Carlo Bonomi (Ansa)

specificità italiane

Non solo Bonomi e Fabbri: ecco le lauree misteriose o millantate che scatenano le polemiche

Maurizio Stefanini

Capire chi ha davvero quel pezzo di carta e chi no sta diventando difficile come imbroccare il classico “13”. Mentre gli universitari in Italia scarseggiano

Mentre 7 milioni di studenti italiani tornano a scuola per la riapertura dopo le vacanze estive, impazza un bizzarro toto-laurea. Sia nel senso che sta diventando difficile come imbroccare il classico “13” capire chi la ha davvero e chi no; sia nel senso che vi sono veramente toni da film comico, “Totò e la laurea”. Ideale sequel di “Totò e i re di Roma”, film del 1951 liberamente ispirato a Cechov. Ma allora a mancare era solo la licenza elementare di un archivista capo in un ministero.

Adesso, invece, addirittura sul presidente di Confindustria Carlo Bonomi è saltato fuori che non aveva la laurea in Economia e Commercio citata sia in un profilo di Wikipedia che è stato subito corretto; sia in un “dott.” premesso dal sito della Bocconi al suo nome tra i membri del Consiglio di amministrazione. E la mancanza adesso impedisce la sua nomina a presidente del Cda della Luiss: a meno che non provi come l’Ercole Pappalardo-Totò del film di Steno a fare un esame ad hoc. Al rischio di imbattersi anche lui in un esaminatore carogna stile il maestro Palocco-Alberto Sordi? 

 

Viceversa, “ha ben tre lauree” il generale Roberto Vannacci: risposta data spesso dai suoi fan a chi obietta sul tono generale, “da Bar Sport”, delle sue argomentazioni. Per non parlare della stroncatura del linguista  Massimo Arcangeli, ex preside della facoltà di Lingue e Letterature straniere presso l’Università degli Studi di Cagliari: “Errori d’ortografia, fonti non citate, refusi e riferimenti non contestualizzati”. In realtà, come ha fatto presente il ministro della Difesa Guido Crosetto, il problema non sono quelle idee o il modo di esporle, ma il fatto che vengano da un militare in servizio. Il che avrebbe reso “Il mondo al contrario” discutibile anche se avesse detto cose opposte e con stile inappuntabile. Un fact checker ha osservato che se non vengono rese note né date, né votazioni, né titoli della tesi, né relatori, dovrebbe indicare che le due lauree italiane sarebbero state concesse ope legis sulla base di facilitazioni concesse per convertire gli studi in Accademia militare. Resta il mistero sulla laurea romena. 

 

Ma anche qui, forse, il punto è un altro. Vannacci infatti ha evidentemente competenza in un campo militare di cui il suo libro non parla per niente, per soffermarsi invece su una quantità di altri campi in cui il generale non ha competenze specifiche. E’ ammissibile per i giornalisti, di cui Indro Montanelli diceva che “spiegano agli altri quello che loro stessi non hanno capito”. Ma anche in quel caso, in articoli piuttosto che in libri. Per altri profili, dovrebbe in teoria valere sempre la stroncatura con cui Raymond Aron rispose a chi criticava il suo libro sul comunismo come “oppio degli intellettuali”. “Ma se perfino un grande pittore come Pablo Picasso è comunista?”. “Le opinioni di Pablo Picasso resteranno nella storia del pensiero politico esattamente come i miei disegni resteranno nella storia dell’arte”. 

