L'intervista
Bloccare la pubertà? Prudenza, dice lo psicoanalista Thanopulos
“I miei colleghi che lavorano con gli adolescenti non hanno mai sentito l’esigenza di ricorrere a farmaci per affrontare le ansie identitarie. I farmaci non curano i problemi esistenziali”, dice il presidente della Società Italiana di psicoanalisi
Gli analisti “non possono restare in silenzio davanti a situazioni che reputano dannose per i cittadini, in particolare i bambini: in gravi circostanze, senza clamore, facendo ricorso al loro sapere, con animo ben misurato, gli analisti devono dire la loro. È un dovere etico”. Lo dice Sarantis Thanopulos, greco, arrivato diciannovenne in Italia nel 1971, medico e psicoanalista, dal 2020 presidente della Società Italiana di Psicoanalisi e autore di numerosi saggi pubblicati da Quodlibet, oltre che collaboratore del Manifesto. Thanopulos pensa che certi campi minati, come il tema dei farmaci bloccanti della pubertà nei preadolescenti, vadano attraversati. Ha molto apprezzato l’intervista alla filosofa Adriana Cavarero sulle questioni della differenza sessuale, dell’identità di genere e del linguaggio (sul Foglio del 16 agosto), al punto di ripubblicarla il 4 settembre sul sito della Spi, con una sua introduzione che la proponeva a tutti gli iscritti perché “affronta il tema in modo lucido, profondo e coraggiosamente estraneo alle mode di pensiero che hanno trasformato un campo del sapere critico in un terreno di scontro mistificante e sterile abitato da opposte ideologie”. E la Spi, che dal 1936 fa parte dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale fondata nel 1910 da Freud, si è riunita la settimana successiva a Milano per affrontare i temi su cui Thanopulos ha accettato di dialogare con noi.
Professore, è in atto uno scontro politico molto polarizzato… "È successo un putiferio quando, lo scorso gennaio, ho scritto alla presidente del Consiglio, al ministro della Salute e all’Aifa per proporre un dibattito scientifico sull’uso dei bloccanti della pubertà”. Invece del dibattito scientifico sono arrivate cannonate, con lo psicoanalista Vittorio Lingiardi che ha lanciato accuse di ideologia e falsa scienza su Repubblica. “Ha sbagliato a leggere il comunicato – spiega Thanopulos. Noi ci riferivamo a preadolescenti e bloccanti della pubertà, ci ha risposto parlando di adolescenti e di trattamenti ormonali per la transizione, cosa ben diversa. Ho chiesto di rettificare, non lo hanno fatto, ho lasciato perdere”. Nella lettera al governo, gli psicoanalisti della Spi (medici chirurghi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, psicologi e psicoterapeuti) esprimevano ragionevoli perplessità, spiega Thanopulos: “Come fai a bloccare la pubertà in attesa che venga accettata la trasformazione identitaria? Se blocchi la pubertà blocchi precisamente la formazione dell’identità. Inoltre, solo una minima parte dei preadolescenti conferma un’identità transgender dopo la pubertà. Come si fa a somministrare una terapia così pesante con una diagnosi così incerta?”. L’uso dei bloccanti della pubertà nei bambini è una questione ancor più rilevante dopo la pandemia: “Ci allarma l’aumento delle difficoltà identitarie, che pure ci sono sempre state perché fanno parte del percorso dell’infanzia e dell’adolescenza, fenomeni naturali che solo con lo sviluppo sfociano in una identità più definita. Ma lo sviluppo deve avvenire: guai a intervenire a gamba tesa in processi così delicati. Ai bambini non può essere imposta un’identità prima che l’abbiano scelta veramente, e gli adolescenti hanno una necessità vitale di spazio e tempo per decidere serenamente la loro. Oggi, al contrario, assistiamo a una progressiva medicalizzazione dello spazio psichico, cerchiamo una soluzione medica per ogni problema, distorcendo i processi evolutivi e di elaborazione dell’esperienza. Ma i farmaci non risolvono problemi esistenziali. Si vuole come cura la pura eliminazione del dolore, come se la vita consistesse nell’assenza del dolore. Ma l’assenza del dolore è la morte”. E i quasi mille soci della Spi sono d’accordo con lei? “Dei temi legati all’identità sessuale noi discutiamo molto, e profondamente, su un piano scientifico”.
