tiktokizzazione
Il salto di Tiktok che si prepara a diventare il re dei social. Con l'incognita della privacy
"Parlare in corsivo" è solo l'ultima tendenza a spopolare. Intanto Facebook e Instagram prendono spunto e copiano la piattaforma. Ma in che mani sono i dati degli utenti in Cina? Indagine
Forse avrete sentito “parlare in corsivo”. Probabilmente l’avrete visto sul sito di qualche giornale, ché da alcuni giorni se ne occupano anche i media, oppure ve l’ha mostrato un amico, facendovi vedere un video e dicendo: “Hai visto come parlano i ragazzi adesso?”. Il video più diffuso è quello di Elisa Esposito, un’influencer che ha filmato un ironico corso di base di corsivo. “Parlare in corsivo” dovrebbe significare parlare con un’esagerata affettazione, a imitazione del fatto che il corsivo è il tipo di scrittura più fiorito. Di fatto, significa parlare come una ragazzina lombarda che accentua gran parte degli elementi regionali, aprendo e strascicando tutte le vocali. Nel video di Esposito, “amo” diventa amiœee, “alunna” diventa älunnæ e così via.
Se hai più di trent’anni, cioè se sei un millennial, uno della generazione X o un boomer, che tanto ormai sono tutti la stessa cosa – se hai più di trent’anni, dicevamo, e vedi quel video la prima cosa che vorresti fare è bruciare tutto. Berciare contro i giovani imbecilli come altri avevano fatto quando tu eri giovane, ripetere le stesse cattiverie che i più anziani dicevano dieci anni fa (o cinquanta, a seconda) contro di te. Poi di solito arriva qualche anima buona, che abbia meno di trent’anni o sia un trentenne illuminato che fa lo sforzo di comprensione, e ti spiega che questa cosa del “parlare in corsivo” è più sofisticata di come sembra. Che Esposito e gli altri non si prendono davvero sul serio, il corsivo è un gioco ricco di ironia, come è ironico e scanzonato tutto quello che succede su TikTok.
Perché il corsivo, ovviamente, è nato su TikTok ed è diventato famoso grazie a TikTok, come tutti i grossi fenomeni culturali giovanili da almeno un anno a questa parte. Qui ovviamente non ci azzarderemo a citarli, questi fenomeni, perché come sempre succede in questi casi per chi non li ha visti crescere in diretta sono astrusi, oscuri e difficili da spiegare. Ed è difficile, ormai, che qualcuno che abbia più di trent’anni veda nascere in diretta un fenomeno giovanile, per una ragione banale: chi ha più di trent’anni non è più giovane, e spesso a chi non è più giovane TikTok fa un effetto straniante. Però è possibile usare una prova più famigliare. Forse avrete Instagram. E’ piuttosto probabile che l’abbiate: come era successo con Facebook qualche anno fa, anche su Instagram sta avvenendo il grande salto generazionale, ormai l’hanno installato tutti, e i giovani cominciano a mostrare segni di insofferenza: tra poco, anche Instagram diventerà un pascolo desolato per boomer. Ma insomma, avete Instagram. Guardate i Reel, che sono quei brevi video verticali che Instagram vi propone dopo un paio di scrolli col dito. Scorreteli, di solito sono pieni di cuccioli o di video comici o di altri piccoli sketch di intrattenimento. Guardateli, quei brevi video. Molti sono carini e fanno sorridere. Concentratevi sull’angolo in basso a destra. Lo vedete? Compare in molti video, anche se di recente Instagram sta cercando di evitarlo. E’ il simbolo di TikTok.
Cosa ci fa il simbolo di TikTok dentro a Instagram? La risposta è che siete ormai su un social derivativo. Significa che i video originali, quelli creati nativamente, in realtà stanno su TikTok, e che qualcuno li ha copiati (spesso senza l’autorizzazione degli autori) e li ha caricati pure su Instagram. Quello che è successo, insomma, è che siete su un social dove la roba arriva ricicciata, di seconda mano, vecchiotta. I meme che su Instagram vi sembrano freschi sono spesso vecchi di settimane. La roba buona ormai sta su TikTok. Gli influencer quelli fighi stanno su TikTok. E Facebook è terrorizzato.
