Melozzo da Forlì, “Angeli musicanti” (1478-1480)

Il sesso degli angeli

Giulio Meotti

Il lysenkoismo sovietico è all’opera in Svezia, dove vuole creare una società di “bambini neutri”

Solo il nome metteva i brividi: Trofim Lysenko, il “biologo di Stalin”. Fu una delle vicende più drammatiche del comunismo sovietico. Lysenko era un agrobiologo e il suo nome venne fuori dai laboratori per entrare nella storia della scienza all’inizio degli anni Trenta, in piena polemica tra genetisti e antigenetisti. Lysenko si schierò con i secondi, negando la teoria cromosomica della ereditarietà, che accusò di essere una “scienza borghese, miope e malvagia”, e sostenendo l’adattamento dei vegetali all’ambiente. Al congresso dei kolkoziani del febbraio 1935, il biologo intervenne con un attacco violentissimo contro i “tradizionalisti”. “I sabotatori kulak non si trovano soltanto nei kolkoz, ma anche nel mondo della scienza: non esiste la lotta di classe anche qui?”, gridò Lysenko dalla tribuna. Stalin, presente nelle prime file, lo interruppe per esprimergli approvazione. Un’investitura. Da quel momento, Lysenko divenne il barone del feudo biologico e intervenne come, dove e quando volle. I suoi contraddittori finirono in carcere o, nel migliore dei casi, emarginati. Da allora, il “lysenkoismo” è diventato sinonimo di irrazionalismo scientifico, di superstizione culturale e di intolleranza ideologica, oltre che di lavaggio del cervello. Il sogno di Lysenko era modificare la natura attraverso la forza di volontà al fine di assicurare il trionfo della concezione materialistica marxista. Ovviamente le immense steppe sovietiche non si trasformarono in giardini fioriti e rigogliosi.

 

Roland Huntford vide giusto quando descrisse la Svezia in termini lysenkoiani, dipingendo nel suo libro “The New Totalitarians” una distopia svedese in cui le libertà personali, l’ambizione e l’umanità erano state sacrificate agli ideali socialdemocratici. Negli anni Ottanta, lo scrittore tedesco Hans Magnus Enzensberger descrisse il governo svedese come qualcosa di senza precedenti e di “ineguagliato in altre società libere”, riferendosi agli straordinari livelli di conformità e consenso.

 

La Svezia ha raggiunto livelli straordinari di uniformità nella storia delle società libere. Ora passa dal "gender equal" al "gender neutral"

Nella Svezia socialdemocratica, la patria di tutte le possibilità sociali, Lysenko è vivo e lotta assieme a noi. Rod Dreher, l’editor di American Conservative che segue molte delle follie genderiste, ha scritto: “‘Democrazia’ e ‘anti-discriminazione’ vengono schierati per negare i fatti scientifici fondamentali. Questo è il lysenkoismo Lgbt, con le psiche dei figli trasformati in materia prima per la sperimentazione”. Il riferimento è al grande programma di “genuspedagogik”, la pedagogia gender su cui la Svezia sta investendo immagine, risorse, cultura: la nascita di una classe di esseri umani senza sesso, senza orientamento biologico, senza gender, senza volto. “A post-gender world”. Negazione della biologia, pianificazione statale, adattamento all’ambiente. E’ Lysenko applicato al gender.

 

Un mondo androgino su vasta scala. Le identità sessuali come edifici culturali, la differenza è solo anatomica, così che per far nascere un mondo giusto e uguale si deve decostruire l’ordine di genere. L’uomo ridotto a pura neutralità, angeli genderless, dal titolo del libro di Bérénice Levet, docente all’Ecole Polytechnique e al Centro Sèvres, “La théorie du genre, ou le monde rêvé des anges” (Grasset).