L’argomentazione principale di chi promuove i bloccanti della pubertà è che altrimenti i ragazzi si suicidano. “Non esistono dati scientifici credibili, solo supposizioni interessate – dice Thanopulos – È molto più ragionevole ed efficace un lavoro di accettazione del processo evolutivo, una psicoterapia che aiuti a affrontare paure, ansie, fantasmi che agitano i preadolescenti quando appare la sessualizzazione del corpo. I miei colleghi che lavorano con gli adolescenti non hanno mai sentito l’esigenza di ricorrere a farmaci per affrontare le ansie identitarie”. Ma se una ragazza non si riconosce nel proprio corpo, che si può fare? Molti genitori temono che, se le figlie giovanissime si rivolgono ai consultori dedicati, vengano messe su una strada che può finire con ormoni e chirurgia, e senza una vera psicoterapia. Non sanno come proteggerle, vengono accusati di negare la disforia delle figlie, ma forse temono scelte irreversibili compiute senza sufficiente maturità. “Una adolescente deve fare un percorso molto personale e libero per capire chi è. Che un essere umano non sia d’accordo con il proprio corpo fa parte della vita, a quella scelta bisogna dare tempo, e a volte, in quel tempo, si confermerà, altre volte no. Nei preadolescenti la percezione disforica di sé si conferma solo in piccola parte”.
Terzo sesso, sessualità queer, sono nuove forme della sessualità? Gli psicoanalisti hanno una risposta? “Intanto lasciamo fuori l’omosessualità, una delle due correnti naturali del desiderio sessuale che si co-costituisce con l’altra corrente, quella eterosessuale. Il terzo sesso non esiste, sono solo due, l’ermafroditismo è mescolanza di maschile e femminile. Quando parliamo di nuove forme della sessualità non parliamo di possibilità di espansione del piacere ma del fatto che, di fronte a certe situazioni difficili, ma non proibitive, troviamo delle soluzioni che permettono all’eros di vivere. Sono compromessi per convivere con i propri limiti, ma non cambiano il modo di definire gli esseri umani e la differenza fra i due sessi, che poi può essere vissuta in modi molteplici, in tante combinazioni”. Di quali limiti parla? “Quelli di tutti. Chi di noi può dire di avere una sessualità perfettamente compiuta? Parliamo, più specificamente, delle persone in cui il sesso biologico e il sesso psichico non si accordano. È del tutto legittimo sentirsi diversi dal proprio sesso biologico. Altrettanto lo è dire, senza offesa né mancanza di rispetto, che questo crea una evidente difficoltà a realizzare in modo soddisfacente la sessualità”. Si dice che l’accordo fra psiche e biologia non può essere imposto, né dato per scontato. Ma, se anche la biologia non è un destino, di certo conta. “Certo che nel piacere sessuale la biologia conta, non potrebbe essere altrimenti. Se la soggettività non si accorda con la biologia, si crea un limite alla soddisfazione sessuale. Però la persona a cui accade può fare uso della bisessualità di origine psichica del nostro corpo. Il legame fra psiche (desideri, emozioni, pensieri con cui diamo senso alla nostra esistenza) e corpo crea un ‘corpo erotico’ che non è di natura biologica ma sensuale, pulsionale, e ha una componente sia maschile sia femminile. Se sono nato con un corpo di uomo e mi sento una donna, certo ho perso molto sul piano dell’appagamento sessuale, però in un amplesso posso provare sensazioni che attivano la parte femminile di me. Ecco perché molte persone transessuali preferiscono non rinunciare ai genitali: conservano un corpo integro accettando che c’è un limite, e possono avere una sessualità senza operarsi, elaborando il lutto di non avere avuto il corpo biologico sognato”. Professore, la avverto: lei verrà accusato di transfobia e come minimo di essere nazista, e pure io, per aver riportato le sue parole. “È importante discuterne dal punto di vista della libertà del pensiero: dobbiamo resistere e combattere. Per quel che riguarda la singola persona disforica, nessuno può dire che, se vuole un simulacro di corpo del sesso opposto, non può averlo: nel suo mondo interno ciò ha un suo senso, e lo rispetto. Ma gli analisti sottolineano che questo fenomeno, visto sul piano generale e non sul piano del singolo individuo, assoggetta all’immagine il nostro rapporto con la realtà. Il corpo fisico e sessuale di una donna non è quello ottenuto con l’intervento chirurgico e ormonale. Sono corpi diversi. La differenza deve essere riconosciuta perché altrimenti perdiamo la distinzione fra fantasia e realtà”. Per aver detto questo J. K. Rowling, l’autrice di Harry Potter, viene minacciata di morte ogni giorno. “Non dobbiamo temere i fanatici. Rowling ha completamente ragione. Non è violento e nazista dire che non si può ridurre la realtà ad artificio. Non considero una donna trans uguale a una donna che non è trans. Pari sul piano dei diritti civili sì, ma uguali nella costituzione no. È preoccupante che certe ideologie diventino imposizioni e perdipiù si vogliano affermare, contro il pensiero critico, per vie legislative. Sostenere che il simulacro è equivalente a ciò che imita fa comodo a chi ha interesse alla neutralizzazione e alla spersonalizzazione dell’essere umano. Equiparare la realtà artificiale a quella naturale è sintomo di una malattia della nostra società. E le persone transessuali ci vanno di mezzo, perché la stragrande maggioranza di loro non ha nulla da guadagnare dalla falsificazione di una esperienza umana che ha il suo posto nel mondo esattamente per quello che è, e come tale va riconosciuta ed è degna di grande rispetto”.
