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Il salto di Quaglia

Leo Lombardi

Serio e silenzioso, a 35 anni Fabio Quagliarella è diventato uno degli attaccanti più decisivi della serie A. Anche grazie a una condanna

E’ bello riscoprirsi decisivi a 35 anni, quando altri hanno già tracciato per te percorsi d’addio. Fabio Quagliarella li compirà mercoledì 31 gennaio e, numeri alla mano, è oggi uno degli attaccanti che conta nel calcio italiano. Mai aveva segnato 16 gol in serie A, ci è già arrivato mercoledì con il rigore nel recupero contro la Roma. Davanti a lui soltanto Ciro Immobile (20 gol) e Mauro Icardi (18). Gli altri? Tutti dietro al capitano e leader della Sampdoria. Gli stranieri arrancano, a cominciare da Gonzalo Higuain. Peggio ancora gli italiani, Immobile escluso: inseguono ben distanti, nel gruppone di mezzo, come Kevin Lasagna e Roberto Inglese (7), oppure in clamorosa fase involutiva, come mister 100 milioni Andrea Belotti (4). Una ripartenza, quella dell’attaccante blucerchiato, con una data di nascita ben precisa: professionale, non anagrafica.

   

Con 123 gol è il calciatore in attività più prolifico, dopo il ritiro di Totti. Un giocatore vero, non un monumento alla carriera

E’ il 19 febbraio 2017, giorno in cui la Sampdoria ospita il Cagliari. Quagliarella va a segno dopo 22 minuti, non si fermerà più. Era sempre stato, in gergo tecnico, uno da doppia cifra, però qualcosa aveva finito per zavorrarlo. Una sola eccezione, alla terza esperienza con il Torino (13 gol nel 2014/15). Prima e dopo, però, poca roba, ben lontano dagli standard abituali. C’erano i motivi fisici, come un brutto infortunio alla Juventus, e c’erano le scelte tattiche di chi non lo schierava titolare. Tutto secondo logica del calcio. Però c’era pure qualcosa di più profondo e di segreto, che non lo rendeva libero di inventare. E di fare gol. Una vicenda emersa in tutta la sua gravità soltanto a cose fatte e che prima aveva danneggiato l’attaccante a livello di voci e di sussurri, fino a incidere sul suo percorso professionale. Una vicenda che comincia nel 2009, quando Quagliarella corona il sogno di ogni ragazzino nato dalle parti di Napoli: indossare la maglia azzurra. Lui è di Castellammare di Stabia, città che lascia bambino quando lo chiama il Torino, dove diventa uno degli ultimi figli del Filadelfia, fa ancora in tempo ad allenarsi su quel magico campo prima della chiusura per inagibilità nel 1994. Esordisce in serie A a 17 anni e mezzo il 14 maggio 2000, si attiene al percorso stabilito per ogni giovane di prospettiva. Va in prestito in C2 a una squadra che oggi non c’è più, quella Florentia Viola da cui, nel segno dei fratelli Della Valle, sarebbe rinata la Fiorentina dopo il fallimento della gestione Vittorio Cecchi Gori. Finisce quindi in C1 al Chieti, segna 17 reti, rientra a Torino per festeggiare la promozione e vedersi subito sfilare da sotto il naso la serie A per il crack del presidente Franco Cimminelli. Si ritrova libero, riparte dall’Ascoli, poi Sampdoria e Udinese, per due anni. Costruisce una carriera di attaccante di grande talento e dai colpi impossibili. Quando gli arriva la palla tra i piedi, l’azione è più veloce del pensiero. Se ha una minima possibilità, ci prova. Come con la Sampdoria, sul campo del Chievo. Controlla con il petto all’altezza della metà campo e subito arma il destro, per una traiettoria che muore sotto la traversa: Lorenzo Squizzi, portiere veronese, ha una faccia che è tutto un programma quando raccoglie il pallone in fondo alla rete mentre Fabio Bazzani, compagno in blucerchiato, si porta un dito alla tempia ripetendo “è matto, è matto”.