 

Questa ideologia in Svezia si chiama “jämställdhet”: uguaglianza di genere. Il risultato è che il numero di bambini che sentono l’ansia di essere intrappolati nel corpo sbagliato sta raddoppiando ogni anno in Svezia, con i bambini minori di sei anni che vogliono diventare del sesso opposto, come ha dichiarato al giornale svedese Aftonbladet Louise Frisen, psichiatra infantile presso l’Astrid Lindgren Children’s Hospital di Stoccolma. Il paese ha sei cliniche per le persone che cercano indagini di genere. L’aumento complessivo del numero di persone che credono di essere nate nel “corpo sbagliato” indica una “maggiore apertura” nella società svedese, ha dichiarato Cecilia Dhejne, capo del gruppo di indagine sulla identità di genere presso l’Ospedale Universitario di Karolinska. Il ministro della Sanità, Gabriel Wikstrom, ha dichiarato ad Aftonbladet che “le carenze nelle cure per i transgender in ogni fase del trattamento sono assolutamente inaccettabili”.

 

Questa ideologia risale al Nobel Myrdal: maternalismo e femminismo radicali, ingegneria sociale, individualismo assoluto

Questo grande progetto svedese inizia negli “asili democratici”, dove nulla, dai giocattoli ai nomi, ha una caratteristica sessuale definita. I giornalisti di Vice hanno appena girato uno splendido documentario, “Raised without gender”.

 

A introdurre in Svezia questa ideologia fu la sociologa Yivonne Hirdman, che teorizzò “la nascita di un individuo androgino”. Il New York Times la settimana scorsa ha reso noto di queste sperimentazioni e delle accuse di “follia”. Il loro simbolo è Egalia, “uguaglianza”, il nome non soltanto del celebre romanzo di Gerd Brantenberg, ma anche di una scuola materna di Stoccolma, dove tutti i giocattoli - non importa se sono bambole, dinosauri o braccialetti colorati - sono immagazzinati nello stesso contenitore e gli insegnanti usano una lingua neutra per la descrizione dei lavori e dei ruoli.

 

In queste scuole svedesi, gli insegnanti non usano i pronomi “lui” e “lei”, chiamano i bambini semplicemente “amici”. I riferimenti maschili e femminili sono tabù, sostituiti dal pronome “hen”, una parola artificiale che la maggior parte degli svedesi evita, ma che è popolare in alcuni ambienti gay e femministe (Facebook l’ha adottata per gli utenti svedesi e il dizionario svedese l’ha inserita fra i nuovi vocaboli). Nel 1996 i pedagoghi del gender videro che le bambine avevano un problema psicologico nell’indicare le loro parti intime, così l’Associazione svedese per l’educazione sessuale inventò la parola “snippa”. Nelle biblioteche di questi asili nido svedesi stanno scomparendo le favole classiche, come “Cenerentola” o “Biancaneve”, con i loro “stereotipi” maschili e femminili, sostituite da storie che si occupano di genitori single e bimbi adottati dalle coppie dello stesso sesso.

 

A Nicolaigarden, un asilo a meno di un minuto dal Museo del Premio Nobel per la Pace a Stoccolma, le bandiere arcobaleno adornano le pareti, i maschi spingono i passeggini e le femmine giocano con il trattore. Tutti gli arredi sono di colore neutro e non ci sono camere da letto girly o boyish. Ci sono le bambole senza sesso, una triste, l’altra felice. Si chiamano “emotion dolls”. Ovviamente nessuno viene chiamato “mamma” o “papà”, ma “genitori”.

 

L’uguaglianza di genere è sancita dalla legge nel sistema educativo svedese, grazie al primo curriculum nazionale per la scuola materna nel 1998. Nel 2012 il governo svedese ha speso 110 milioni di corone svedesi (quasi 14 milioni di euro) per promuovere il gender nelle scuole. Nicolaigarden, finanziata dai contribuenti, è tra gli esempi più radicali degli sforzi del paese di passare dalla teoria del “gender equal”, in cui la Svezia già svetta in tutto il mondo, a quella del “gender neutral”. E’ la cancellazione di ogni differenza sessuale fin dalla più tenera età.

 

Proliferano in Svezia gli "asili democratici", dove tutto, dai giocattoli ai pronomi, deve essere "gender free"

In Svezia proliferano i negozi di abbigliamento per bambini senza la distinzione “maschi” e “femmine”. I negozi di giochi pure hanno eliminato le differenze, mentre il servizio pubblico televisivo svedese Svt, l’equivalente della Rai, cambia il sesso dei beniamini dei bambini. E’ successo persino che Bacillakuten, un programma per bambini sulla tv pubblica svedese, abbia mandato in onda una sorta di cartone animato sul pene e la vagina per fare educazione sessuale. “La vagina è una cosa bella, credimi, anche in una vecchia signora, sta lì tutta elegante”, recita il cartone.