Il discorso sulla sessualità è diventato molto confuso, come se si teorizzasse un relativismo estremo che tende al paradosso per cui ogni essere umano ha una sessualità diversa dall’altro, misteriosa e incomprensibile agli altri. “Fra i giovani la sessualità sta diventando molto problematica, lo vediamo nell’esperienza clinica. Tutte le forme di sensualità e di creatività sono impoverite, va scemando la capacità di vivere la sessualità come un’esperienza piena, in cui niente di noi resta fuori a guardare. Un disastro, perché la sessualità è al centro dell’esperienza umana”. Come ci siamo arrivati? “La paura della vita si traduce in paura della sessualità e del coinvolgimento erotico profondo, che non significa solo l’amplesso. Tutte le esperienze culturali sono basate sulla sensualità, il godere di un quadro o di un panorama o di una sinfonia. Oggi si ha paura di vivere veramente. Inconsapevolmente ci si identifica con la morte psichica, ovvero con il non soffrire, non avere tensioni. In una società estremamente precaria, che quindi produce innumerevoli tensioni, quello che permette di scaricarle crea un mercato ricchissimo. Anche la creazione di una realtà artificiale ha un effetto rassicurante, anestetizzante, e si rivolge a chi sente di non poter più gestire il rapporto con la realtà vera, perché è diventata troppo imprevedibile e minacciosa. E’ una tendenza suicida, lo si vede dal comportamento collettivo di fronte alla catastrofe ambientale in cui siamo immersi. Non riusciamo ad affrontare questioni decisive per la sopravvivenza dell’umanità, non sappiamo prevenire e neppure, una volta accaduti gli eventi, procedere a una vera riparazione. Stiamo cercando continuamente possibilità di adattamento, finché il gioco ci sfuggirà di mano”. Va bene, ma che c’entra questo con la sessualità e con i bloccanti della pubertà? “C’entra moltissimo. Perché la costruzione di una vita artificiale è diventata un potente strumento di mercato, che trova un sostegno enorme e acritico nei media, nella comunicazione, nella cultura. In questo contesto cresce la possibilità che un preadolescente subisca un destino deciso e organizzato da noi, in linea con la tendenza a una mutazione antropologica che sta trasformando il nostro rapporto con il mondo e neutralizzando il femminile”. In che senso, professore? “La femminilità è la capacità di esporsi, di lasciarsi andare all’altro senza calcoli preventivi, ma questo oggi è difficile. Ci sentiamo vulnerabili e precari, quindi desiderare l’altro, abbandonarsi all’altro è percepito come insidioso, ed è sempre più forte la tentazione a trattenere l’altro dentro di sé, a ‘essere’ anche l’altro. Poiché in ognuno di noi vive anche il sesso opposto, la donna esposta alla violenza contro il suo desiderio è indotta a difendersi in questo modo inconscio: non sono solo una donna, mi appartiene anche il maschio, ce l’ho in me, non ho bisogno di incontrarlo fuori. Ne risulta un assetto psicocorporeo androgino, fondato sul modello erettile della sessualità maschile, sull’esibirsi invece di lasciarsi andare, sul controllare la situazione erotica invece di perdersi in essa. La capacità femminile di coinvolgimento sessuale profondo è fondamentale in ognuno di noi. Il maschio non può godere veramente senza l’attivazione della parte femminile di sé. Abbiamo perso la saggezza degli antichi greci che sapevano come le donne sul piano erotico sono più intense, profonde e significative: per loro l’orgasmo femminile era il paradigma dell’eros. Oggi, invece, tende a prevalere il paradigma idraulico maschile: eccitazione e scarica. La sessualità femminile è negata, repressa come non mai, e infatti sta sparendo l’orgasmo. Il che mette in discussione il piacere, il senso della vita e, alla fine, la vita stessa”.