La città della lanterna
Così Aponte scommette sulla rinascita di Genova. Tutte le partite oltre l'acquisto del Secolo XIX
Appartato nella elegante e tranquilla Ginevra, il proprietario di Msc è diventato il numero due nella classifica dei ricconi svizzeri, eppure fuori dai confini pochi sapevano che aspetto avesse. Adesso ha invertito la rotta, un nuovo protagonista entra negli affari italiani
Forse anche Gianluigi Aponte aveva “quell’espressione un po’ così prima di andare a Genova”, forse anche per lui la città della Lanterna accende nuove fiamme, come per Paolo Conte. Una volta l’armatore aveva confessato che Achille Lauro era il suo mito di gioventù. Ora che, giunto alla bella età di 83 anni, si compra lo storico giornale genovese, vuole emulare in terra ligure ’O Comandante, suo compaesano sorrentino? I tempi sono cambiati, le ambizioni si sono fatte più grandi, le passioni restano le stesse. Il quotidiano è il Secolo XIX (Lauro aveva il napoletano Roma) e Genova diventa il quartier generale per le operazioni nella penisola. Aponte parla quattro lingue (Lauro spiccicava male l’italiano), è legato alle sue origini però ormai da mezzo secolo pensa e agisce da cosmopolita. Per lungo tempo si è tenuto in disparte, gli avevano offerto di comprare la squadra del Napoli, si è limitato a sponsorizzarla per evitare passioni insane e avventure dispendiose (De Laurentiis avrebbe dovuto imitarlo). Adesso ha invertito la rotta, così un nuovo protagonista entra negli affari e nella vita della penisola. Non torneranno certo i tempi del partito monarchico-populista che negli anni 50 aveva in mano la città partenopea e ai cittadini più poveri, secondo la leggenda, dava la scarpa sinistra prima del voto e la destra se i risultati erano soddisfacenti. Finora Aponte non ha mai mostrato ambizioni politiche. Appartato nella elegante e tranquilla Ginevra, è diventato il numero due nella classifica dei ricconi svizzeri, eppure fuori dai confini pochi sapevano che aspetto avesse. Le sue navi con l’acronimo Msc solcano i sette mari, Mediterraneo compreso, ma lui ha sempre tenuto il timone ai piedi delle Alpi. Lauro dal suo quartier generale guardava il golfo di Napoli fino a Capri. Aristotele Onassis controllava con un colpo d’occhio quel che accadeva al Pireo. Gli uffici di Aponte in un quartiere residenziale di Ginevra vedono il Rodano uscire placido dal lago Lemano mentre in alto il sole si riflette nel ghiacciaio del Monte Bianco.
La Mediterranean Shipping Company possiede la seconda flotta mercantile al mondo con 560 portacontainer, insidiando la danese Maersk. Nel 1987 è entrata nel ricco business delle crociere comprando la Starlauro, ultimo residuo della flotta del comandante Lauro. Msc Crociere ha 22 navi, ma fra tre anni se ne aggiungeranno altre sette ora in costruzione. Nel 1995 arriva la Snav che collega Napoli con le isole seguita dalla Grandi Navi Veloci che salpano verso Palermo; nel 2015 la Caremar completa la sua egemonia sul Tirreno. Nell’insieme il gruppo a capitale svizzero impiega 15.500 persone in 45 paesi, con un giro d’affari di 90 miliardi di euro. Ma il raggio d’azione continua ad allargarsi: nell’ottobre scorso ha acquistato il 50 per cento di Italo (un’operazione da 4 miliardi di euro) e poco prima si era detto pronto a entrare in Ita Airways al fianco della Lufthansa. Si è ritirato al cambio del governo, ma ora sembra che possa rientrare in gioco se l’antitrust europeo boccerà l’attuale accordo con Lufthansa. Se ne è parlato a febbraio in un incontro con Giorgia Meloni, favorito sembra da Flavio Briatore con il quale Pierfrancesco Vago, genero di Aponte e presidente operativo, ha un ottimo rapporto.