    

Matto sì, ma di quella follia che rende unici alcuni giocatori. Le rovesciate, le traiettorie a giro, i colpi al volo fanno di Quagliarella un attaccante imprevedibile. Suo è il gol premiato come più bello dall’Assocalciatori nella stagione 2008/09: un destro cadendo in girata da fuori area che vale il 2-2 dell’Udinese in casa del Napoli. In Friuli è arrivato nel 2007, all’epoca esisteva ancora l’istituto della comproprietà. La Sampdoria non trova l’accordo con i friulani e mette meno soldi nella busta: 6 milioni e mezzo di euro contro i 7 milioni e 300mila della controparte. All’Udinese forma una coppia formidabile con un altro napoletano. Lui e Antonio Di Natale sembrano fatti l’uno per l’altro: tecnici, creativi, scaltri. Un attacco che ha in Simone Pepe l’elemento di complemento e che nel 2008 accoglie un giovanissimo Alexis Sanchez, acquistato dal River Plate. In quella stagione a Udine si divertono soprattutto in Europa, arrivando fino ai quarti di Coppa Uefa, quando il Werder Brema impone lo stop. Quagliarella è il terzo miglior marcatore del torneo, con 8 gol, cui aggiungere i 13 in campionato. E’ il momento di spiccare il volo, è il momento di tornare a casa.

   

Nel 2009 lo acquista il Napoli. L’investimento è pesante, una ventina di milioni, ma Quagliarella è l’attaccante del momento. Firma un contratto di cinque anni, tocca il cielo con un dito: “Mi immaginavo già capitano”. Sul campo le cose vanno bene. Segna 11 reti, regala i soliti colpi a effetto, come un altro tiro da metà campo che stavolta, invece di finire in porta, viene fermato dalla traversa. E Alfonso De Lucia, portiere del Livorno, ringrazia. Il problema è fuori del campo, piuttosto. Napoli è città con quasi un milione di abitanti ma, incredibilmente, tutti sanno tutto di tutti. O, perlomeno, pensano di saperlo. A maggior ragione quando si tratta di un calciatore. E su Quagliarella girano voci brutte: che partecipi a festini della camorra a base di droga, che si sia infilato nel giro delle scommesse, che non sia insensibile alle ragazzine. Tutto nasce da una serie di lettere anonime inviate a chi fa parte del giro dell’attaccante: famiglia, amici, società. Il giocatore piomba in un incubo, “potevo beccare per strada uno che diceva la parolina. Ho sempre evitato il litigio, non me lo meritavo”. Chi conosce Quagliarella, sa che si tratta di calunnie. Il presidente Aurelio De Laurentiis preferisce invece dare credito alle voci: troppo pesanti per poter tenere in squadra uno su cui pende il sospetto dell’infamia.

   

"Non c'è un segreto vero e proprio, solo l'amore per questo lavoro, il voler sempre migliorarsi. Sono molto critico con me stesso"

E Quagliarella, dopo aver firmato un lungo contratto e dopo essersi immaginato bandiera del Napoli, si ritrova scaricato. Non lasciato in mezzo a una strada, per carità, visto che finisce alla Juventus, ma tradito da quella che era la sua città. E tradito dalla persona cui aveva concesso la propria fiducia. E’ un ispettore della polizia postale, si chiama Raffaele Piccolo. Glielo presenta un comune amico, quando il giocatore è alle prese con un’intrusione su Messenger. Piccolo risolve il guaio, a Quagliarella viene naturale rivolgersi a lui quando cominciano a girare le lettere anonime. Ma la vicenda non si conclude, accade anzi l’esatto contrario. La svolta nel 2010, quando il giocatore ne parla ad altri ispettori e le indagini portano alla luce come sia proprio Piccolo all’origine di tutto. Si era organizzato in maniera tale da colpire professionisti di Castellammare di Stabia. Di questi Quagliarella è la preda più ambita, la persona cui chiedere magliette, palloni o anche semplicemente autografi. Richieste sempre più pressanti cui corrispondeva un incremento di lettere anonime se non venivano esaudite: “Mi diceva di non parlarne con nessuno, ero entrato in un vortice”.

   

Nessuno sa, nessuno immagina. Fino a quando Piccolo viene processato e condannato a quattro anni e otto mesi. E’ il 17 febbraio 2017, due giorni dopo Quagliarella riparte con un gol al Cagliari e non si ferma più. Alla Sampdoria è arrivato sottotono. Ci sono stati tre scudetti con la Juventus, dove subisce l’unico serio infortunio della sua carriera (sei mesi di stop per la rottura del legamento crociato anteriore destro), e l’inatteso ritorno al Torino nel 2014: un passaggio diretto, evento poco frequente tra le due società. La terza esperienza in granata parte bene: ci sono i 13 gol raccontati prima, c’è la rete che riconsegna una vittoria ai granata nel derby dopo un’attesa durata vent’anni. Si conclude però male, per colpa di un calcio di rigore: Quagliarella fa gol al Napoli, alza le mani in segno di scusa, scatena la rabbia dei suoi tifosi. La cessione non è imposta ma è praticamente sollecitata, a gennaio 2016 riprende il racconto che si era interrotto anni prima con la Sampdoria. La partenza è rallentata, l’accelerazione diventa esaltante dopo che lo stalker è stato condannato. La rete al Cagliari è la prima di 20 realizzate nell’anno solare 2017, mentre la stagione attuale è già diventata di quelle da consegnare agli archivi della memoria.

