Musica dall'altro mondo
I fratelli Lippok, ribelli del rock in una Berlino est che tutto controllava
"Non avere alcuna possibilità ci ha resi liberi. Nella Ddr non c’era nessun modo di fare musica commerciale, per gente underground come noi", raccontano oggi. La loro creatività ha bucato il Muro
Berlino est, interno notte, 1983. Due fratelli poco più che ventenni, magri come chiodi e con lo sguardo spiritato di chi sta combinando qualcosa di potenzialmente pericoloso, armeggiano con una vecchia radio. Come ogni sera Robert e Ronald Lippok, barricati nella loro cameretta, si sintonizzano sulle frequenze delle stazioni radio che trasmettono musica per i soldati alleati che, dall’altra parte di quel fottuto Muro, a poche decine di metri da loro, ascoltano musica rock per passare il tempo e divertirsi. Ogni sera i due ragazzi girano le manopole alla ricerca della musica più travolgente, che viene annunciata dalla voce più dolce e sexy del mondo, quella dello storico dj inglese John Peel, autentica star dell’etere. Nonostante non sia proprio legale suonare rock a Berlino est, i due fratelli fanno qualche esperimento di nascosto in cantina, e provano a immaginarsi, candidamente, il nome del loro gruppo pronunciato dal mitico John Peel.
Per l’occasione, in segno di ribellione al sistema, scelgono un nome che è tutto un programma: Ornament und Verbrechen (Ornamento & Crimine), diretta citazione del famoso saggio dell’architetto austriaco Adolf Loos, uno dei padri dell’architettura moderna, che si era scagliato contro gli inutili orpelli sia nell’architettura che nel design e nella moda. Un sogno, da questa parte del Muro dove non ci sono negozi di dischi né concerti, quello di essere annunciati con un nome così: ma senza coltivare l’impossibile e l’irrealizzabile, che vita sarebbe? Quel lungo serpente di calcestruzzo armato lungo 155 chilometri viene innalzato dal governo della Germania est per circondare la parte occidentale della città, e soprattutto per impedire che le persone scappino dall’altra parte, a ovest, verso un mondo corrotto dal capitalismo occidentale.
I fratelli e le sorelle che stavano in quella specie di cocoon che era diventata Berlino ovest, però, sembravano divertirsi: teatro, poesia, musica rock e sesso libertino. E perché quelli che stanno da questa parte, a est, in un mondo che dovrebbe essere più giusto per tutti, non possono fare lo stesso? Le storie che si raccontano sanno di “altro mondo”, un mondo proibito, che diventa un’ossessione. Ci sono artisti e musicisti che arrivano a Berlino ovest addirittura dall’America o dall’Inghilterra, e si perdono nel ventre povero ma sexy di una città in tumulto. Come David Bowie, che si trasferisce lì da Los Angeles insieme all’amico Iggy Pop per sperimentare una nuova forma di rock dando vita alla celebre “trilogia berlinese”, forse il punto più alto della sua ricchissima produzione musicale. O come l’australiano Nick Cave, che fonde la sua personalissima miscela di blues e punk con il rumorismo dada di Blixa Bargeld, leader degli Einstürzende Neubauten, la band nata nel 1980 tra le macerie postbelliche. E dall’altra parte del muro?
Berlino, interno giorno, oggi. Busso al campanello di un elegante stabile nel cuore di Prenzlauer Berg, quella che una volta era Berlino est. Ronald Lippok mi accoglie calorosamente, elegantissimo, stivaletto di pelle nera a punta, occhi intelligentissimi. Ci eravamo incontrati la prima volta nel 2014, in una vecchia enoteca dall’altra parte della piazza mentre raccoglievo storie per “City Blues” (Edt, 2016), il libro sul suono delle città. Nonostante gli anni passati Ronald sembra in formissima.
Gli dico che sono tornato a Berlino per raccontare com’era la vita di un giovane appassionato di rock nella ex Ddr. Prima di rispondere stappa una bottiglia di vino e mi chiede se può fumare. Si lascia cadere sul divanetto basso ed è pronto a riaprire lo scrigno dei ricordi di un passato che non ha mai smesso di pulsare. “Ai tempi di Ornament und Verbrechen se volevi suonare dal vivo come band dovevi superare l’esame di una giuria. Ti controllavano i testi, il materiale, e poi, eventualmente, ti davano il permesso”, sussurra cauto. Serissimo. “E voi l’avete fatto?” gli chiedo curioso. Esplode all’improvviso in una risata amara: “Certo che no! Con un nome così era quasi impossibile ottenere la licenza, arrivava subito la polizia, i vigili del fuoco, persino la Stasi. Gli spettacoli improvvisati erano immediatamente interrotti. Noi ci scherzavamo sopra, quanti pezzi facciamo? Cinque? No, cazzo, meglio farne solo tre!”. Ride di gusto, perché evidentemente sapeva già allora che, nonostante i divieti, la musica avrebbe cambiato la sua vita. “Non voglio fare la parte del martire, ci siamo anche divertiti, ma è stato difficile perché non avevamo la possibilità di esprimerci. O, meglio, ce l’avevamo, ma rischiando grosso”.
