La zecca virtuale
Al Crypto Castle, dove abitano i miliardari ragazzini che hanno fatto i soldi con le monete alternative, in rete senza banche né intermediari
San Francisco. Il cripto-castello è inerpicato su Potrero Hill, una delle inestimabili colline di San Francisco. Il cripto-castello, come è stato soprannominato dalla stampa e dai suoi fondatori, è in realtà una graziosa villetta vittoriana. Sulla soglia c’è una copia ancora incellophanata del Wall Street Journal e lo zerbino personalizzato “Welcome to Crypto Castle”, appunto. Ma non è un posto per scambisti, è una palazzina in cui abitano miliardari ragazzini che hanno fatto i soldi con le criptovalute, le monete alternative che circolano in Rete senza banche né intermediari. Un mondo misterioso, ultima febbre dell’oro in California, epicentro come al solito Silicon Valley.
Si parla molto del bitcoin, che adesso è già roba vecchia, anche se solo nell’ultimo anno è cresciuto del 358 per cento e ormai vale 4.700 dollari. Ma sono arrivati i suoi nipotini, uno per tutti Ethereum, valuta virtuale che corre in Rete, salita da 8 a 384 dollari in pochi mesi. In generale le criptovalute e il sistema della “blockchain” cioè una specie di catena alimentare dei soldi che girano su canali alternativi alle banche, pare un’altra fetta di futuro.
Il castellano del Crypto Castle ne è sicuro. Lui si chiama Jeremy Gardner, è un biondino venticinquenne, appena rientrato dalla Cina, che ci convoca in tutta fretta perché sta per partire per il Burning Man, l’appuntamento nel deserto del Nevada dove accorrono tutti i fricchettoni (e i techies) d’America. Suoniamo, “ciao!” dice il citofono, ed entriamo. E’ una gran casa di studenti, si sentono le voci dal terzo piano, si va su, tra poster di Allen Ginsberg, pacchi di Amazon Prime accatastati, qualche mutanda qua e là, una casa di studenti affluenti perché una townhouse del genere qui in città verrà almeno tre o quattro milioni. Arrivati al terzo piano ecco un vasto living con vista strepitosa, divanone di velluto un po’ sfondato, c’è una riunione in corso, tutti sotto i trent’anni, “scusa, dammi un momento”, dice Jeremy, e intanto ci si guarda intorno. Un mobile bar molto fornito, bottiglie di gin, vodka, amari. In un angolo, l’altare della raccolta differenziata, punto strategico di ogni casa californiana. Giochi da tavolo, un Monopoli impolverato, un bilanciere per terra, libri (1984 di George Orwell), un poster elettorale “Palin-Voldemort 2016. Perché scegliere il male minore?”.
Si parla molto del bitcoin, ma è già roba vecchia.Sono arrivati i suoi nipotini: Ethereum è salita da 8 a 384 dollari in pochi mesi
“Molti di noi sono diventati miliardari, certo”, dice Jeremy, sciogliendo la riunione con gli altri due, uno dall’aria asiatica, l’altro brufoloso, sembra una puntata di “Silicon Valley”, lo show Hbo che sfotte i nerd della Valle (sceneggiato in segreto dai magnati stessi). Il castellano delle criptomonete beve una limonata o forse gin lemon alle cinque di pomeriggio sul divanone.
“Due anni e mezzo fa ho abbandonato il college in Michigan per fondare una no profit che diffondesse il verbo dei bitcoin” dice. “Poi abbiamo fondato una prima startup, che faceva i pos sempre per i bitcoin, ma poi è finita malissimo, non avevamo un soldo, un cofounder ci ha fregato i soldi, il ceo era un pazzo, così abbiamo fondato un’altra compagnia che si chiama Augur, ed è quella che guido adesso e che realizza previsioni di mercato sul mercato dei bitcoin, e ci siamo spostati a San Francisco”. “Prima eravamo in un appartamento schifoso, lo chiamavamo il BitCoin Basement, sei persone in due stanze in una periferia di San Francisco. Poi abbiamo fatto la prima Ico”. La prima cosa? “Initial coin offering, è come la Ipo, cioè il collocamento di Borsa, ma in bitcoin”. Le Ico sono il nuovo ritrovato per far soldi a Silicon Valley, sono un incrocio mostruoso tra il collocamento di Borsa e il crowdfunding; 400 milioni di dollari sono stati investiti nel 2017 in questo modo, in poche parole pezzi della startup vengono messi in vendita agli utenti della Rete allo scopo di finanziare un progetto che sta nascendo nell’ambito delle criptomonete. I compratori possono acquistare una “quota” dell’azienda usando cripto moneta stessa. Un mondo totalmente senza regole su cui tutti si stanno buttando: da maggio a oggi sono stati lanciati 15 nuovi hedge fund che hanno raccolto 1,2 miliardi in queste Ico, con rendimenti dell’80 mila per cento. Insomma la nuova pacchia, e chi primo arriva più soldi fa, come Jeremy.
