategia che Instagram sta riscrivendo da cima a fondo.
Così, Chiara Ferragni non ha nulla a che vedere con l’altro fenomeno di Instagram, il miliardario ossigenato e torsuto, Gianluca Vacchi. Lui mostra come si spendono i soldi di famiglia. Lei come si fanno. La strategia del momento è diventare testimonial del made in Italy con un italianissimo ritorno alle origini. Un omaggio alla terra natia che diventa un pastiche di luci e colori del Bel Paese à la “Grande bellezza”, con Fedez che starebbe benissimo nei panni di Jep Gambardella. Anche per questo il loro arrivo a Capri in motoscafo con aggiunta di Rovazzi e fidanzata in elicottero ci ha fatto rivivere i fasti di quell’epoca d’oro in cui uno star system ce l’avevamo anche noi. C’era la folla in delirio, c’era il Re della fiction Pietro Valsecchi che li infila in macchina e se li coccola, c’era la banda del paese e mancava solo il sindaco con la fascia tricolore. Rovazzi sembrava un po’ Totò nell’“Imperatore di Capri”, magari un pappagallo sopra il cappellino da baseball anziché sulla spalla. “Come isola si sa anche troppo. Ci sono già passati tutti e hanno già fatto tutte le foto”, scriveva Arbasino. Ci mancavano però le Instagram stories. Noi abbiamo visto Rovazzi che cammina sullo sfondo dei faraglioni, guarda il telefono e dice, “ma vi rendete conto che il video in cui arriviamo a Capri è più condiviso della notizia con la proposta per abbassare i privilegi alla casta?” Ce ne rendiamo conto, e ce ne rallegriamo. Ma la nostra linea narrativa preferita è l’impercettibile quanto inesorabile serie di piccole crepe che Fedez scava nella “tirannia della gioia” (copyright Annalena Benini) costruita da Chiara Ferragni. Qua e là spuntano piccole sbavature con cui le Instagram stories sconfinano dalle parti di “Casa Vianello” (“Amore canta!”, gli fa lei in mezzo a una cena con amici, “ma cosa sono un clown?” replica lui stizzito); oppure lei che cerca ossessivamente di brindare con lui (“cheers amore… cheers amore… amore… amore?”) e lui, “cheers cosa che sto ancora versando, non lo vedi?”.
La foto emblematica (a Capri sul motoscafo): mentre lei indica la luna con i suoi dieci milioni di follower, gli haters vedono i piedi
Purtroppo i video con le “stories”, come dovreste sapere, durano ventiquattro ore poi spariscono (Zuckerberg ha preso anzi copiato l’intero format da “Snapchat”). I commenti alle foto però restano. Formidabile quello sotto una foto di Taormina. Tramonto sulla prua di un motoscafo che incornicia le chiappe in primo piano di Chiara Ferragni, lei travolta da spleen mediterraneo che dedica l’immagine alla bellezza e all’orgoglio di sentirsi metà siciliana, lui che commenta “cosa c’entra questa didascalia con la foto del culo?” così, come un qualsiasi hater. Non si va mai fino in fondo, ma tanto ci basta. Su Instagram, le “stories” scompaiono per far spazio a un eterno presente, alimentano la nostra compulsione a crearne sempre di nuove, fanno piazza pulita di tutta la retorica post-strutturalista sulla fotografia come traccia, ricordo, memoria, archivio. Siamo invece fatti della stessa materia di cui sono fatte le Instagram stories. Chissà cosa ne sarà del vecchio album di famiglia con le foto del mare che ingiallivano. Certo, uno strazio, per carità. Però preferiremo sempre avere i social intasati dalle foto delle vacanze di amici o perfetti sconosciuti a quel momento drammatico in cui ti invitavano a cena per fartele vedere. L’imbarazzo di mostrare interesse, lo sforzo di inventare domande su usi e costumi del luogo, appellarsi alla muscolatura facciale per evitare l’effetto-paresi, dissipare i sospetti di disattenzione con interventi fulminei, “qui sei venuta benissimo, dove eravate?”. Tutta una vastissima gamma di emozioni e curiosità che oggi possiamo gestire a distanza, contando su una moltitudine di emoji, cuori, gif e altri sticker digitali. Quelli che si lamentano delle foto vacanziere che sfilano una dopo l’altra sulle nostre timeline, quelli che “non se ne può più di tutti questi selfie al mare”, ecco forse evidentemente non ricordano com’era prima. La nostalgia per l’epoca pre-digitale, l’elegia del contatto umano, la retorica della “smaterializzazione dell’esperienza” che passa dai libri di Bauman ai tormentoni estivi (“Siamo l’esercito del selfie, di chi si abbronza con l’iPhone, ma non abbiamo più contatti, soltanto like a un altro post”) non ci faranno mai rimpiangere le proiezioni forzate in salotto con cartucce da sessantacinque diapositive del villaggio in Kenya (oggi “resort” geolocalizzato su Instagram), che scorrevano lentissime con l’accompagnamento di dettagli e informazioni non richieste sul backstage dello scatto. Mentre dei selfie, dei viaggi e delle Instagram stories di Fedez e Chiara Ferragni vorremmo sapere tutto, o quasi.
Il Foglio sportivo - in corpore sano