   

In campo Quagliarella non è solamente il terminale offensivo, ma è anche il leader cui guardare, un leader silenzioso. Marco Giampaolo lo ha ritrovato dopo una decina di anni. I due erano stato insieme ad Ascoli nel 2005/06, prima stagione in serie A per il tecnico e prima annata da titolare vero per l’attaccante. A Genova l’intesa scatta naturalmente, per comunanza di carattere. Quagliarella e Giampaolo sono uomini del fare e non del parlare. Giampaolo è l’allenatore che Quagliarella avrebbe sempre voluto avere e lui è il giocatore che il tecnico vorrebbe clonare per schierarne undici così sul campo: “Fabio è un professionista esemplare – sottolinea l’allenatore –Avrebbe potuto gestire il fine carriera e invece non lo ha fatto, perché non arretra di un centimetro e questo gli va riconosciuto. E’ un esempio di professionalità. Gli spiego le cose una sola volta e poi le fa sempre precise. Anzi, meglio di come gliele spiego”.

   

Ha cambiato tante squadre: quando è a Napoli viene perseguitato da uno stalker, una vicenda che si risolve solo anni dopo

In questo modo è rinato Quagliarella. Quello che magari non ti inventa più la giocata strappa-applausi ma che in area è diventato cinico come mai. Il passare degli anni ha sottratto reattività aggiungendo saggezza, con il dono di farsi trovare al posto giusto nel momento giusto. “E’ uno di quei giocatori – aggiunge Giampaolo – che hanno delle percezioni dello spazio e del tempo che altri non hanno”. Lo vedi in questi ultimi anni di Quagliarella, incapace di perdonare l’errore altrui in area. E’ quello dei 16 gol, è quello della tripletta alla Fiorentina, è quello delle 9 reti nelle ultime 7 partite. Ed è anche quello che va per primo ad attaccare l’avversario, che ripiega, che dà una mano pure quando non richiesta. Il tutto con una freschezza incredibile e invidiabile, frutto di una seria autogestione. “Non c’è un segreto vero e proprio – racconta Quagliarella – solo l’amore per questo lavoro, il voler sempre migliorarsi anche a quasi 35 anni: sono molto critico con me stesso. Sono abbastanza introverso e mi piace essere leader sul campo con il mio esempio e con la mia professionalità, cercando di trasmettere queste cose ai giovani”. E sempre con la maglia numero 27, scelto in ricordo di Niccolò Galli, figlio di Giovanni, l’ex portiere. I due si conoscono al Torino, sono nati nello stesso anno, diventano grandi amici. Poi le strade del calcio li allontanano. Niccolò muore il 9 febbraio 2001 sbattendo contro il guardrail con il motorino mentre sta tornando da un allenamento con il Bologna: aveva appena esordito in serie A.

   

In campo non è solamente il terminale offensivo, ma è anche il leader cui guardare

Con 123 gol Quagliarella è il calciatore in attività più prolifico, dopo il ritiro di Francesco Totti. Un giocatore vero, non un monumento alla carriera. Uno da riproporre anche in Nazionale, vista la povertà imperante tra gli attaccanti italiani. In azzurro non è stato molto fortunato, dopo un esordio abbagliante da titolare: due reti spettacolari, in casa della Lituania, il 6 giugno 2007 in una partita delle qualificazioni europee. Lo fa debuttare Roberto Donadoni, che lo porta con sé all’Europeo 2008, quando l’avventura si conclude ai rigori ai quarti di finale contro quella Spagna che, da lì in poi, avrebbe vinto tutto quello che c’era da vincere. Lo chiama ancora Marcello Lippi, nella sua seconda esperienza dopo il titolo conquistato a Berlino nel 2006. Ma il Mondiale in Sud Africa è un flop clamoroso, con i campioni in carica eliminati al primo turno. Quagliarella prova a tenere viva l’Italia, con una rete delle sue a Johannesburg, ma il tiro dal limite del 3-2 arriva al 92’: troppo tardi per evitare la sconfitta con la Slovacchia e una bocciatura bruciante. Rimane una delle poche note liete di quella trasferta. E il prossimo ct azzurro potrebbe anche farci un pensierino, visto il Quagliarella attuale. Un leader è per sempre.

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