Il conglomerato social che ha dominato l’ultimo decennio, quello di Facebook e Instagram, sta perdendo il suo primato culturale, e ha deciso di combattere come ha sempre fatto in questi anni: copiando. Qualche giorno fa The Verge, un importante sito americano di cose tecnologiche, ha pubblicato in esclusiva un documento interno a Facebook in cui si dice piuttosto chiaramente che il nuovo obiettivo nell’azienda è rendere l’app di Facebook “più simile a TikTok”. L’idea generale è di riempire Facebook di video da scrollare e ridurre i pensierini scritti dagli amici e gli auguri di compleanno. The Verge descrive così i progetti per la nuova app di Facebook: “La finestra principale diventerà un mix di Storie [cioè i video brevi e a scomparsa che Facebook copiò anni fa da Snapchat, ndr] e di Reels [cioè i video un po’ più lunghi che Facebook ha copiato di recente da TikTok, ndr]. Sarà un’esperienza più visuale e piena di video”. Facebook intende inoltre riunificare l’app Messenger con l’app principale di Facebook, anche in questo caso per “mimare le funzionalità di messaggistica di TikTok”.
La novità principale riguarda però un cambio di filosofia più profondo. Da quando è nato, quasi vent’anni fa, Facebook è sempre stato un social network che ha dato estrema importanza alla sua parte “social”. E’ nato e si è diffuso tra gli studenti dell’università di Harvard e ha sempre avuto l’ambizione di connettere le persone tra loro, che fossero compagni di scuola delle elementari, vecchi fidanzati o amici trasferiti all’estero. Facebook è sempre stato il posto in cui si discuteva con i propri amici e in cui si andava per vedere quello che facevano: cosa postavano, cosa commentavano, che foto caricavano. Il social ha sempre privilegiato questo tipo di relazioni e comunicazioni interpersonali, e anzi nella sua comunicazione ufficiale ha spesso fatto vanto di aver connesso mezzo mondo (e con quasi tre miliardi di utenti, è in gran parte vero). Ma la tiktokizzazione dell’app di Facebook potrebbe significare rinunciare almeno in parte a questo tipo di contatti: attualmente, secondo dati rivelati a The Verge da Facebook stesso, dei contenuti che gli utenti vedono sul social network l’89 per cento è prodotto da account che sono seguiti dagli utenti stessi, che si tratti di amici o di personaggi pubblici.
Tra gli obiettivi di Facebook c’è quello di ridurre in maniera consistente questa percentuale, e aumentare di molto i contenuti “unconnected”, cioè cose che l’algoritmo ritiene potrebbero essere in linea con i gusti dell’utente, anche se sono stati prodotti da qualcuno con cui non ha nessuna connessione. E’ ciò che succede con TikTok, il cui algoritmo miracoloso non ti mostra i contenuti delle persone che segui, ma video pescati un po’ da ovunque, che con te non hanno nessun legame ma che sono stati selezionati per avvicinarsi il più possibile ai tuoi gusti. Benché TikTok sia definito per convenzione un “social network”, in realtà è molto meno “social” di quanto Facebook non sia mai stato. Certo, su TikTok si possono seguire gli amici e si può chattare, ma non è per quello che si va su TikTok: lo si fa per scorrere un palinsesto di video di intrattenimento scelti dall’algoritmo. In termini di fruizione, TikTok è molto più simile a un media tradizionale. Ecco, anche Facebook vorrebbe diventare così, sempre meno “social”.
Per quanto riguarda Instagram, la tiktokizzazione è ormai avanzata. L’app di Instagram è diventata un terreno sperimentale, le funzioni vengono tolte, rimesse e spostate con cadenza ormai trimestrale, ma la tendenza generale è comunque la stessa: assomigliare a TikTok. Questo significa anzitutto che chissenefrega delle foto, benché siano state la ragione iniziale del successo dell’app, e che bisogna dare enorme spazio ai video: ancora una volta, alle Storie e ai Reel. Instagram sta sperimentando versioni dell’app che sono spaventosamente simili a TikTok, con i post che diventano grandi video verticali a tutto schermo, da scorrere. Come disse un anno fa Adam Mosseri, il capo del social network, Instagram non è più un’app per condividere le foto, e la crescita, oggi, viene dai video.
