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scenari

Il futuro di Hachette al centro delle elezioni presidenziali francesi

Giulio SIlvano

Lagardère contro Bolloré. Uno ha perso un impero, l’altro vuole allargarlo. Giganti da campagna elettorale

Boulogne-Billancourt è un luogo abbastanza unico. E’ Parigi ma non è Parigi. E’ una banlieue con una storia operaia – qui c’è stata la storica sede della Renault, dove hanno lavorato anche il fotografo Robert Doisneau, la filosofa Simone Weil, per fare in incognito l’esperienza taylorista, e Deng Xiaoping, futuro leader supremo della Repubblica popolare cinese – e iperborghese. Ci viveva il capostipite dei Rothschild francesi, in un castello ottocentesco per anni in stato di abbandono, e qui ha costruito il suo giardino utopico il banchiere Albert Kahn, dove azalee giapponesi convivono con abeti rossi del Colorado. Ci sono i campi in terra rossa dove si gioca il Roland-Garros e le villette costruite da Le Corbusier.

Il reddito medio è quasi il doppio di quello nazionale. E’ una penisola circondata dalla Senna, a due passi dal 16esimo arrondissement e confinante col gigantesco parco di Boulogne, dove andavano a far festa i personaggi della Recherche e dove Louis Vuitton ha deciso di aprire la sua fondazione d’arte contemporanea, in un edificio di Frank Gehry che sembra un coleottero robotico.

Questa cittadina è come un satellite che gira intorno alla capitale, come una luna che invece di influenzare le maree, influenza la politica nazionale. C’è la sede di TF1, quella di Canal+, quella di CNews e, al di là del fiume, ci sono i palazzoni di France Télévisions, Arte e France 24, in quello che viene chiamato business district della Val de Seine. Come se Cologno Monzese, viale Mazzini e via Teulada fossero tutte alla stessa fermata del metrò.

In un appartamento moderno di Boulogne-Billancourt abitava la power couple del PS, Ségolène Royal e François Hollande, prima che provassero a diventare inquilini dell’Eliseo (Hollande venne cacciato di casa quando diventò pubblico il tradimento con la giornalista di Paris Match Valérie Trierweiler, che assunse poi il ruolo di Première dame). Qui sono nati Jean-François Copé, pluriministro, Édith Cresson, unica “prima ministra” della Repubblica, François d’Aubert, ministro e deputato di lungo corso, Pascal Clément, già guardasigilli, e Cécilia Attias, ex moglie di Sarkozy, rappresentante invece dell’altra banlieue-satellite, ancora più ricca, Neuilly-sur-Seine, dall’altra parte del parco. Testimone di nozze della coppia, per entrambi secondo matrimonio, fu Bernard Arnault, quest’anno numero sei nella lista di Forbes, e l’altro il miliardario Martin Bouygues. Non c’è politica senza affari, of course. In questa penisola sono nati anche Sébastien Bazin, della Accor, Jean-Michel Besnier, miliardario dei latticini Lactalis e, a distanza di nove anni, Arnaud Lagardère e Vincent Bolloré. Uno vende e l’altro vorrebbe comprare la casa editrice Hachette, fondata nel 1826 nel quartiere Latino da un ventiseienne, e adesso fetta importante dell’editoria globale, che solo in Francia possiede marchi storici, fondamentali, onnipresenti in case, librerie, biblioteche, bancarelle dei bouquiniste come Fayard, Stock, Grasset, Livre de Poche, Larousse e i fumetti di Asterix e Obelix. Senza pensare poi alla distribuzione, alla scolastica, ai libri per bambini e al mercato anglosassone. E forse questo gioco di acquisizioni non sarebbe nemmeno così al centro della scena se non si avvicinassero le elezioni per la presidenza, tra le più interessanti d’Europa a questo giro.

