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Il dissidente muto

Marianna Rizzini

Come il silenzio di Fico, l’ortodosso napoletano e anti Di Maio, è diventato per i grillini un non-silenzio

Da quando, alla festa dei Cinque stelle di Rimini, è stato detto, sancito e ribadito ai margini del palco che Roberto Fico, deputato e presidente della Vigilanza Rai, è il capo dell’opposizione interna a Cinque stelle, la battuta ha cominciato a circolare nei Palazzi: “Un fantasma si aggira nel M5s: l’opposizione interna”. Il problema, infatti, è che il quarantatreenne napoletano Roberto Fico, da anni parla, sì, e da anni viene considerato un inguaribile “ortodosso” (e qui si apre un sotto-problema: definire con esattezza l’ondivaga ortodossia a Cinque stelle), ma lo fa restando piuttosto silente. Non è un ossimoro. Il capogruppo Pd in Vigilanza Michele Anzaldi la spiega così: “Non è muto, Fico, uno comunque onesto e serio, solo che comunica in altro modo”. Cosa comune a quasi tutti gli eletti a Cinque stelle, si dirà, che usano Facebook come megafono. La differenza è che per Fico il social network non è megafono, ma voce vera e propria (anche da qui viene il mistero della sua dissidenza sottomarina a Luigi Di Maio, rivelatasi al mondo dei non addetti ai lavori improvvisamente, all’indomani della festa di Rimini, dove, come notava Salvatore Merlo su questo giornale, si è prodotto lo strano caso di scuola “dell’unico dissidente afono della storia della dissidenza mondiale”). Tant’è: Fico, da presidente della Vigilanza Rai, dice Anzaldi, “parla, ma con modi così garbati e così educati da avere più successi con noi ‘nemici’ in Vigilanza – noi con lui dialoghiamo a meraviglia – che nella lotta alla casta Rai”. Che cosa voglia dire il deputato dem lo si deduce dalle parole successive: “Queste buone maniere fanno sì che Fico sovente non riesca a bucare la notizia: davanti alla Vigilanza ormai non ci sono neanche più i cronisti. Non solo: Fico si è fatto scippare dalla commissione Antimafia la prima audizione di Riina junior, dopo le polemiche per la sua presenza in tv”. E insomma, dice Anzaldi, paradosso vuole che “l’educazione estrema” dell’ortodosso oppositore di Di Maio faccia sì che “la maggior parte delle volte in cui la Vigilanza viene percepita come vigilante, lo si debba in percentuale più alta a me piuttosto che a Fico”.

 

Emerso dopo un'anticamera sottomarina come oppositore di Di Maio a Rimini, Fico tuttavia eccelle nell'appeasement

Sia come sia, il nemico-amico Anzaldi riconosce a Fico “il non abuso di potere: potrebbe stare tutti i giorni in video, e non ci va”. Tuttavia Fico è andato una volta da Lucia Annunziata, su “Rai3”, a “In mezz’ora”, con curioso effetto di teatro-nel-teatro: il presidente della Vigilanza Rai parlava infatti di Rai nel pieno deflagrare del caso “Campo Dall’Orto”: l’ex dg si era appena dimesso e Fico, garbatissimo, spiegava agli spettatori che era “tutta colpa di Matteo Renzi”, che i partiti avevano creato “la cortina di ferro” e che lui, il presidente della Vigilanza, con tutto il rispetto, “odiava” chi non “aveva il coraggio di ammettere che si era lavorato per far fuori il direttore generale”. Nominava pure la parola “newsrooom”, Fico, con gran sprezzo del pericolo: in quei giorni infatti scoppiava anche un parallelo caso Gabanelli (Milena), in teoria destinata a dirigere una futuribile redazione web, punto controverso del piano di riorganizzazione delle news in Rai. E insomma Fico parlava, mentre da sinistra Anzaldi lo definiva comunque “educato” e da destra Maurizio Gasparri lo etichettava come “vigilante dormiente”. Ma sono cose da nemici esterni, queste. Ora Fico l’oppositore silenzioso ha un altro problema: i nemici interni, abbastanza invisibili a occhio nudo pure quelli, nel senso che faticano a bucare lo schermo anche i borbottii a Cinque stelle contro di lui. Forse perché la natura della sua opposizione a Di Maio si caratterizza per sottrazione, per le parole non dette. Quelle dette, infatti, sono incredibili capolavori di attacchi non frontali: “Di Maio è capo della forza politica prevista dalla legge elettorale, ma non di tutta la vita del Movimento”, ha detto infatti Fico a Rimini. E chi voleva vederci l’attacco degli attacchi si doveva accontentare di quella formula che in altri tempi si sarebbe detta democristiana.

