Dick Powell ed Ellen Drew nella foto di copertina del libro “Hollywood Café. Coffee with the Stars” di Steven Rea, edito da Schiffer

Le virtù del caffè

Maurizio Stefanini

Contrordine: non fa più male, l’Oms ne suggerisce tre tazzine al giorno. Dall’islam alla benedizione di un Papa, quattro secoli di “acqua negra”

Beverei prima il veleno / Che un bicchier, che fosse pieno / Dell’amaro e reo caffè”, scriveva nel 1685 Francesco Redi nel “Bacco in Toscana”. Adesso, invece, ecco che l’Organizzazione mondiale della sanità pubblica uno studio secondo cui con tre tazzine al giorno la mortalità prematura si riduce del 18 per cento tra gli uomini, dell’8 per cento tra le donne. “Abbiamo scoperto che un consumo di caffè più elevato è correlato a un rischio di morte più basso per tutte le cause, in particolare per malattie cardiovascolari e dell’apparato digerente”, ha spiegato Marc Gunter: ricercatore di quella International Agency for Research on Cancer (Iarc) che assieme all’Imperial College di Londra ha condotto l’indagine su 521.330 persone di età maggiore di 35 anni in dieci paesi. Una ricerca veramente epica: anche nel senso che il progetto in cui è stata inserita si chiama proprio Epic, European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition. Sempre secondo Gunter, “il dato più importante è che questi risultati sono simili per tutti i dieci paesi europei, con abitudini di consumo tra loro molto differenti; il nostro studio offre importanti informazioni sui possibili meccanismi degli effetti benefici del caffè”. Quasi in contemporanea, un secondo studio è stato fatto dalla University of Southern California, su un campione di 185.000 individui. E i dati sono analoghi.

 

Insomma, da bevanda tossica a elisir di lunga vita in poco più di tre secoli? Intendiamoci: fondatore della biologia sperimentale e padre della parassitologia moderna ma anche toscanaccio tutto d’un pezzo, nato ad Arezzo nel 1626 e morto a Pisa nel 1698, il buon Redi faceva in realtà un po’ il bischero apposta. Non solo il caffè era infatti coperto da lui di anatemi, ma anche la birra. “Chi la squallida Cervogia / Alle labbra sue congiugne / Presto muore, o rado giugne / All’età vecchia e barbogia”. I liquori del nord in genere: “Beva il sidro d’Inghilterra / Chi vuol gir presto sotterra; / Chi vuol gir presto alla morte / Le bevande usi del Norte. / Fanno i pazzi beveroni / Quei Norvegi e quei Lapponi; / Quei Lapponi son pur tangheri, / Son pur sozzi nel loro bere; / Solamente nel vedere, / Mi fariano uscir de’ gangheri”. Il cioccolato e il tè: “Non sia già che il cioccolatte / V’adoprassi, ovvero il tè, / Medicine così fatte / Non saran giammai per me”. E, ovviamente, l’acqua: “Chi l’acqua beve, / Mai non riceve / Grazie da me”. Solo che poi, quando approfondiamo la sua biografia, scopriamo che il grande elogiatore letterario del vino, “dell’uve il sangue amabile”, in realtà nella vita di tutti i giorni era invece un astemio impenitente e convinto. Tant’è che il suo poema successiva descrive invece “Arianna Inferma” per le troppe ciucche che il divino sposo le ha fatto prendere, e che si cura appunto con l’acqua.

"Un rischio di morte più basso per tutte le cause, in particolare per le malattie cardiovascolari e dell'apparato digerente"

Però ancora nel secolo successivo c’è la storia di Gustavo III di Svezia, tipico despota illuminato settecentesco. Aveva esautorato il Parlamento con un golpe e si schierò con forza con Luigi XVI dopo la presa della Bastiglia. Ammiratore di Voltaire e affiliato alla massoneria, il suo potere assoluto lo utilizzò però per imporre la libertà religiosa, a favore di cattolici ed ebrei. Su una cosa tuttavia con Voltaire non andava d’accordo. Il filosofo, infatti, del caffè era un intenditore, tant’è che per far capire a Candido che finalmente ha incontrato una brava persona gli fa offrire un “caffè moka che non era affatto mescolato col cattivo caffè di Batavia e delle isole”. Un elogio del caffè arabo in contrapposizione a quelli trapiantati dagli europei in Indonesia e nei Caraibi, che evoca veramente lo storico “è una ciofeca!” pronunciato da Totò in “I due marescialli” dopo aver assaggiato un surrogato “di orzo, favetta e cicoria”. Gustavo III, invece, era convinto che il caffè fosse tossico. Per dimostrarlo in modo scientifico, decretò dunque che la condanna a morte di due ladri fosse eseguita per somministrazione continuata di tazzina. Anticipando i test di Epic di quasi due secoli e mezzo, i rei camparono invece fino a 83 anni. Comunque più del monarca, assassinato nel 1792 in una congiura di nobili che Giuseppe Verdi avrebbe poi pensato di mettere in musica. Ma alla censura dell’epoca i regicidi garbavano poco, così il sovrano divenne un governatore di Boston, e il “Gustavo III” si trasformò a sua volta in “Un ballo in maschera”.