In quegli stessi anni, dall’altra parte del Muro, l’ensemble rumorista fondato da Blixa Bargled si presentava sul palco percuotendo barili, lamiere e “suonando” martelli pneumatici. Anche quel progetto musicale aveva un nome curiosamente ispirato all’architettura: Einstürzende Neubauten, ovvero “nuove costruzioni che crollano”. Strizzava l’occhio all’architettura postbellica fatta con materiali scadenti e dal gusto estetico discutibile, e che crolla sotto il peso di un passato difficile da cancellare. Anche i due fratelli Lippok si costruivano gli strumenti con quello che trovavano: “Ascoltando i Sex Pistols avevamo capito che bastavano tre accordi per fare una canzone. Ma più avanti, grazie al post-punk, abbiamo realizzato che non servivano nemmeno gli strumenti tradizionali. Ci bastava una piccola tastiera Casio, un barattolo con dei mattoncini Lego come percussioni e un sassofono ricavato dalla marmitta di un motorino”. Sperimentazione totale, senza limiti creativi, nonostante quelli imposti dal regime: è questo che, anche a distanza di quasi quarant’anni, fa risuonare piena di vita la musica di questi due alieni vissuti in un pianeta davvero lontano dal sistema musicale mainstream.
“Nella Ddr non avevi nessuna possibilità di carriera nel mondo del pop. Pop e capitalismo vanno benissimo a braccetto: suoni, cerchi un’etichetta, vendi dischi”, si infervora Ronald accendendo un’altra sigaretta e riempiendo nuovamente i calici. “Ma il nostro non avere alcuna possibilità ci ha resi liberi. Nella Ddr non c’era nessuna possibilità di fare musica commerciale, per gente underground come noi”. Scalcia in aria, si alza, si risiede, accende un’altra sigaretta: è emozionante ascoltare come lui stesso senta sulla sua pelle quegli anni di sperimentazione nascosti nella cantine, senza alcuna voglia di combattere il sistema, ma con il semplice e vitale desiderio di creare, di dare sfogo alla propria creatività. “Volevamo essere liberi. Il prezzo era alto, lo so: non poter suonare in pubblico, non poter fare dischi, non poter andare in tour. Ma eravamo liberi”. Ornament und Verbrechen, nonostante tutto, diventa la band sconosciuta più famosa della Germania est. L’altra metà della storia me la faccio raccontare da suo fratello Robert, che a differenza di Ronald, contrario a Whatsapp, social e persino email, mi dà appuntamento via Instagram in un piccolo caffè nel cuore di Mitte, il centro del centro di Berlino. Lavora molto per il teatro, ed è appena tornato da una performance ai Cantieri culturali della Zisa di Palermo. Lo prendo in giro perché ci ritroviamo ancora in quella che una volta era Berlino est, lui sorride e borbotta che è stato in esilio solo per poco a Berlino ovest, ma che poi è finalmente tornato a “casa”.