Imperversano invece gli esperti di chiara fama in un settore, che in quanto tali vengono chiamati a commentare su tutto. Da cui sfondoni epici come quello di Luciano Canfora. Grandissimo classicista, ed erudito di classe sopraffina quando smonta la storia del “Papiro di Artemidoro” sulla base di una coltissima analisi del tipo di greco impiegato: rivelatore di un modo di pensare da XIX secolo, piuttosto che da tempi pre-cristiani. E poi, la stessa persona, da bocciatura stile Pappalardo-Totò, quando se ne esce che nel 1978 i comunisti in Afghanistan sarebbero andati al potere “con libere elezioni”, piuttosto che con quella che gli stessi comunisti afghani chiamarono “Rivoluzione di saur”. Il golpe del 27 aprile 1978, 7 saur 1367 nel calendario locale: iniziato alle 9 del mattino con spari; culminato tra le 13 e le 14 con una battaglia tra carri armati ribelli e carri armati fedeli al presidente Daud davanti al Palazzo reale; risolto alle 15 con un bombardamento di Mig di cui c’è il dubbio che fossero sovietici; e concluso alle 19.30 con l’annuncio di Radio Kabul della presa del potere da parte del generale Abdul Qadir (l’autore di queste note ha firmato sulla storia afghana un libro e inviterebbe Canfora a scorrrerlo prima di parlarne, con la stessa attenzione con cui lui studiò i suoi scritti sul Papiro di Artemidoro prima di scriverne…). 

Tra Bonomi che la laurea non ce l’ha ma siede in consigli d’amministrazione come se l’avesse e Vannacci che ne ha tre ma scrive come se non ne avesse, c’è poi il caso di Dario Fabbri. Analista di geopolitica divenuto una delle figure più presenti su schermi e testate con la crisi in Ucraina, il dubbio sul suo titolo di studio è diventato l’equivalente del manzoniano-shakespeariano “spettro di Banquo per Macbeth” per Riccardo Puglisi: docente di Scienza delle finanze dell’Università degli Studi di Pavia, che via X ha chiesto non se abbia una laurea – “parto dal presupposto che ce l’abbia”, ha spiegato in una intervista – ma “dove e quando si è laureato”. “Perché appaiono molti curriculum online, Wikipedia incluso, dove Fabbri è definito come laureato in Scienze politiche? Qual è il percorso precedente di una personalità che di frequente è ospite di programmi tv?”. 

 

Il problema appare specificamente italiano, nel senso che all’estero piuttosto che ostentare o far intuire titoli che non si hanno si tende ad acquisirli con tesi copiate. Una volta scoperti, sono stati costretti alle dimissioni il primo marzo 2011 il ministro della Difesa tedesco Karl-Theodor zu Guttenberg; il 2 aprile 2012 il presidente ungherese Pál Schmitt; il 19 maggio 2021 la ministra della Famiglia, degli Anziani, delle Donne e della Gioventù tedesca Franziska Giffey. Quest’ultima divenne però poco dopo sindaco di Berlino; così come Joseph Biden è diventato presidente degli Stati Uniti, dopo che nel 1988 era stato costretto a lasciare la corsa presidenziale perché era saltato fuori sia che era stato escluso da un corso universitario in quanto sorpreso a copiare, sia che infarciva i suoi discorsi con interi periodi da quelli del leader laburista inglese Neil Kinnock e di Robert Kennedy; così come Vladimir Putin è presidente russo anche se copiò la sua tesi di dottorato del 1997 da un testo dell’Università di Pittsburgh di vent’anni prima. In Italia ci fu giusto Marco Pannella a confessare che, già impegnatissimo tra politica e giornalismo, si era fatto scrivere una tesi sull’articolo 7 della Costituzione “da alcuni amici, un capitolo ciascuno. Io non l’avevo neanche letta tutta”. Però poi a Urbino la discusse quattro ore con 11 professori, e si laureò con 66. Il minimo. 

 

Un altro economista, Luigi Zingales, dopo aver fondato con Oscar Giannino il 16 agosto 2012 “Fare per fermare il declino”, il 18 febbraio 2013 lasciò il partito denunciando che l’allora candidato alla presidenza del Consiglio avrebbe mentito sulle proprie credenziali accademiche. In particolare su un master che, secondo alcuni curricula e secondo sue dirette affermazioni, avrebbe ottenuto alla Booth School of Business dell’Università di Chicago, presso cui insegna lo stesso Zingales. Dopo aver confessato di non detenere né il master né le due lauree, spiegando la vicenda come un equivoco, Giannino il 20 febbraio 2013 annunciò le sue dimissioni da presidente di Fare, a favore di Silvia Enrico. Contraccolpo ovviamente devastante, visto che si votava il 25. L’autore di queste note da quella vicenda fu toccato marginalmente, nel senso che risaltò una sua intervista proprio per il Foglio, in cui Giannino gli raccontava di aver partecipato allo Zecchino d’Oro, sotto un altro nome. Come fu pure chiarito, vi aveva in effetti partecipato; ma col suo nome, alle selezioni generali, e senza arrivare alla fase finale.  