 

Nel 1645 viene aperto il primo caffè a Venezia. Le Procope a Parigi, del 1686, è il più antico in Europa ancora in esercizio

Eppure, già la famosa Scuola medica di Salerno nel suo “Fiore di medicina” aveva spiegato che il caffè fa bene: favorisce la digestione, affermava; lenisce il mal di testa; giova allo stomaco; aumenta la diuresi; facilita le mestruazioni. Sembra quasi di sentire l’Organizzazione mondiale della sanità: “Il caffè pare che abbia notevoli effetti benefici sul fegato, sull’apparato digerente e in generale un po’ su tutto l’organismo”. Ma come è possibile quella citazione in un manoscritto del XIII secolo, quando a parte questo testo la prima menzione del caffè in occidente risale solo al 1573? Anzi, in realtà è nel 1585 che la parola appare per la prima volta, in una relazione dell’ambasciatore veneziano a Costantinopoli Gianfrancesco Morosini. “Quasi di continuo”, racconta degli ottomani, “stanno a sedere e per trattenimento usano di bere pubblicamente, così nelle botteghe, come anco per le strade, non solo uomini bassi, ma ancora de’ più principali, un’acqua negra bollente quanto possono sofferire, che si cava d’una semente che chiaman caveè, la qual dicono che ha virtù di far stare l’uomo svegliato”. Però si è poi scoperto che già nel 1573 il suo predecessore Costantino Garzoni aveva riferito dello stesso costume: senza però indicarne il nome, ed anzi pensando che l’infuso venisse dal papavero. “Costumano anco molti, per poter vivere allegri, di bere ogni mattina una certa acqua negra, fatta coll’oppio, la quale suole levarli da ogni pensiero, e insieme dal buon sentimento, e se quelli che sono assuefatti a pigliarla la volessero lasciare, morirebbero subito, essendo già la natura loro avvezza a tale bevanda”.

 

Quel che è certo è che il caffè arriva in occidente attraverso il mondo islamico. Quando Redi lancia il suo rimbrotto poetico a una bevanda che in meno di un secolo ha già conquistato i palati delle masse scrive infatti: “Colà tra gli Arabi, / E tra i Giannizzeri / Liquor sì ostico, / Sì nero e torbido / Gli schiavi ingollino. / Giù nel Tartaro, / Giù nell’Erebo / L’empie Belidi l’inventarono, / E Tesifone e l’altre Furie / A Proserpina il ministrarono; / E se in Asia il Musulmanno / Se lo cionca a precipizio, / Mostra aver poco giudizio”. Come scansione storica, il caffè inizia a venire consumato e prodotto nell’altopiano etiopico di Kaffa: una leggenda dice che nel IX secolo un pastore di nome Kaldi si accorse di una pianta le cui bacche facevano restare sveglie le capre che le mangiavano. Le raccolse, le tostò, le mise in infusione, e come direbbero a Napoli si fece la prima tazzuliella. Nel X secolo comunque i mercanti yemeniti già lo portavano nel porto di Moka, nel XV secolo la conquista ottomana dello Yemen aiuta a spargere la ricetta in tutto l’Impero, e nel 1530 a Damasco viene aperto il primo caffè nel senso di locale dove sorbirlo: imitato a Costantinopoli già nel 1555. Garzoni e Morosini, dunque, riferiscono di una moda esplosa da appena venti o trent’anni. Da dove saltano fuori allora le prescrizioni salernitane? Secondo lo storico dell’alimentazione Alessandro Marzo Magno, “può essere che la citazione del caffè sia stata aggiunta in tempi successivi, cioè quando stava già cominciando a penetrare nelle conoscenze del mondo cristiano”. Il “Fiore di medicina” è del XIII secolo, ma si sa che è stato varie volte aggiornato. Ma, sempre per Alessandro Marzo Magno, può anche essere “che il suo uso sia stato abbandonato dai seguaci della medicina salernitana, magari per le difficoltà di reperirlo”.