 

Anche le case editrici svedesi, come la Olika, sfornano libri “gender free”. Il Top-Toy Group, che ha trecento negozi nel nord Europa, ha adottato un catalogo dove anche i maschi giocano con le bambole e pettinano le femmine (i cataloghi della vicina Danimarca sono ancora divisi per sesso).

 

Le scuola superiori in Svezia si stanno dotando di spogliatoi supplementari per soddisfare gli alunni che “si identificano con un genere diverso dal loro sesso biologico, o non si considerano né maschi né femmine”. La rivoluzione è iniziata dalla scuola Eskil, a Eskiltuna, a ovest di Stoccolma. Le critiche a questa ideologia sono poche. C’è quella di Jan Guillou, uno dei massimi esponenenti della letteratura svedese, che ha accusato le femministe e i genderisti di “voler distruggere la nostra lingua”. La chiesa cattolica non si sente, spazzata via dalla secolarizzazione radicale.

 

A fine giugno, il primo ministro svedese Stefan Lofven ha persino annunciato che intende forzare tutti i sacerdoti della chiesa svedese a sposare le coppie dello stesso sesso anche se non sono d’accordo con il matrimonio gay. “Nessun sacerdote della chiesa svedese può rifiutarsi di sposare le coppie dello stesso sesso” ha detto Lofven. “Se si fa l’ostetrica deve essere in grado di eseguire gli aborti, altrimenti devi fare qualcosa di diverso. È lo stesso per i sacerdoti che non vogliono officiare i matrimoni dello stesso sesso”.

 

La Svezia è oggi una società totalmente esposta a questa tempesta ideologica neo-lysenkoista, che affonda le sue radici nella visione del welfare, della famiglia e dell’individuo di Alva e Gunnar Myrdal, i teorici di questo “nuovo umanesimo” fatto di maternalismo e femminismo estremi, ingegneria sociale e individualismo assoluto (Gunnar fu insignito del premio Nobel per l’Economia nel 1974, la moglie per quello della Pace nel 1982). Fu Alva Myrdal, ad esempio, a organizzare gli spazi gioco negli asili nido secondo l’ideologia collettivista svedese, assieme all’architetto Sven Markelius. Nel 1936, Myrdal aprì l’Istituto Sociale Pedagogico di Stoccolma, dove gli educatori svedesi iniziarono a varare i primi esperimenti sul gender al fine di superare la “famiglia tradizionale”.

 

Il Partito dei Verdi, oggi al potere, ha chiesto persino di inserire un “pedagogo del gender” in ogni asilo nido di Stoccolma (è dei Verdi il ministro dell’Istruzione, Gustav Fridolin). Una sorta di polizia del pensiero. Gli insegnanti prescolari svedesi devono già fare “corsi di formazione sulla uguaglianza di genere” e le scuole setacciano i libri in cerca di eventuali stereotipi. Un corso sulla “violenza degli uomini contro le donne” è diventato una componente obbligatoria di una serie di corsi universitari come parte della strategia per la parità di genere. “La conoscenza della violenza in determinate professioni può essere fondamentale per salvare vite”, ha dichiarato il ministro dell’Uguaglianza, Åsa Regnér. E’ imposto a tutte le ragazze di sedici anni di leggere una copia del libro “We should all be feminists”, bignami del neo femminismo radicale.

 

Negli anni Novanta, i “padri violenti” in Svezia si iniziò a chiamarli “perpetratori” o, più semplicemente, “il Problema”. La Svezia, a forza di ideologia gender, sta cambiando la definizione stessa di “mascolinità”, come ha spiegato il New York Times. Una generazione di “velvet men”, uomini di velluto, meno aggressivi e più “aperti”.

 

George Orwell fu ispirato anche dal caso di Lysenko nello scrivere “1984”. A quando un romanzo distopico sulla grande follia contemporanea dei “bambini neutri” che dalla Svezia sta calando giù nel resto d’Europa, negli asili nido francesi, nelle scuole elementari inglesi e ora nei programmi di alcuni partiti politici italiani?

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.