Gina Lollobrigida ospite di Mara Venier a "Domenica in", via Ansa 

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Guai ai vecchi. La beffa ai danni di Gina Lollobrigida

Fabiana Giacomotti

La diva circuita dagli approfittatori. A 95 anni corre per il collegio uninominale di Latina. Lo specchio di un mondo che cancella le differenze di età

Da circa un anno, a dispetto della sentenza della Cassazione che ha assegnato a un tutore la gestione del patrimonio della “signora Gina Lollobrigida”, ritenendola “vulnerabile all’altrui opera di suggestione”, l’avvocato Antonio Ingroia, politico di molte avventure fallite, va ripetendo che la sua assistita novantacinquenne e per la quale ha preparato il ricorso sia “perfettamente lucida” e voglia solo liberarsi della presenza interessata del figlio Milko Skofic, che a sua volta ha intentato una causa per circonvenzione di incapace contro il segretario della madre, tale Andrea Pezzolla titolare della srl Vissi d’Arte, una denominazione che è già programma.

 

Qualcuno dei frequentatori televisivi della domenica pomeriggio ricorderà una doppia intervista, della diva e del suo avvocato in collegamento con riproduzione raffaellesca alle spalle, concessa lo scorso novembre a Mara Venier dove la lucidità della Lollobrigida, e la sua “umiliazione” pubblica, più volte dichiarata sotto lo sguardo vigile del legale, tennero banco per la prima mezz’ora di trasmissione. Vi fu anche una dichiarazione video spontanea, “mi chiamo Gina Lollobrigida e sono una donna che ha rappresentato l’Italia nel mondo”, di poco precedente, in cui la vittima presunta e il legale erano seduti fianco a fianco: lei diceva quello che, in cuor nostro, tutti ci sentiremmo di sottoscrivere, e cioè che il suo patrimonio è frutto del suo lavoro e che dovrebbe avere il diritto di goderselo e di disporne come desidera. Lui approvava ogni dichiarazione della sua assistita con ampi gesti del capo, molti “eh beh”, qualche grattatina di ventre e sorrisi complici. A un certo punto le prendeva le mani e guardava fisso e dolente in camera, come Rock Hudson con la Jane Wyman cieca di “Magnifica ossessione” in attesa dell’ultima, disperata operazione al nervo oculare. 

 

Prima di scrivere questo articolo, ho guardato entrambi i documenti su YouTube: ne ho ricavato una straordinaria tenerezza per questa donna affranta sotto la sua parrucca e i suoi gioielli parimenti voluminosi, che a molti di noi boomer ricorda certamente la propria madre con tutte le sue disarmanti fragilità fisiche e mentali, e dall’intervista a “Domenica In” anche una discreta ammirazione per la capacità della Venier di offrire una storia succosa al proprio pubblico mantenendo al contempo, con piglio franco e popolare, una perfetta equidistanza dalle parti in causa e soprattutto dalla famiglia della diva, particolarmente pugnace e lesta di querela. La faccenda nella sua interezza fa comunque abbastanza orrore, insomma ripugna un po’, per cui nessuno che non sia costretto a bazzicare la cronaca giudiziaria se ne sarebbe più occupato se non fosse che qualche giorno fa, sul filo della lucidità che la “bersagliera” della commedia anni Cinquanta va dichiarando ovunque dall’inizio del processo, cioè da sei anni a questa parte, l’indomito Ingroia l’ha inserita come capolista della sua nuova coalizione, Italia Sovrana e Popolare, nel collegio uninominale di Latina per il Senato e in altre circoscrizioni nel plurinominale proporzionale.

 

Si dice convinto di poter superare il 3 per cento di preferenze. Della lista, un eccentrico guazzabuglio di ex leghisti, comunisti ortodossi à la Marco Rizzo, la signora Lollobrigida è la punta di diamante, e “nella sua lucidità”, ha dichiarato Ingroia, ha “accettato di buon grado”, pur consapevole che “non potrà andare a fare comizi in giro per l’Italia” e che “la sua campagna sarà affidata prevalentemente a comunicati, a videomessaggi”. Cioè, che sarà guidata dalla capacità affabulatoria dello stesso Ingroia, un altro Vissi d’Arte srl. 