Ma chi sono questi due uomini d’affari, Lagardère e Bolloré, entrambi nati a Boulogne-Billancourt? Sono in primis i figli di due uomini di provincia. I padri erano uno l’erede di una cartiera e l’altro un ingegnere della Guascogna. La figura di Jean-Luc Lagardère, papà di Arnaud, è piuttosto iconica in Francia. Sopracciglia cespugliose, occhietti à la Philippe Noiret, un sorrisetto che sembra disegnato da Hergé, e una grande passione per i cavalli e per le auto sportive. I milionari di una volta, insomma. Nato nel 1928, segue ragazzino il padre ingegnere – il nonno di Arnaud – a Parigi quando va a lavorare all’Onera, l’ufficio nazionale per gli studi e la ricerca aerospaziale. Jean-Luc viene chiamato alla Matra, che si è occupata di armi durante la Seconda guerra mondiale, e che lui aiuterà nella transizione verso automobili, aeronautica e, soprattutto, aerospaziale e satelliti, roba che va forte a metà anni Sessanta, con i sogni cosmonautici, le bandiere sulla luna e la fiducia cieca nella tecnologia come motore di progresso. Diventato ceo, espande l’azienda anche verso altri settori: orologi, televisioni, metropolitane, comunicazione. Data la passione per le auto sportive, fa produrre macchine che vinceranno in Formula 1 e, per tre anni consecutivi, arriveranno prime alla 24 Heures du Mans. Amante dell’ippica, possiede centinaia di purosangue, che poi venderà all’Aga Kahn. Compra la Hachette, nell’80 e, con la Matra mezza statalizzata da Mitterrand, fonda la Lagardère. Sono gli anni della comunicazione di massa, c’è una corsa all’acquisto di frequenze radio e televisive (certo, c’è di mezzo anche Berlusconi, ça va sans dire, nell’avventura La5) in cui Lagardère si butta subito, anche se non riesce a mettere le mani su Tf1, principale canale televisivo, che tramite Chirac finisce invece nelle mani della famiglia Bouygues. Però continua a fare i milioni con gli Airbus e potenzia Relay, sistema di edicole-librerie con snack e bottigliette di Evian e souvenir, parte del pacchetto Hachette, oasi di prime necessità per ogni viaggiatore, presenti oggi in qualsiasi stazione e aeroporto di Francia, che si espande poi piano piano in altri paesi. Nel 2003 Jean-Luc muore durante un’operazione all’anca – alcuni suoi collaboratori incolperanno i russi di avergli iniettato dello stafilococco – e le redini vengono prese da Arnaud, figlio unico 41enne, visto da alcuni come un dilettante, un incapace. E le cose infatti non vanno benissimo, e non solo per colpa sua; nei media le cose stanno cambiando e bisogna essere rapidi, e poi nel 2003 c’è anche l’euro che crolla. Così, nemmeno il tempo di godersele ed è costretto a vendere una serie di riviste, tra cui Elle. Il povero Arnaud nel 2000 rischia di perdere il regno costruito dal padre: il finanziere franco-armeno Joseph Oughourlian si fa avanti per comprare il gruppo e togliergli la corona del gruppo Lagardère.

Senonché entra in campo Bolloré, o meglio, viene tirato dentro da Sarkozy per aiutare Arnaud , che il presidente considera un “fratello”. Bolloré diventa il terzo azionista e Arnaud resta alla guida del gruppo. E’ solo il primo passo verso uno scontro tra due imprenditori-tipo, il figlio di papà convinto di poter tenere su un impero per inerzia, che si sposa una modella belga con nozze supermediatizzate, e Bolloré, che proviene da una famiglia di cartai bretoni, personaggi che potrebbero esser stati creati dalla penna di Balzac o di Zola. Il padre, Michel, nato negli anni Venti, è amicone del presidente Georges Pompidou: yacht, Costa Azzurra, Françoise Sagan, jet set… tutto l’immaginario cinematografico di quel periodo. L’azienda fa carta sottile per le sigarette – le OCB per canne e drum – e per le Bibbie. Ma non lascia granché al figlio, rispetto almeno a quanto Jean-Luc lascia ad Arnaud Lagardère. Quando prenderà in mano quel poco che resta però, Vincent lo trasformerà, a partire dagli anni Ottanta, in un impero multimiliardario.

Qui è forse la grande differenza tra i due uomini, uno – Bolloré – è stato in grado di traghettare nel nuovo millennio i lasciti familiari, sfruttando tecnologia e meccanismi della nuova politica, creando acquisizione dopo acquisizione un sistema tentacolare; l’altro, Lagardère, si è ritrovato in mano un piccolo impero, senza avere i giusti strumenti per poterlo espandere. E oggi nel business o si cresce o si vende, come gli squali che devono nuotare costantemente altrimenti muoiono. Son le cose che s’imparano guardando i film su Wall Street, ma è il capitalismo del nuovo millennio, baby.