Il locale è un buco minuscolo con musica alta e soprattutto tutti fumano come dannati, faccio un po’ di fatica perché, a differenza di suo fratello, Robert parla con un filo di voce. Ma è spiritoso e brillante, e mi racconta di quando, a un certo punto, decide di scappare a ovest con la scusa di un matrimonio in realtà mai avvenuto. Al confine gli avevano detto “dimentichi la sua famiglia, non potrà mai più tornare indietro”, e oggi ridacchia ripensando a quel giovane in lacrime pronto a perdere tutto per conquistare la libertà. Però si fa serio all’improvviso: “I miei genitori sostenevano la mia scelta ma noi siamo una famiglia molto unita. Separarsi dal proprio fratello è stato come tagliarsi un braccio”. Per fortuna la storia ha un risvolto divertente: “Il 9 novembre 1989 ero nel mio bar preferito, lo storico Café M, vedo passare un amico di Berlino est che mi dice semplicemente che il Muro è caduto. Un fulmine mi trafigge. Mi metto a correre verso casa, che era a cinque minuti da lì, e quando arrivo trovo i miei e Ronald che mi aspettano davanti alla porta. Arrivati a bordo di una Trabant! Uno shock!”. Il compagno Michail Gorbaciov, l’ultimo segretario del Partito comunista sovietico, accetta l’invito del cowboy Ronald Reagan (“Tear down this wall!”) e all’improvviso, in un attimo, il castello di carte del regime si sfalda e fortunatamente il mondo – nonostante qualcuno pensi ancora il contrario – prende un’altra direzione. Più libera. Pur non muovendosi mai dalla casa dove hanno vissuto con i genitori e perfino i nonni arrivati lì dalla Polonia, i due Lippok sono finalmente di nuovo insieme, e ricominciano a creare musica. Incontrano per caso Stefan Schneider, il giovane talentuoso bassista dei Kreidler, una band di post-rock ed elettronica di Düsseldorf, e gli chiedono di unirsi a loro per una performance elettro-acustica alla Galerie Weisser Elefant nell’aprile 1995. L’idea di Robert è di collegare un computer Atari che aziona tre trapani che fanno girare altrettanti giradischi – in avanti e indietro – per creare dei loop sonori stratificati. Ronald, appassionato di esoterismo, propone il titolo palindromo “To Rococo Rot”, trovato su un vecchio libretto inglese, e la gente, che sembra apprezzare, pensa che il gruppo si chiami proprio così. Anche Stefan Schneider sorride di fronte a quella scelta bizzarra: “Pensavo che il nome della band fosse troppo complicato, ma ho dovuto imparare a scendere a compromessi”, mi racconta via email.
L’evento va così bene che viene proposto ai tre di pubblicare un disco a nome To Rococo Rot, che esce nello stesso anno. Il suono del trio prende forma immediatamente, e gli incastri sonori di ognuno dei componenti diventano, magicamente, qualcosa di mai sentito prima: in certi momenti somigliano ai Kraftwerk, la storica band di krautrock di Düsseldorf, ma loro suonano strumenti acustici; il pulsare ossessivo del basso di Schneider sembra provenire dal post-punk dei Joy Division, ma l’assenza della voce e delle melodie, e il ritmo circolare della batteria di Ronald Lippok, sembrano arrivare direttamente dal Mali. Mescolando musica elettronica, acustica, ambient e krautrock, inventano un suono che, ha scritto Pitchfork, è “inconfondibilmente digitale, ma al 100 per cento umano”. Dopo la caduta del Muro i tre cominciano a viaggiare e suonare ovunque, persino in Italia. “Per me è stato un sollievo, non mi manca niente dell’epoca di Berlino est”, sospira serio Ronald prima di salutarci, “ora sono libero. Di andare dove voglio e di suonare con chi voglio. E questa è una grande grande differenza”.
E come in un sogno costruito a occhi aperti, ogni giorno, instancabilmente, nel 1997 vengono chiamati proprio da John Peel, l’uomo la cui voce ha cambiato il loro destino – e quello di milioni di altri ragazzi e ragazze – che gli chiede di andare a registrare nel ’97 e nel ’99 a Londra e Liverpool, per la trasmissione radio della Bbc. L’emozione dei ragazzi è impossibile da descrivere a parole. “Sei ancora un adolescente a Berlino est”, ha detto Robert Lippok, “sbatti le palpebre due volte e ti ritrovi faccia a faccia con la persona che ti ha inviato un messaggio in una bottiglia da un’altra vita, dalla vita reale”. La cosa più straordinaria di questa storia che ha comunque ben poco di ordinario è che, dopo una decina di dischi come To Rococo Rot, collaborazioni e progetti solisti – Robert fa musica per il teatro, Ronald fonda i Tarwater, in cui suona batteria e canta, Stefan torna a vivere a Düsseldorf e crea l’etichetta di musica sperimentale Tal Music – qualcuno tira fuori da un cassetto della memoria quelle registrazioni, pubblicate di recente per l’etichetta Bureau B di Amburgo. Nella foto in copertina i ragazzi, sbarbati e in maglietta e gilet, sembrano davvero provenire da un altro mondo. Ma ancor più commovente è ascoltare la prima traccia di soli 28 secondi, in cui il mitico John Peel – scomparso all’improvviso nel 2004 – gli chiede quale sia la corretta pronuncia di quel cazzo di nome. Robert, l’unico col microfono, gli dice che sfortunatamente non ce n’è una ufficiale, e così Peel, bonariamente, li presenta al mondo come Torococorot, velocissimo, come un fulmine che squassa l’etere. E si riverbera all’infinito, libero come il vento.