 

D’altronde Fico, il dissidente, aveva preventivamente rassicurato amici e conoscenti e infine il pubblico televisivo sul fatto che la propria dissidenza contenesse già in nuce anche l’appeasement: la scelta di non salire sul palco a Rimini è mia, solo mia, diceva. E, per trovare le prove della dissidenza, bisognava risalire a quando Fico parlava diversamente da Di Maio sullo sgombero del palazzo di via Curtatone a Roma, ché Fico su immigrati, fine vita e nozze gay è molto più a sinistra non soltanto di Di Maio ma anche della maggioranza dei suoi colleghi, e lo è da quando non era neppure un Cinque stelle e a Napoli, in gioventù, votava Antonio Bassolino e poi Rifondazione comunista (amori brevi, Bassolino specialmente). E quando Roberta Lombardi e Paola Taverna, nel settembre 2016, sparavano contro Virginia Raggi e indirettamente rimproveravano a Di Maio l’omessa vigilanza nei confronti del sindaco di Roma alle prese con dimissioni a catena di assessori e capi delle municipalizzate, Fico l’ortodosso faceva capire che sì, Raggi non avrebbe dovuto indicare come possibile assessore al Bilancio il giudice Salvatore Tutino, nomina poi saltata, e che casomai prima si sarebbe dovuta procurare le interrogazioni parlamentari sul suo conto, ma faceva al tempo stesso la parte del pompiere: “E’ una scelta di Virginia, magari ha ragione… però prima valuti l’interrogazione”. E così l’ortodossia di Fico – che alle parlamentarie del 2013 ha preso, in Campania, cento voti in più di Di Maio (282 per Fico, 182 per Di Maio) – è fatta non di vis polemica ruggente, ma di amarcord lieve per l’Eldorado grillino che fu: i tempi in cui ancora si era puri e non contaminati dall’ingresso nei palazzi del Potere, e lui, Roberto, era il giovane fondatore di uno dei primi meet-up in quel di Napoli, nonché un ragazzo diplomato al liceo Umberto I e laureato in Scienza della comunicazione, con master al Politecnico di Milano e tesi sulla musica neomelodica scritta molto prima che i neomelodici diventassero la passione dei registi. (La parentesi operosa del Roberto Fico pre-grillino si compone anche di un lavoro da ex impiegato in un call center Vodafone e di un contratto da esperto in reti intranet in un’azienda turistica genovese).

 

Ortodosso, sì, ma più a sinistra degli ortodossi del M5s su immigrati, fine vita, nozze gay. Critico con Raggi, ma anche no

Forte della gavetta sul campo, Fico si candidava, nel 2010 e nel 2011, rispettivamente governatore della Campania e sindaco di Napoli. Gli ex compagni del liceo, quelli che ora a Chiaia e Posillipo tifano per lui come fosse una squadra di calcio, si stupivano: “Ma è Robberto-Robberto? Robbertino?”. E dopo essersi stupiti lo votavano, per effetto di quella legge non scritta che fa sentire rassicurati dalla comune esperienza tra i banchi. Sempre dall’ambiente ex scolastico napoletano, sebbene dopo vari anni di vita agli antipodi, si deve l’incontro con la compagna Yvonne, fotografa con esperienza internazionale.

 

Tuttavia a Napoli, a monte della fama televisiva che arriverà soltanto con l’elezione nazionale, non bastò la lobby degli ex liceali dell’Umberto I: “Robberto”, ben visto in città, ottenne poco più dell’uno per cento di consensi alle regionali e poco più dell’uno per cento alle comunali, posizionandosi sesto, al primo turno, dopo Clemente Mastella. E però a “Robberto” resta una fissazione per il territorio. Tanto che l’anno scorso, alla festa a Cinque stelle di Palermo, Fico prendeva a esempio la virtuosa politica locale del movimento mentre nel movimento ci si interrogava sui massimi sistemi, e cioè, tanto per cambiare, sul ruolo vero o presunto di Beppe Grillo (solo garante? anche capo politico? e fino a quando? L’arcano si è sciolto quest’anno: Grillo vuole essere, da oggi in poi, soltanto “il papà di tutti”, ma sul tema, si sa, le sue opinioni sono volubili: dal 2013 e oggi ha evocato il ritorno alla pantofola e alla professione di comico almeno quattro o cinque volte). Poi, tirato per i capelli, lo schivo Fico rilasciava dichiarazioni macro-politologiche: “Eccessi di personalismo e di egocentrismo non servono a nessuno. E’ una regola che vale sempre… guardiamo a come si sono ridotti i partiti. Mica sono nati in modo sbagliato, anzi avevano idee di cuore, poi però sono crollati sotto i personalismi, le divisioni, le correnti. Sono l’anticamera della fine e il M5s deve avere gli anticorpi. Questo periodo di difficoltà ci ha insegnato che dobbiamo condividere di più, incontrarci e fare meno selfie, abbandonare la vippaggine inutile”.