“Le terre emerse coprono due terzi del pianeta, noi copriamo il resto”, è lo slogan preferito da Gigi, come lo chiamano gli amici napoletani, nato a Sant’Agnello sulla costiera sorrentina nel 1940, cittadino svizzero dopo il matrimonio con Rafaela figlia di un banchiere ginevrino, conosciuta su una nave dove si era imbarcato dopo il diploma all’Istituto nautico. Sulle sponde del lago glaciale il giovane marinaio con una laurea in economia tenta una carriera da finanziere, ma non fa per lui: al richiamo del mare non si può resistere. Con l’aiuto di un amico compra di seconda mano una nave tedesca, la Patricia, che fa rotta tra Italia e Somalia là dove aveva lavorato prima della guerra e dove era morto il padre, Aniello, facendo il commercio di frutta e gestendo la Croce del Sud, un albergo di sua proprietà. In pochi anni i vascelli diventano tre e la Aponte Shipping Company batte bandiera liberiana. Nel 1973 la First National Bank di Chicago finanzia l’acquisto di una quarta nave. Ormai il modello di business è chiaro: prendere vecchie imbarcazioni a basso prezzo, rimetterle in sesto e riempirle di containers. Finché nel 1987 non arriva la messa in vendita della flotta Lauro. Oggi Aponte dice che si poteva salvare dopo il fallimento del Comandante spogliato di tutto, anche del suo frac. Ma è lui ad aggiudicarsela, un acquisto che ha un valore simbolico e non solo, perché gli apre una nuova rotta, quella delle crociere. Ordina ai cantieri francesi di Saint Nazaire due grandi navi nuove di zecca da 1.500 passeggeri, al prezzo di 280 milioni l’una. Nel 2003 al porto di Napoli Sophia Loren battezza la Lirica e da allora sarà la madrina immancabile.
“Siamo una vera azienda italiana con un vero stile italiano”, dichiara Aponte il quale apre nuovi uffici a Piano di Sorrento, ma non ha nessuna intenzione di lasciare Ginevra, città cosmopolita dove può intrecciare relazioni ad ampio spettro e proteggere la propria privacy. Come nella tradizione degli armatori, la Msc è tutta in famiglia: i container al figlio Diego che ha studiato a Londra, alla figlia Alexa le crociere, mentre il marito di lei Pierfrancesco Vago, milanese con una azienda nel settore dei trasporti, guida il gruppo, sorvegliato attentamente da Gianluigi. Taciturno, riservato fino a sfiorare la segretezza, non ha mai pensato di quotarsi in borsa, ma da alcuni anni ha rotto la cortina di silenzio e ha cominciato a esporsi, a dichiarare, ad aprirsi almeno un po’. E soprattutto ha cominciato a guardare all’Italia non più con la nostalgia del passato, ma come progetto per il presente e il futuro. Una scelta strategica è stata nel 2019 il porto di Gioia Tauro sottratto alle mire cinesi. Il 5 dicembre di quell’anno il nuovo “patron” ha visitato il terminal calabrese, ha incontrato i portuali e ha annunciato che il suo obiettivo è farne il più importante scalo mercantile del Mediterraneo, mentre Genova dovrebbe aumentare sia nelle merci sia nei passeggeri per avvicinarsi al Pireo, ad Algeciras o a Marsiglia. La competizione s’è fatta più dura e i duri sono scesi in campo.
Genova dunque è il cuore dell’intero progetto e si sposa con le rinate ambizioni della città che ha sofferto negli ultimi vent’anni un declino demografico (la popolazione si è dimezzata e ora conta 561 mila abitanti) insieme a una relativa emarginazione economica (non è più da tempo il terzo vertice del triangolo industriale italiano). La volontà di rilancio si rispecchia anche nella candidatura per la presidenza della Confindustria di due importanti figure dell’imprenditoria: Edoardo Garrone e Antonio Gozzi. Due sono le più drammatiche date recenti. La prima nel luglio 2001 il sanguinoso G8 che ha lasciato strascichi assorbiti a fatica, l’altra il 14 agosto 2018 il crollo del ponte Morandi che invece ha prodotto un sussulto d’orgoglio inaspettato. Si è parlato di modello Genova per la capacità di mettere insieme risorse umane, finanziarie, industriali, con un rapporto di collaborazione tra i poteri locali e di sostanziale consenso politico. La costruzione in tempo record del nuovo viadotto progettato da Renzo Piano, archistar genovese, rappresenta il culmine dell’armonia e ha lasciato una città che pullula di cantieri per una rigenerazione che impiegherà almeno dieci anni. Il traguardo temporale è fissato nel 2035 e il futuro si tuffa in un grande passato fondato sul mare e sui trasporti. Per capirlo gettiamo un rapido sguardo a quel che ribolle tra il porto, i Caruggi e ancor più lontano oltre le colline e i monti che schiacciano la Liguria e sembrano spingerla nelle acque profonde. I progetti più importanti si chiamano Waterfront Levante, Terzo Valico, Gronda, superbacino a Sestri Ponente, diga foranea.