 

Una polemica simile ha riguardato Giorgia Meloni, per il contrasto tra il sito web della Camera in cui risultava aver conseguito la maturità linguistica, e quello del Comune quando si candidò a Roma dove si parla di istituto tecnico. Lei stessa ha poi chiarito che voleva fare il liceo linguistico, ma siccome allora era solo privato si iscrisse a un istituto professionale per il turismo sperimentale che conferiva lo stesso una maturità linguistica. Comunque prese 60, e le lingue ha dimostrato di conoscerle molto meglio della media dei politici italiani. 

 

Tornando a Puglisi, dice che Fabbri non risponde, e anzi non risulta neanche tra gli iscritti all’Ordine dei giornalisti. Ha dunque insistito lui a colpi di Pec presso la Luiss, proprio in nome di una attività di fact checking che dice di portare avanti accanto a insegnamento, ricerca e divulgazione. Per conto di Fabbri ha risposto Enrico Mentana: “buttandola in politica”, avrebbe commentato Guareschi. “Non gli ho chiesto se fosse laureato, e io stesso non sono laureato”. E poi: “Senza fare improponibili paragoni, il più grande divulgatore scientifico, e primo animatore debunking antibufale, Piero Angela, non era laureato. E il figlio Alberto, nel raccoglierne il testimone, ha scelto nella squadra del suo programma proprio Fabbri per il settore geopolitico”.

E da qui un altro filone di polemiche ancora, visto che tutte le statistiche disponibili ci indicano come un paese con meno titoli di studio rispetto alla media europea. In Italia, ad esempio, quasi il 20 per cento dei giovani tra i 15 e i 19 anni non studia e non ha un lavoro: il dato peggiore di tutta l’Ue insieme a quello della Romania. Italia e Romania sono inoltre appaiate, oltre che per aver dato lauree a Vannacci, anche per stare in fondo alla classifica europea nei numeri che riguardano l’istruzione terziaria: quella successiva al completamento dell’istruzione secondaria, e che più comunemente viene chiamata istruzione universitaria. 
Secondo Eurostat, nel 2021 nei 27 paesi Ue era iscritto all’università il 36,1 per cento dei giovani tra i 20 e i 24 anni. Il 23,1 per cento era iscritto a un corso triennale o equivalente, il 10,6 a un corso magistrale o equivalente e il 2,2 per cento a corsi a ciclo breve che hanno l’obiettivo di fornire competenze tecniche specifiche per determinati settori. L’equivalente italiano di questi corsi sono gli Istituti tecnici superiori (Its), che fanno parte della formazione terziaria non universitaria.

 

Considerando solo i corsi triennali e magistrali, la Grecia è il paese con più iscritti nella fascia tra i 20 e i 24 anni, con il 46 per cento, seguita da Paesi Bassi (42 per cento) e Slovenia (41 per cento). L’Italia è poco sopra la media europea con il 34,8 per cento, davanti a Germania (32,5 per cento), Spagna (31 per cento) e Francia (30,8 per cento). Questi ultimi due paesi hanno però un’alta quota di iscritti ai corsi a ciclo breve: sono il 9,2 per cento in Spagna e il 4,8 per cento in Francia.  Comunque tra i giovani è meglio che nella popolazione tra i 25 e i 64 anni, dove la media Ue di chi ha ottenuto un titolo dell’istruzione terziaria è del 34,3 per cento. Mentre in Irlanda e Lussemburgo la percentuale supera il 50, con Svezia, Cipro, Lituania e Belgio tra il 45 e il 50, Francia e Spagna tra il 41 e il 42 per cento e la Germania al 32,3 per cento, in Italia stiamo al 20,3. Appunto, davanti solo al 19,7 per cento della Romania. 