Vale infatti la pena di ricordare che entrambi, Lollobrigida e l’avvocato, hanno alle spalle numerosi tentativi falliti di far carriera in politica: la prima corse per le elezioni europee del 1999 con la lista dei democratici di Romano Prodi, nella (allora) circoscrizione dell’Italia centrale e meridionale, e raccolse circa 10 mila preferenze, non sufficienti per essere eletta.

 

Del secondo, partito con le migliori premesse nel team di Giovanni Falcone nei primi anni Ottanta, ha tracciato un folgorante ritratto pochi mesi fa Filippo Ceccarelli (“Dalla mafia alla Lollo, l’ultima giravolta del Narciso Ingroia”). Potete trovarlo sul sito di Repubblica, è ancora validissimo non fosse per il riferimento al nome della coalizione (nel mese di novembre era “Rivoluzione civile”) che, nel giro di nove mesi, è appunto cambiata un’altra volta, sempre nel nome della lucidità e dell’aria della Tosca che la Lollobrigida interpretò con la propria voce, e nemmeno malissimo, nella “Donna più bella del mondo”, storia romanzata della cantante Lina Cavalieri e campione di incassi del 1956 (a coronare la performance seguì un David di Donatello). 

 

Ma il punto della questione, come ovvio, non è nemmeno questo. È la tenerezza a cui ci induce questa anziana diva con la parrucca scura, i troppi gioielli e i bruttissimi vestiti tirati di qui e di là da quest’orda famelica e, in buona parte, nullafacente, di famiglia e di famigli (sul suo gusto, una volta si espresse con me la nuora, Maria Grazia Fantasia, che interpellai per una mostra sulla moda alla Mostra del Cinema di Venezia: ero a caccia di un certo modello di Emilio Schuberth, mi rispose che sua suocera li aveva disfatti tutti per trasformarli in abitini da casa, le credetti sulla parola). Accade spesso che grandi divi del cinema, o dello sport, o anche dell’universo ormai molto mediatico della disabilità, e non intendo scrivere su questo punto perché è proprio rivoltante, trovino sulla propria strada, o forse inconsapevolmente modellino il proprio destino, in modo da attrarre un numero significativo di falliti e di clientes in vario grado di avidità e di interesse.

 

Il successo del film di Baz Luhrmann su Elvis Presley si basa essenzialmente su questo: sulla debolezza di quel ragazzo di molto talento nei riguardi di una pletora di parassiti, a partire dal padre, ai quali affida il proprio destino. Nell’evoluzione di questo processo, a cui chiunque di noi ha assistito o di cui ha letto decine di volte, giocano spesso la scarsa cultura, il terrore della solitudine, la sopravvalutazione o, al contrario, il timore di vedersi privare dell’affetto dei propri genitori, figli e compagni, oltre a una capacità di discernimento ottenebrata dall’attenzione ossessiva dei media. 
“La Lollo”, ex studentessa dell’Accademia di Brera da cui ha ricavato una grande passione per le scienze creative che l’ha portata a essere negli anni una mediocre scultrice e un’ottima fotografa, ha completato la raccolta di queste disgrazie in tutte le categorie familiari e professionali, al punto che qualche sito informativo, a partire da Affaritaliani per la penna di un collega ex deputato, Giuseppe Vatinno, si è domandato con molto pudore se fosse “il caso di candidare una anziana signora” coinvolta in un processo volto a stabilirne il pieno possesso delle facoltà mentali, e che ha peraltro perso, in una campagna elettorale. In merito, vanno osservate ancora due cose.

 

La prima: gli italiani concentrati sui dissidi interni al Pd e le intemperanze di Carlo Calenda hanno accolto in genere la notizia con un sorriso, dopotutto sfioriamo l’avanspettacolo e lo dimostra anche la posizione che il dibattito “Lollo-Ingroia” ha ottenuto sui quotidiani, collocandosi cioè fra le pagine di cronaca e le firme del cinema, delle lettere e del costume, esattamente come accade adesso con yours truly. L’ex pm di Palermo aveva bisogno di un po’ di visibilità dopo le ultime, tragiche uscite, compreso uno sbarco forzato da un volo Air France per presunto stato di ebbrezza nei mesi precedenti allo scoppio della pandemia, e bene o male gliene stiamo dando tutti.

