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Il manierista sconosciuto. In mostra alla Galleria dell'Accademia
La riscoperta di Pier Francesco Foschi, pittore eccellente e dimenticato a cui la galleria fiorentina dedica la prima mostra monografica in Europa
Chissà se c’è del vero nella leggenda secondo cui il gran Vasari, eccelso nel suo tempo e per molto tempo a venire come gran catalogatore d’artisti, anzi biografo stesso dell’Arte, vivesse anche di più umane gelosie o preferenze. E se dunque l’assenza dall’indice generale delle sue Vite di un capitoletto, almeno, dedicato a Pier Francesco Foschi, pittore di chiara fama e che non mancò mai nelle più importanti committenze fiorentine della prima metà del Cinquecento (i Medici, i Pucci, i Torrigiani) fosse dovuta a un qualche fatto personale. A un po’ di invidia, magari, per l’incarico prestigioso che aveva ricevuto in uno dei più importanti cantieri religiosi fiorentini, la chiesa di Santo Spirito in Oltrarno, capolavoro di Brunelleschi in cui misero le mani in molti, da Filippo Lippi al Perugino. Pier Francesco di Jacopo di Sandro, poiché il padre pittore era stato allievo di Sandro Botticelli, aveva avuto la commissione di tre grandi pale d’altare, realizzate tra il 1540 e il 1545: quella dell’Immacolata Concezione, la splendida Resurrezione ora in mostra alla Galleria dell’Accademia, e un capolavoro di intensità e leggerezza alla maniera di Pontormo e di Rosso Fiorentino come la Trasfigurazione, splendente di restauro appena ultimato ma che dalla chiesa d’Oltrarno non è stata spostata. Ma sono appunto le uniche sue opere che Vasari si degna di segnalare. Solo dicerie, ovvio, ma di invidie e ripicche è piena la storia del Rinascimento, del resto Vasari liquidò Perugino come un mestierante che “faceva cose per guadagnare”.
Il suo giudizio di bravo professionista con poca anima pesò molto sul Verrocchio e una condanna a metà tra caratteriale e di gusto colpì anche Pontormo, che voleva “strafare e quasi sforzare la natura”. E la storia fiorentina è piena di litigi proseguiti per secoli persino sul filo della storia dell’arte, come racconta con arguzia un bel noir di recente uscita, Nero Fiorentino, in cui Luca Doninelli immagina che il ritrovamento di due inestimabili tavole su cui Brunelleschi aveva fissato le leggi della prospettiva scatena una serie di omicidi nella Firenze di oggi invasa dai turisti. Tutto questo è solo una curiosità aggiuntiva per avvicinarsi a una bella scoperta (almeno per il pubblico, il mondo degli storici dell’arte l’hanno già fatta da tempo) di questo “manierista misterioso”, o sconosciuto, di questo eccellente pittore fiorentino di cui per lunghi secoli s’era persa la memoria e un po’ anche le tracce delle sue opere sparse per il mondo. E a cui finalmente la Galleria dell’Accademia di Firenze dedica la prima mostra monografica in assoluto in Europa, “Pierfrancesco Foschi (1502 - 1567) – pittore fiorentino” (fino al 10 marzo 2024). Non però nel mondo, poiché la prima fu nel 2022 al Georgia Museum of Art di Athens, Georgia, col titolo “Wealth and Beauty: Pier Francesco Foschi and Painting in Renaissance Florence”. E la location lontana basta per far intuire la strana fortuna dell’artista: un pittore totalmente fiorentino, diventato uno conosciuto a casa sua e apprezzato invece all’estero.
Poco importa, la mostra all’Accademia appena inaugurata recupera il tempo perduto e offre un bel contributo alla storia dell’arte – anche concreto, con una lunga serie di restauri resi possibili dalla collaborazione tra il museo nazionale, il ministero e molti prestatori pubblici e privati – che è poi uno dei motivi per cui i musei pubblici esistono: il loro compito è che da una mostra si possa uscire avendo imparato qualcosa di nuovo. Ed è anche una nuova occasione per arricchire i tour fiorentini passando dalla Galleria, che è la casa di Michelangelo e della cui presenza non può fare a meno. Perciò il visitatore, che immaginiamo non distratto, deve prima alzare gli occhi e stupirsi sotto la mole possente del Ratto delle Sabine del Giambologna, sfilando poi con reverenza in mezzo ai Prigioni e inchinandosi alla maestà del David, può entrare infine nelle sale allestite in penombra dove sono esposte ben 46 opere del pittore fiorentino. Per la prima volta insieme, una scoperta affascinante.
Ma in questa faccenda del manierista sconosciuto, al di là delle fantasie romanzesche, Giorgio Vasari qualche responsabilità ce l’ha davvero. Nato nel 1502 in una famiglia di artisti, Foschi si era formato alla bottega di Andrea del Sarto, pittore “senza errori” (il solito Vasari) e nella top list di maestri con maggiore mercato e imitazioni per quasi un secolo. Già ventenne Pier Francesco è un artista affermato, lavora per i maggiori committenti. Fu scelto da Pontormo, assieme a Bronzino, tra gli aiuti per la decorazione della loggia della villa di Careggi e negli anni Quaranta, poco più che trentenne, l’incarico per le pale di Santo Spirito, una consacrazione. Infine dopo una lunga carriera, l’elezione tra i maestri fiorentini deputati a riformare l’antica Compagnia di San Luca nell’Accademia del Disegno, sicuro segno di omaggio e considerazione della società fiorentina. A spiegare perché sia stato poi dimenticato per molto tempo ci pensano Cecilie Hollberg, direttrice della Galleria dell’Accademia, che ha fortemente voluto questa mostra, “dando immediatamente fiducia”, racconta, a chi l’aveva proposta (qui è conservato il quadro che apre il percorso, la Sacra famiglia con San Giovannino) insieme allo storico dell’arte Carlo Falciani nel saggio che apre il catalogo (SilvanaEditoriale). Spiegano tra le altre cose perché nelle sue Vite il Vasari abbia trascurato il pittore, lui che fu sempre così attento agli equilibri interni al “sistema cittadino delle arti”. “Il voluto ridimensionamento di Foschi non è un caso isolato e rientra forse nel progetto di esaltazione di una via maestra delle arti fiorentine”, scrivono, che per Vasari si basava sull’equilibrio di elementi fiorentini e romani, Michelangelo e Raffaello”.