“Per finanziare Augur abbiamo raccolto 5,9 milioni di dollari in una prima Ico, all’epoca era una grossa cifra. Adesso la società ne vale 400” (di milioni). “Poi ho anche una mia società di software”. Il castellano virtuale naturalmente non ha ufficio (“anzi sì, a Downtown, ma non ci vado mai alla fine, le riunioni le facciamo qua”), e tutto si svolge nel castello. Ma quante persone vivono nel cryptocastle? “Uhm. Fammici pensare”. “Ah, le ultime settimane sono state le peggiori, eravamo anche in dodici. Ecco perché vedi tutto questo casino. Ma normalmente siamo cinque, ecco, sì, direi cinque. Cinque stabili, poi c’è una camera per gli ospiti”. Gli ospiti naturalmente sono a pagamento perché a San Francisco la casa è risorsa più rara e preziosa dei bitcoin. Ma ci fai fare un giro? “Certo, aspetta che però adesso devo pisciare”. Prego. Va di là, e continua a parlare, non chiude la porta, torna con una macchia sui pantaloni. E’ Porkys meets Silicon Valley.
Burning man, nato per i fricchettoni californiani, adesso ha visto l'avanzata dei cumenda siliconvallici con aereo privato
In giro per casa anche pacchi di copie della rivista Distributed, il Forbes dei bitcoin, di cui lui è direttore e fondatore naturalmente il castellano. “Facciamo il giro, vieni”, dice. Andiamo giù al primo piano (cioè il secondo, all’americana), un corridoio con moquette, ecco la stanza degli ospiti con i letti a castello, in quello sotto c’è un ragazzino che ticchetta sul suo Mac. La affittate su Airbnb? “No, solo tramite passaparola, sono tutte persone che fanno parte della scena delle criptomonete. O almeno devono essere nel settore tecnologico”. Il castello funge anche da cripto-incubatore. “La casa no, non l’ho comprata, credo che comprare casa in questo momento a San Francisco sia un pessimo modo di allocare risorse”. “Nessuno degli inquilini paga più di 400 dollari a camera, che è niente”. Come tutti sanno, l’invasione dei nerd nella piccola San Francisco ha creato la più grande bolla immobiliare della storia recente. Una stanza viene mediamente sui duemila al mese. Ma lui cripto-calmiera. “Coi guadagni che faccio con le criptovalute tengo bassi i prezzi. Anche gli ospiti temporanei pagano al massimo 50 dollari al giorno”.
Nella criptocomune, piena di calzini e ciaffi da studenti, seppur miliardari, gli ospiti spesso sono dei personaggi. Andiamo giù nel basement. “Il pavimento l’ho tutto messo io, da solo. Questo è l’armadio dove dormiva George Hotz”. Hotz è una leggenda in Silicon Valley e non solo: è il ventisettenne hacker che ha sbloccato l’iPhone e la Playstation 3. Querelato dalla Sony, assunto da Facebook, oggi ha fondato la sua startup per l’auto senza conducente. Vivendo appunto in questo armadio (vivere in condizioni disumane è parte ormai della morfologia della fiaba di Silicon Valley, ci sono tutti dei casi che si tramandano di fondamentali startupper che hanno abitato in sottoscala, pertugi, stanze senza finestre). Qui l’armadio è in realtà un ripostiglio per i panni, accanto alla lavanderia con la lavatrice e l’asciugatrice. Con delle mensole lunghe e strette, però ben illuminato. “Sì, ha vissuto qui dentro per un anno” dice il padrone di casa. La sua startup si chiama Comma, “l’ha fondata qui nel garage”, tra biciclette e scatoloni e una moto impolverata. Comma è una delle aziende più originali per quanto riguarda la ricerca sull’auto autonoma, altro sacro graal di Silicon Valley: invece che riprogettare l’auto, studia e vende un software e una specie di robottino applicabile alle macchine. Così è in grado di rendere la macchina completamente driverless (a differenza delle altre aziende che si stanno scannando per costruire l’auto del futuro, l’inventore che non teme la claustrofobia sostiene che “costruire auto è del tutto stupido. Le auto che ci sono in giro vanno benissimo, basta solo renderle driverless”). Adesso lui non abita più qui, “ha fatto un sacco di soldi con la sua startup e abbiamo deciso che era ora che si trovasse una casa sua”. E’ rimasta qui invece Vivian Ford, ventenne manager che lavora pure lei a Comma. In una intervista ha detto che “ho cominciato a investire in bitcoin quando siamo venuti a stare qui al castello, ed è l’investimento migliore che abbia fatto nella mia vita”. Poi tra gli altri abitanti ci sono “una programmatrice di Intel, e due che lavorano nella finanza classica, però molto interessati alla blockchain. E uno che organizza la Marketing Decentralization Conference”; conferenza fondamentale delle criptomonete, spiega.