 

Lollobrigida, beh lei si sta sicuramente divertendo e perché no, dopotutto: un po’ mette in scena la propria lucidità, un po’ gioca con la propria età (lo fece anche nel 1972, ultraquarantenne, quando interpretò spavalda e incurante delle rughe la Fata turchina nel “Pinocchio” di Luigi Comencini, nell’originale una fanciulla morta come la Cecilia manzoniana) e nel frattempo, identica a tutti gli anziani a cui si presti orecchio, rivanga con piacere i bei tempi andati. 
Lo fece anche in occasione della prima candidatura, nel secolo scorso: la intervistarono sul proprio credo politico, ricordò l’incontro con Fidel Castro che le faceva la corte (“era un bell’uomo, molto affascinante. Quando ci incontrammo gli feci un ritratto così bello che me ne tenni una copia anche io”). L’ha fatto anche pochi giorni fa con il Corriere della Sera, raccontando di volersi ispirare a Gandhi e di essere stata “tanto amica” di Indira “che vedevo sempre quando veniva a Roma”, esprimendo poi non specificate riserve sull’operato di Mario Draghi e di volersi battere “perché sia il popolo a decidere” anche “su sanità e giustizia”.

 

Insomma, avanti Barabba, nessuna idea concreta o, tanto meno, precisa; pochi punti di riferimento e tutti mondani. Se la letteratura è incredibilmente parca delle figure di anziani raggirati, forse il caso più emblematico del Novecento italiano restano le sorelle Materassi di Aldo Palazzeschi con quel loro ignobile nipote Remo, la cronaca invece ne trabocca: casi di vecchi che si sono lasciati abbindolare e derubare di pochi spicci da sedicenti assicuratori, controllori del gas, guardie giurate. Un elenco talmente vasto che a un certo punto il ministero dell’Interno si sentì in dovere di diffondere una campagna televisiva nazionale per allertare quella fascia di popolazione che, appunto, davanti allo schermo trascorre buona parte della propria giornata, di non dare confidenza agli sconosciuti e di non aprire la porta a nessuno. 

 

Certo, le cose cambiano se il nessuno da cui guardarti vive e ufficialmente lotta accanto a te. È anche vero che la stessa giustizia deve avere un’idea piuttosto vaga (o, forse, eccessivamente contemporanea) della vecchiaia, visto che un gip romano di cui vorremmo conoscere il nome pochi giorni fa ha spedito a Rebibbia un’ottantaquattrenne, “Loretta la sarta di Mastroianni e della Loren”, una signora chiaramente disturbata che aveva risposto alle botte del marito difendendosi con un coltello, facendola prelevare da casa in camicia da notte e senza nemmeno consentirle di prendere con sé la dentiera.

 

Sull’onda di un’economia nazionale che parecchio si affida alle pensioni della larga fascia di popolazione non attiva e di un sentimento di inclusività generale che tende ad annullare le differenze di età, oltre che di peso ponderale (siamo tutti belli, tutti eternamente giovani, tutti abili a qualunque prodezza), la vecchiaia anche cattiva e perfida degli Arpagone e dei Père Goriot è diventata un’opinione che gli stessi vecchi rinnegano, o che accarezzano per civetteria, giusto per sentirsi smentire fra sorrisi e moine, ma no mamma che non sei affatto vecchia, ci seppellirai tutti. Fra flat tax e pensione minima a mille euro, gli argomenti forti di questa campagna elettorale si rivolgono certamente più agli ultracinquantenni, la fascia che più facilmente e con convinzione si reca alle urne, rispetto ai diciotto-trentenni, che una tassa “piatta” penalizzerebbe in modo esagerato. Lollobrigida, poco più di un nome per i neo-maggiorenni, è un mito solo per chi abbia superato il mezzo secolo, e anche da un po’. E Ingroia a questa fascia di elettorato, che ancora rimpiange la lira “sovrana”, senza alcun dubbio, guarda.