“Le mie idee ce l’hanno fatta, non io”. Incontro con Pat Buchanan, in una casa piena di storia americana
Di questi tempi ci si aspetterebbe di trovare Pat Buchanan alla Casa Bianca a sussurrare all’orecchio di Donald Trump, il custode di una “pentola a pressione pronta a esplodere” (la definizione è di un suo consigliere, affidata al Washington Post), circondato da una serie di Rasputin dilettanti, di tecnici umiliati, di familiari abbandonati e neofiti di vario rango che hanno durata più breve del latte fresco. Il presidente potrebbe ben avvalersi del consiglio dell’autentico proto-Trump. Buchanan marciava sotto lo slogan “America first, America second, America third” quando Trump faceva la parodia di se stesso in televisione, ha sollevato la grande guerra conservatrice al libero commercio, ha imbastito una campagna presidenziale sulla lotta al Nafta, parlava di sovranismo negli anni Novanta del consenso globalista, ha proclamato “siamo una repubblica, non un impero” quando il secolo americano veleggiava trionfante verso gli estremi confini della terra e ha guidato una crociata trentennale contro i profeti della “nazione universale”. Che di cognome facessero Clinton o Bush non importava.
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