La sera che si fa nel castello? “Molte discussioni su monete virtuali” (daje a ride). Niente feste? Con tutti questi alcolici. “Beh, sì, ogni tanto, ci piace invitare tutte le persone più interessanti che ci sono in giro, senza uscire”. Ho visto delle foto di un idromassaggio sul terrazzo. “Sì ma lo abbiamo chiuso, non lo usavamo mai, si riempiva di calcare”. Fate il microdosing (cioè la pratica di prendere Lsd in piccole porzioni, qui molto usata, per concentrarsi e avere idee commerciabili)? “Uhm, io questo non lo posso dire, però direi che nella casa sì, se ne fa uso, io mi limito all’alcol”. E’ molto orgoglioso del bar. “Questo è il mio contributo alla casa, a quello ci penso sempre io. L’alcol non deve mai mancare. Vuoi qualcosa da bere?”.
Adesso però è soprattutto eccitato perché deve andare a questo Burning Man, dove per una settimana si vive nel deserto del Nevada in una specie di società primordiale un po’ Mad Max, in una comunità anarchica senza regole, né denaro (c’è il baratto); forse per quello gli piace tanto. Ma non è una roba per vecchi? “Ma scherzi! “E’ il più grande party sulla terra, sono stato anche a quello in Africa”. Il festival, nato per i fricchettoni californiani, che per una settimana si attrezzano senza docce né bagni, adesso ha visto l’avanzata dei cumenda siliconvallici con aereo privato. Ma il giovane castellano ha l’entusiasmo dei vent’anni. “Ci sto una settimana. E poi direttamente al lavoro, mica come quelli che devono passare dal rehab, prima”. “Oh, aspetta, hanno suonato il citofono”, va giù, è il corriere di Amazon. “Oh, è arrivata tutta la mia roba per il Burning! Fichissimo, c’è tutto, c’è il deodorante, la carta igienica, ottimo”.
Le Ico sono il nuovo ritrovato per far soldi a Silicon Valley, un incrocio mostruoso tra il collocamento di Borsa e il crowdfunding
Il castellano a venticinque anni ha già un passato. “Beh, sono stato nel settore per metà della sua storia, e a venticinque anni non ci sono molti altri business in cui posso essere considerato un veterano”. “Lo faccio solo perché mi piace”. Ho cominciato a investire in criptomonete nel 2013 ma poi più seriamente nel 2015. Ma prima di investire ci ho lavorato, e ho capito le potenzialità di questa tecnologia, che può cambiare il mondo. Puoi investire sul protocollo, capisci?” No. “E’ come Internet, i primi che l’hanno scoperto avrebbero voluto investire sul protocollo http ma non si può, invece il bello del bitcoin è che ci puoi investire, puoi farci delle profezie guadagnandoci, capito?” Proprio no (ma facciamo finta di sì). “La cosa bella di questa tecnologia è che se credi che possa cambiare il mondo e ci scommetti all’inizio, puoi farci anche un sacco di soldi”. “Storicamente, solo i ricchi e le istituzioni finanziarie hanno potuto investire nelle startup che hanno poi cambiato il mondo. Non i normali cittadini. Questa dicotomia simboleggia la grande uguaglianza che c’è nella nostra società. Ma adesso con le criptomonete cambia tutto”.
Sei sempre stato così interessato sia alla tecnologia che ai soldi? “No, in realtà la mia prima passione è stata la politica, e sono finito a lavorare per il governatore del Massachusetts, poi ho fatto la campagna per Maura Haley, la donna che oggi è procuratore generale dello Stato”. “Con queste due esperienze sono rimasto molto deluso dalla politica. Al College avevo scelto scienza politica come materia principale, ma lavorando col governatore, vedendo la burocrazia, e quanto i soldi comandano in politica ho cambiato idea”. E’ passato direttamente ai soldi. Politicamente come ti definisci? “Marxista-libertario”. E l’idea di questa comune? Ha qualcosa a che fare con le comuni che nacquero qua cinquant’anni fa, la Summer of Love, i figli dei fiori? “Bello” dice lui stupito. “Questa non è una comune. La comune ha dimostrato di non essere una soluzione abitativa sostenibile. Questo è un castello. Io sono il re. Io faccio le regole”.
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