Le ragioni di questo grosso processo di tiktokizzazione dei social network storici si vedono nei dati: secondo stime della società SensorTower, l’anno scorso i download dell’app di TikTok sono stati del 20 per cento superiori a quelli di Facebook e del 21 per cento superiori a quelli di Instagram. E nei primi tre mesi di quest’anno gli utenti iPhone hanno passato il 78 per cento di tempo in più su TikTok che su Facebook. Il successo di TikTok si vede anche dai conti economici: secondo indiscrezioni pubblicate dal Wall Street Journal, l’app quest’anno dovrebbe triplicare gli introiti pubblicitari rispetto a quelli registrati nel 2021. TikTok e la società cinese che lo possiede, ByteDance, generano ancora una frazione di introiti pubblicitari rispetto a Meta, il conglomerato di Facebook e Instagram, ma la crescita del social cinese è esplosiva. Il Wall Street Journal ha notato anche un altro fenomeno notevole: molte aziende che fino a qualche anno fa per le loro campagne pubbliche di sponsorizzazione sceglievano Facebook e Instagram, adesso scelgono TikTok, specialmente se i loro prodotti sono rivolti a un target giovane.
Insomma, sembra che almeno per qualche anno la crescita di TikTok sarà inarrestabile. E’ ancora presto per dire che stiamo per avere un nuovo re dei social, ma ci stiamo per arrivare. E questa crescita è tanto più eccezionale se pensiamo che appena un paio d’anni fa TikTok stava per essere vietato negli Stati Uniti, e forse perfino nel resto dell’occidente. Ricorderete: il presidente americano Donald Trump aveva deciso che TikTok, essendo di proprietà di un’azienda cinese, ed essendo la Cina un regime autoritario e un concorrente strategico dell’occidente, era un pericolo potenziale per la privacy e la sicurezza dei cittadini americani. A un certo punto, Trump arrivò a tanto così dal vietare TikTok in America, e sembrò molto probabile che il social sarebbe stato costretto a vendere tutte le sue attività americane. Poi Trump perse le elezioni, arrivarono il Covid e problemi ben più urgenti, i video di TikTok divennero un sollievo e un conforto, e ci dimenticammo di tutti i sospetti e i problemi che il successo di un social network cinese avrebbe potuto generare. Quei problemi però sono probabilmente ancora lì.
In particolare, TikTok aveva promesso all’Amministrazione americana che avrebbe conservato tutti i dati degli utenti americani esclusivamente negli Stati Uniti, e che avrebbe fatto in modo che dalla Cina non sarebbe stato possibile accedervi. Questo perché, tra le altre cose, in Cina il rispetto dello stato di diritto è piuttosto labile, e anche se ByteDance è una società privata il Partito comunista mantiene un ampio margine d’azione e di influenza sulle aziende, specie se le considera di valore potenzialmente strategico. TikTok aveva promesso di fare la stessa cosa in Europa, e di conservare localmente tutti i dati degli utenti europei. Un’inchiesta pubblicata qualche giorno fa da BuzzFeed ha mostrato però che le cose non starebbero così. BuzzFeed ha ottenuto varie registrazioni di riunioni interne a ByteDance, in cui viene detto esplicitamente che nel quartier generale cinese di TikTok si continua ad avere accesso ai dati privati dei cittadini occidentali.
“Dalla Cina vedono tutto”, viene detto in una riunione, mentre in un’altra si parla dell’esistenza di figure di amministratori che, sempre dalla Cina, “hanno accesso a tutto”. Ora, è vero che fare ciò che richiedono i paesi occidentali, cioè dividere il flusso dei dati a seconda della posizione geografica e conservarli in varie località diverse, è tecnicamente complesso da realizzare: non è da escludere che TikTok ci stia lavorando, e proprio in concomitanza con l’uscita dell’articolo di BuzzFeed l’azienda ha fatto annunci proprio in questo senso. Ma non tutti si fidano: questa settimana Brendan Carr, uno dei commissari della Fcc, l’agenzia federale americana che si occupa di regolamentare le comunicazioni e internet, ha chiesto con una lettera ufficiale a Google e Apple di rimuovere l’app di TikTok dai loro store online. Sicuramente non gli daranno retta, ma l’ascesa del nuovo re dei social potrebbe essere accidentata e controversa almeno quanto quella del suo predecessore.