 

Ovviamente, i musulmani inventarono i caffè per sorseggiare il caffè anche e soprattutto perché a loro le bevande alcoliche alla base della convivialità occidentale erano vietate. Ma proprio questa connessione culturale rese il caffè sospetto a molti benpensanti: oltre a quel colore non proprio rassicurante, e a quegli effetti quasi da stupefacente. Un vero e proprio “raddoppiatore dell’Io” in grado di dare fin troppa energia, rendendo disinibiti anche gli spiriti più calmi e morigerati. Oltre che “vino d’Arabia” fu dunque chiamato “bevanda del Diavolo”, e autorevoli teologi a un certo punto chiesero formalmente al Papa di vietarla. E’ un dibattito parallelo a quell’altro famoso sul cioccolato, sul quale il dubbio era invece se potesse essere e no bevuto durante la Quaresima e i digiuni comandati. Ma il Pontefice era Clemente VIII: sul Soglio pontificio tra 1592 e 1605. Fu con lui che Giordano Bruno finì sul rogo, quindi non si trattava di un tipo particolarmente accomodante. Però prima di vietare il caffè volle assaggiarlo, per vedere se lo Spirito Santo gli dava qualche ispirazione. E effettivamente questa gli venne, folgorante: “Questa bevanda di Satana è talmente deliziosa che sarebbe un peccato lasciare che ne facciano uso esclusivamente gl’infedeli. Imbroglieremo Satana battezzandola”. Oddio, non è che si è arrivati a celebrare la messa dando il caffè al posto del vino. Però, per dirne una, tra Italia, Francia e Spagna si è diffusa negli ultimi anni una curiosa forma di nuova evangelizzazione che si chiama “Cafè teologico”, ed in cui, come spiega una pubblicità, “in un ambiente chillout si tratta dei grandi temi scottanti della ragione e della fede con caffè, tisane e dolcetti”. “Il Café teologico è nato per offrire agli evangelizzatori, ma anche a chi non crede, argomenti validi per difendere la verità dalle approssimazioni”.

Gustavo III di Svezia era convinto che fosse tossico: stabilì che una condanna a morte avvenisse per somministrazione continua di caffè

Il bello è che mentre il Papa di Giordano Bruno liberalizza il caffè, il sultano Murad IV invece nel 1633 i caffè li fa chiudere, e fa anche giustiziare un bel po’ di bevitori, tanto per dare un esempio. La sua motivazione ufficiale è che con tutti quei fuochi da caffè accesi Costantinopoli era a rischio costante d’incendio, ma secondo un terzo ambasciatore veneziano in realtà si era messo paura per tutta quella gente che attorno a una tazzina di caffè si metteva a discutere di tutto, senza più alcun tabù. Sfaccendati, scrive Pietro Foscarini, “che non hanno occupatione alcune, e bevono con picciole scudelle il cavè, o tenendo la pipa alla mano, del tabacco, o giocando al tavoliero o a scacchi, non mancano di dir molte volte male del governo, di mormorare delli ministri, et anco del medesimo grandsignore”. E che poteva fare allora un caffettiere disoccupato, se non cercare di aprire una nuova attività in qualche posto in cui la tazzina non fosse perseguitata come sovversiva? Nel 1645 viene comunque aperto il primo caffè a Venezia, che come abbiamo visto su Costantinopoli aveva una finestra permanentemente aperta. Nel 1650 un ebreo di origine levantina apre un altro caffè a Oxford. Nel 1644 il medico Pierre de la Roque ne aveva inaugurato uno a Marsiglia, di ritorno da un viaggio in medio oriente. Il pioniere a Parigi è nel 1672 l’armeno Hatarium, assistito dal siciliano Francesco Procopio de’ Coltelli. Il primo si prende il nome d’arte di Pascal; il secondo quello di Procope Couteaux, e nel 1686 si mette in proprio con quel caffè Le Procope, che lancia anche il sorbetto. Due anni dopo gli si trasferisce vicino la Comédie française, e grazie agli spettatori Le Procope ha il successo che gli permette di essere tuttora il caffè più antico d’Europa ancora in esercizio. Sempre nel 1686 parte l’Hof zur Blauen Flasche: Franz Kolschitsky, il suo fondatore, era un ucraino poliglotta che durante l’assedio di Vienna si era infiltrato nel campo ottomano travestito, e che in cambio dei suoi servizi spionistici aveva ottenuto i sacchi di caffè rimasti abbandonati nel campo degli assedianti.

Agli anni tra il 1732 e il 1734 risale quella “Cantata del caffè” in cui Johan Sebastian Bach racconta di una giovane caffè dipendente. Nel 1750 Carlo Goldoni fa rappresentare “La bottega del caffè”, in un momento in cui a Venezia ci sono già oltre 100 caffè. Ma alla fine del secolo saranno saliti a 311: record europeo di uno ogni 500 abitanti. Nel 1760 Gasparo Gozzi insedia nel caffè “Alla Venezia trionfante” la redazione della sua “Gazzetta veneta”, e nel 1764 Pietro Verri chiama “Il Caffè” la testata simbolo dell’Illuminismo lombardo. Ma un po’ in tutta Europa le rivoluzioni economiche, culturali e politiche nascono attorno alle tazze di caffè, anche se curiosamente l’uso di prendere il caffè per la colazione del mattino è molto più tardo. Addirittura in Italia l’uso sarebbe stato diffuso dai reduci della Grande guerra, nella cui colazione avrebbe iniziato a essere introdotto caffè in quantità dopo Caporetto apposta per tenerli svegli durante le lunghe ore di sorveglianza sul fronte del Piave.

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