Nella sua costruzione ideale della storia dell’arte, quello è il culmine della “bella maniera” e le scelte un po’ arcaicizzanti che Foschi apprende dal suo maestro Andrea del Sarto, come poi le arditezze di Bronzino o Pontormo, non entravano nel suo canone. L’assenza di una biografia nelle Vite fu sicuramente uno dei motivi dell’oblio di Foschi, già poco dopo la morte. Anche lui, come del resto gli altri, dovettero aspettare il Novecento per essere riscoperti, per primo dal solito Roberto Longhi e poi da Antonio Pinelli, massimo esperto e tra i curatori dell’esposizione. Pontormo, Allori, Rosso, Bronzino sono da tempo nelle vette della considerazione critica e dell’attenzione del pubblico, anche grazie a importanti mostre. Ma a completare la ricostruzione di questa cerchia di artisti della Firenze del Cinquecento, che spesso lavoravano insieme, avvalendosi delle stesse botteghe artigiane specializzate per le cornici, i legnami, le terracotte e ogni arte “minore”, mancava la riscoperta di Foschi. Che nel 1539 lavorò anche alla realizzazione degli apparati effimeri allestiti per le nozze di Cosimo I con Eleonora di Toledo: professionismo a tutto tondo del Rinascimento italiano.
Ed è delizioso, nel catalogo, leggere come fosse un romanzo il racconto del percorso durato decenni di un protagonista, lo storico dell’arte emerito Antonio Pinelli, indiscusso precursore degli studi su Foschi. A partire dal suo incontro, ancora studente, con un esuberante Federico Zeri che lo accolse nella sua casa romana in vestaglia di seta nera con un grande drago rosso sulle spalle “che lo faceva sembrare un personaggio di un romanzo di Chandler”. Entusiasta e generoso, Zeri gli fece pubblicare un saggio dalla sua tesi nel 1967, in una rivista internazionale, prima ancora della laurea. La storia dell’arte italiana, persino in una città come Firenze di cui si conosce tutto, è piena di scoperte dovute non soltanto all’acribia degli studiosi e al mutamento del gusto, ma anche alla capacità di scoprire nessi e percorsi nascosti. I mille rivoli in cui l’arte passa e lascia il segno. È illuminante quel che racconta l’ispiratrice della mostra, la storica dell’arte Nelda Damiano, conservatrice di arte europea al Georgia Art Museum – che con Cecilia Hollberg, Pinelli, Elvira Altiero responsabile del dipartimento storico-artistico della Galleria dell’Accademia e lo storico dell’arte Simone Giordani ha curato la mostra. Racconta Nelda Damiano che la prima illuminazione per il nostro misconosciuto manierista le arrivò a Cleveland, Ohio, quando si trovò di fronte al magnifico Sacrificio di Isacco di Andrea del Sarto, così simile a un Sacrificio di Foschi conservato a Firenze (entrambi in mostra). Che ci fa qui? Quando, trasferitasi in Georgia, iniziò a lavorare all’esposizione su Foschi – gli americani, molto attenti, la intitolarono “Ricchezza e bellezza” – si rivolse all’Accademia di Firenze per il prestito della Sacra Famiglia, e propose l’idea della mostra. “Accompagnai il nostro Foschi ad Athens e fu un’esperienza inconsueta e di forte impatto, vedere ‘… Renaissance Florence’ su enormi cartelli pubblicitari con la foto del Ritratto di donna di Foschi del Museo Thyssen-Bornemisza a contrasto con le cime degli abeti di altezze vertiginose”, racconta Holland. Di intuizione in intuizione, ecco la mostra di oggi. Che è stata anche occasione, a questo servono le mostre, anche per una grande campagna di restauri e di prestiti internazionali.
Se ne esce avendo capito perché questo artista fosse molto amato tanto per le sue opere religiose – era appartenuto forse alla stessa cerchia vicina alla “riforma” spirituale fiorentina che aveva impresso all’arte una profonda intensità religiosa, dopo gli anni del classicismo paganeggiante anche nei soggetti d’altare, a un’arte che da Savonarola in poi sentiva il profumo della imminente Riforma protestante. Ma accanto a questi soggetti c’è tutto il raffinato lavoro di eccellente ritrattista ricercato della ricca committenza fiorentina. In mostra ci sono gioielli come il citato Ritratto di signora, del Thyssen-Bornemisza, l’intenso Ritratto di vedova (collezione privata) non a caso a lungo attribuito a Pontormo e un particolarissimo Ritratto di un giovane uomo che intreccia una corona di fiori, soggetto rarissimo, forse un omaggio di fidanzamento, conservato allo Utah Museum of Fine Arts di Salt Lake City. Volente o nolente il Vasari, il “manierista sconosciuto” Pier Francesco Foschi è la figura che mancava per ricostruire una splendida stagione della storia dell’arte che iniziava a declinare quando, il 15 settembre 1567, morì nella sua amata Firenze.