 

Il messaggio “è inutile che vi laureate, tanto potete avere successo lo stesso” può dunque sembrare pericoloso. Messo in un più diplomatico “la laurea è importante ma si può avere successo anche senza”, descrive la situazione. “I professori insegnavano male” era la spiegazione che Piero Angela dava al perché non aveva preso il titolo, e aveva invece dedicato la vita a far capire le cose al prossimo. Anche Benedetto Croce si autodefiniva scherzosamente “accademico di nulla accademia”, visto che aveva frequentato Giurisprudenza senza laurearsi. Però come filosofo, storico e critico letterario era lo stesso diventato il più grande pensatore dell’Italia di primo ’900, oltre che senatore e ministro della Pubblica istruzione. Nel 1943 aveva rifondato il Partito liberale italiano assieme a Luigi Einaudi, a cui pure lo aveva contrapposto una famosa polemica se liberalismo politico e liberismo economico debbano essere o no indissolubili. E Einaudi era invece laureato, fu anzi docente universitario e Magnifico Rettore. Però era economista dopo aver studiato Giurisprudenza, dal momento che le facoltà di Economia in Italia furono istituite solo nel 1936. Così come aveva fatto Giurisprudenza Franco Modigliani, l’unico Nobel per l’Economia italiano. 
Nobel per la Letteratura e a sua volta senatore a vita fu poi Eugenio Montale, che come titolo di studio formale era ragioniere.

“Siete poeti? Non laureatevi. Montale è un grandissimo poeta lo stesso”, scrisse infatti come provocazione Umberto Eco in “Come si fa una tesi di laurea”. In realtà poi di lauree ne ebbe tre, ma honoris causa. Come Guglielmo Marconi: inventore della radio a 21 anni (pur con la polemica ancora in corso se avesse rubato idee a Nikola Tesla); laurea in Ingegneria honoris causa a 28; Nobel per la Fisica a 35. Non è una cosa solo italiana.  Mark Zuckerberg, Steve Jobs e Bill Gates sono tre geni Usa della Silicon Valley, tutti senza laurea. Zuckerberg Facebook la inventò proprio al suo primo anno ad Harvard, ma visto il successo l’anno successivo preferì lasciare l’ateneo, per dedicarsi alla sua creatura. 

Ma qui si può forse fare una considerazione più generale: l’Università serve a tramandare il sapere già acquisito. Dà anche un metodo, può stimolare la ricerca, ma se qualcuno inventa qualcosa di completamente nuovo magari proprio gli schemi ereditati dal passato possono rappresentare ostacoli da rimuovere. La cosa è abbastanza lampante per Leonardo da Vinci, che essendo figlio illegittimo non ebbe il percorso di studi formale e prettamente umanistico-filosofico della sua epoca. Scriveva infatti in italiano, proprio perché il latino non lo maneggiava. Ma così divenne un grande inventore, piuttosto che un grande erudito. Un Leonardo, e non un Pico della Mirandola. Allo stesso modo, non laureati inventarono il parafulmine, le pinne, il contachilometri, le lenti bifocali  e l’armonica a bicchieri; Benjamin Franklin, anche se le ebbe poi a sua volta honoris causa. La gabbia di Faraday e il becco di Bunsen, oltre a scoprire le leggi di Faraday dell’elettrochimica, l’elettrolisi, il diamagnetismo e l’effetto Faraday: appunto Michael Faraday, anche se in compenso ebbe una cattedra e oltre che a leggi ed effetti ha dato il suo nome a una unità di misura e a un cratere. La vulcanizzazione della gomma: Charles Goodyear. A teorizzare l’evoluzione: Charles Darwin e Thomas Henry Huxley. A fondare la genetica: Gregor Mendel. A inventare il fonografo e la lampadina: Thomas Edison, ma in tutto i suoi brevetti furono 1093. A rivoluzionare la paleontologia: Richard Leakey. Louis Pasteur, creatore della Medicina moderna, era in compenso professore universitario. Ma di Fisica e Chimica!

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