 

"Talmente garbato che ha più successo con noi che con la casta Rai", dice dal Pd il nemico-amico Michele Anzaldi

E anche oggi, nonostante le fatiche dell’opposizione nazionale silenziosa si addensino, è al Sud che Fico si sente a suo agio, come si può notare dai post (entusiastici) con cui annuncia su Facebook la partecipazione ai cosiddetti “giorni dell’eroe” nel napoletano: giornate in cui i consiglieri comunali raccontano ai cittadini del proprio lavoro, sotto l’occhio benevolo del portavoce alla Camera Roberto: “I portavoce a 5 stelle nei consigli comunali svolgono un lavoro enorme, prezioso, di controllo degli atti dell’amministrazione”, scrive Fico, “di proposta progetti per la collettività, di ascolto e di rappresentanza nelle istituzioni delle istanze della cittadinanza”. Purtroppo per lui, però, sul web c’è sempre il grillino più grillino di Grillo che rintuzza: “Mentre di Maio si candida”, scrive un internauta, “gli altri big si scansano e vanno ad affrontare temi cruciali per il destino della nazione”.

 

Eppure Fico alle ubbìe della base è abituato, e non soltanto perché ha fatto parte del Direttorio, corpo intermedio a Cinque stelle prematuramente appassito sulla via della non-autodeterminazione (meglio se decidono Grillo e Casaleggio, si pensò a un certo punto, per virare poi verso l’odierno rimescolamento di ufficiali di collegamento sotto il nome del Di Maio candidato premier). A Fico infatti toccò in sorte anche il compito di calmare gli attivisti inferociti dei meet-up in quel di Imola, nel 2015, durante la festa nazionale del M5s in cui scoppiò il caso “no-logo”. C’erano gli attivisti urlanti di Venezia, Ferrara e Firenze che chiedevano lumi: come e quando possiamo usare il logo a Cinque stelle? E perché lo usano a volte anche attivisti non certificati? E che cosa dobbiamo fare se votiamo, putacaso, uno che si rivela, soltanto ex post, non in regola col logo? Tali e tante erano le domande, che il povero Fico, non ancora dissidente ma pur sempre educatamente silente, dovette quasi alzare la voce, in piedi su un tavolo, accanto a un Alessandro Di Battista che invece pareva molto a suo agio nel ruolo di calma-folla, per spiegare che neppure i portavoce, a volte, avevano in tasca la risposta, e che i casi ricorrenti da dirimere potevano però sempre e comunque essere segnalati. Ma quelli, gli attivisti, non si calmavano, e anzi la virulenza della folla si gonfiava: “Usate il logo se avete le carte in regola”, si raccomandava Fico, poi producendosi in un altro piccolo volo di democristianità fuori epoca: e fatevi le vostre regole, purché negli obiettivi che vi ponete ci siano rimandi alle istanze lanciate dal blog di Beppe Grillo. E l’agorà, come sempre viene chiamata la piazza con banchetti tematici sotto il palco principale, momentaneamente borbottava: “Che cosa ha detto? Le vostre regole?!” E però poi si capiva che Fico era pur sempre un ortodosso: “Non ci ha detto di derogare al non statuto”, diceva un Cinque stelle apparentemente navigato. Ma Fico era già scomparso, si era volatilizzato forse davanti o forse dietro al palco principale, dove, a differenza di quest’anno, nessuno sospettava fosse in disaccordo con le altre due punte della squadra grillina (Di Maio e Di Battista). Anzi. Dovunque ci si girasse, parevano parlare all’unisono, i tre, anche se era quasi sempre Fico a tenere alta la bandiera del Dio-web: “Miglioreremo i meccanismi di selezione, ma la rete avrà sempre un ruolo fondamentale… siamo un work in progress, cambieremo quel che alle scorse elezioni non ha funzionato e premieremo la coerenza”.

 

"Robberto-Robberto? Robbertino?", dicevano increduli gli ex compagni dell'Umberto I quando si candidò a sindaco

Coerenza per coerenza, Fico l’ortodosso inaugura oggi la carriera di dissidente ufficiale a Cinque stelle parlando intanto e gentilmente d’altro, e cioè plaudendo alla “nuova epoca” Rai: la Vigilanza ha infatti approvato all’unanimità la risoluzione che auspica l’adozione di procedure volte a evitare possibili conflitti d’interesse tra Rai e agenti di artisti e conduttori. (Ma la risoluzione, per la cronaca, porta la prima firma del suddetto nemico-amico pd Michele Anzaldi).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.