Quello di Bolloré è un percorso interessante: va dalla carta, passando per la finanza (Rothschild, Mediobanca), arrivando ai media, con piccole pause d’investimento in Africa. Negli anni Novanta si intasca due miliardi e mezzo vendendo le sue quote del gruppo Bouygues. Nei primi anni Duemila lancia la rete televisiva ipergeneralista Direct 8 e qualche anno dopo il quotidiano gratuito Direct Matin. Informazione semplice e, soprattutto, gratis.  Bolloré ha capito come si sarebbero potuti trasformare i media con l’arrivo di internet, ragionando con anticipo sulla canalizzazione del populismo tramite l’info-intrattenimento. Un po’ l’intuizione di Logan Roy, il patriarca di Succession, criticata dai suoi antagonisti filo-democratici: “Io do alla gente quello che vuole!”, risponde lui gridando, sapendo di aver ragione. Bolloré nella sua collezione vanta Le Journal du Dimanche e la stazione radiofonica Europe 1, oltre che Paris Match, tutti outlet considerati chiave per “condizionare” le menti in vista di un voto. Tramite Vivendi controlla CNews, il canale di notizie che ha aiutato a costruire il personaggio Éric Zemmour, ex giornalista del Figaro e candidato alla presidenza. Zemmour sembra essere il prodotto di quel pensiero populista capace di capire il tessuto sociale, di parlare a quello che in tv chiamano “il paese reale”. Ma guai a paragonarlo a Trump. Non c’è niente di quella superficialità americana, di Burger King servito nei saloni della Casa Bianca. E’ un uomo très cultivé, che sta sapientemente spostando l’asticella della destra francese, cercando di inglobare un sentimento che prima era prerogativa dei lepeniani, ormai stanchi di Marine, ammiccando anche ai conservatori tradizionali che si chiedono se Valérie Pécresse – nata a Neully-sur-Seine, guarda un po’– sia in grado di battere Macron al ballottaggio. Zemmour è arrivato alla politica facendo televisione, certo, ma non un reality, non è il personaggio presidenziale di Meryl Streep di Don’t Look up col tatuaggio tribale sul fondoschiena che assume il figlio scemo come capo gabinetto. E’ un gaullista bonapartista bestsellerista che ha fatto SciencesPo.

Ma torniamo a Bolloré, che ai giornali piace dipingere come un fedelissimo cattolico, ammiratore dei santi mistici, senza le mire da mecenate glam à la Arnault/Pinault. Dice di leggere Coelho e Patrick Modiano e di aver provato una volta a scrivere un romanzo. Colleziona al massimo fumetti ed etichette dell’acqua minerale, oltre che aziende che possono condizionare l’opinione pubblica. Queste settimane è dovuto andare in Senato perché secondo alcuni, se dovesse comprare Hachette, diventerebbe troppo potente. Sarebbe come Thanos che aggiunge l’ultima pietruzza al suo guanto. Negli ultimi dieci anni Vivendi, di cui è chairman il figlio quarantenne Yannick (sposato con una Bouygues), ha messo le mani su Canal+, su Gameloft, sviluppatore di videogame, su Havas, sesto gruppo pubblicitario del mondo, su Prisma Media – riviste come Geo o National Geographic France – e sul sito di condivisione video Daylimotion. Nel 2019 ha speso quasi un miliardo per il gruppo editoriale Editis, che tra gli altri contiene i tascabili 10/18 e Pocket, le Lonely Planet francesi e i dizionari Robert. Oltre all’unione delle due case, Bolloré controllerebbe anche due terzi del mercato dei libri scolastici. Tutti a urlare quindi all’infobesitè, alla concentrazione che minaccia la democrazia, compreso monsieur Gallimard, o l’ex-ministro della cultura Nyssen, o scrittrici come Virginie Despentes che ha detto a Liberation: “E’ molto facile far scomparire gli autori. Se Bolloré piazza qualcuno di estrema destra a capo delle case editrici che compra, tutto quello che è stato scritto prima sarà di proprietà di Vincent Bolloré. E parte del catalogo potrà essere cancellato per meri motivi ideologici: studi di genere, saggi femministi e anti-razzisti, filosofia…”. Un gruppo di scrittori ha firmato un appello-lettera aperta sul Monde dicendo che l’operazione “metterebbe in pericolo la biodiversità letteraria”. Si vedrà come andrà a finire, la palla è nelle campo del Parlamento. Davanti ai senatori Bolloré ha detto che tanto tra poco si ritirerà, lasciando tutto ai figli: “A febbraio sarà la mia famiglia a proseguire la saga industriale. Sarà la settima generazione”. Poi ha sottolineato il proprio patriottismo, indicando come veri nemici della libertà d’espressione le media company asiatiche e americane, e i Google, i Facebook, gli Amazon. Noi del gruppo Bolloré abbiamo conosciuto “un re, tre imperatori e ventisei presidenti della Repubblica, ci adatteremo”. E chissà che non sia proprio lui a scegliere il prossimo inquilino dell’Eliseo.

Per gli amanti dei drama imprenditoriali sta per uscire un libro: Grandeur et décadence de la maison Lagardère, del giornalista di Le Point Olivier Ubertalli, e non a caso il titolo è balzacchiano. Lo scrittore diceva in Splendori e miserie delle cortigiane che dietro ogni grande fortuna accumulata rapidamente ci sono o una coincidenza, una scoperta, oppure un furto legalizzato. Ma il libro ideale, davvero necessario per capire tutto quanto fino in fondo, sarebbero le memorie intime di Nicolas Sarkozy, personaggio che appare in ogni storia imprenditoriale dell’ultimo mezzo secolo. Un peccato che la sua biografia non la possa scrivere Balzac.

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