Il primo è ancora opera di Renzo Piano e prevede un nuovo quartiere nella zona della ex Fiera, un’area di circa 115 mila metri quadri divisa in 4 lotti, un parco urbano di 16 mila e una nuova darsena di 14.700 metri quadri, che tornerà a collegare il porto antico. L’investimento è di 350 milioni di euro e i lavori si dovrebbero concludere l’anno prossimo. Inoltre, nascerà una zona residenziale, con circa 200 appartamenti, sostenibile a sostentamento energetico autonomo. A Stefano Boeri insieme a Metrogramma di Andrea Boschetti e allo studio olandese Outside di Petra Blaisse si deve il progetto per il parco del Polcevera e il Cerchio Rosso una passerella in acciaio che abbraccerà le due sponde del fiume, percorribile a piedi o in bicicletta, e sovrasterà il sistema di parchi ampio 23 ettari. Il piano include anche una Serra della biodiversità mediterranea, sintesi della grande varietà vegetale e faunistica locale. Tra questi giardini, un “monumento” alle 43 vittime del Morandi realizzato con 43 specie arboree diverse, tipiche del Mediterraneo. All’interno si eleverà la Torre del Vento: una struttura alta 120 metri che con le sue turbine eoliche fornirà energia al quartiere. Per il centro storico c’è il piano Caruggi, 137 milioni di euro da spendere entro il 2035.
La Gronda è l’opera più complessa, si tratta di un nuovo tracciato autostradale lungo 72 chilometri composto per l’80 per cento da 25 gallerie. Verranno costruiti 16 viadotti e saranno ammodernati quelli già esistenti. Ci vorranno almeno dieci anni e la complessità è enorme. Il costo è previsto in 4,2 miliardi di euro. Farà in qualche modo da pendant al Terzo valico ferroviario dei Giovi, per consentire la nuova linea ad alta capacità veloce. Un progetto che si sviluppa per 53 chilometri, 37 dei quali galleria, e attraversa le provincie di Genova e di Alessandria. Il costo si aggira sugli 8 miliardi. I primi lavori sono iniziati nel 2012 e dovrebbero completarsi entro quest’anno.
Ma il fulcro del sistema è senza dubbio il porto. Negli ultimi 15 anni, nonostante la crisi finanziaria, la pandemia, la guerra in Ucraina, il traffico marittimo ha retto, ma nel frattempo i concorrenti si sono fatti più agguerriti. La crisi del Mar Rosso sta minacciando la navigazione attraverso Suez, mette a rischio l’intero Mediterraneo e trasforma la competizione in una lotta per la sopravvivenza. Il porto di Genova, dunque, va ampliato e rafforzato. Verrà realizzato il bacino di carenaggio più grande del Mediterraneo lungo 400 metri e largo da un lato 80 metri, mentre dall’altro, essendoci una rientranza, non potrà essere più largo di 60 metri. Sarà così possibile costruire imbarcazioni da oltre 350 metri di lunghezza per una stazza fino a 150 mila tonnellate. Una nuova diga foranea per sbarrare il moto ondoso davanti al porto, consentirà l’ingresso delle grandi navi portacontainer lunghe 400 e larghe 60 metri. Nella prima fase, che terminerà nel 2026, sarà realizzato il nuovo ingresso da levante, largo oltre 300 metri, e sarà esteso lo spazio di manovra per le navi. Nella seconda fase, che verrà conclusa nel 2030, è previsto l’ampliamento del canale di Sampierdarena, che arriverà a una larghezza di 400 metri, aumentando così l’operatività e la competitività di tutti i terminal dello storico bacino commerciale.
Abbiamo usato il futuro così come viene utilizzato anche dalla brochure di Webuild che deve costruire la diga. Ma il rischio è che diventi un futuro sempre più remoto. L’Autorità anticorruzione infatti ha bocciato i lavori individuando sette profili critici, già contestati all’Autorità di sistema portuale del Mar ligure occidentale, la quale nei mesi scorsi aveva a sua volta replicato. Un lungo botta e risposta che non ha convinto l’Anac. La notizia è stata pubblicata dal Sole 24 Ore il quale scrive che la delibera, del 20 marzo scorso, potrebbe essere già stata trasmessa alla procura della Repubblica di Genova e alla Corte dei conti. Le contestazioni riguardano la mancata procedura di gara; l’inserimento della diga tra le opere del Pnrr e quindi beneficiaria delle deroghe al codice dei contratti; rilievi legati alla concatenazione degli eventi nel corso delle procedure di affidamento; la nomina di un collegio di esperti e infine l’ipotesi di pantouflage (o porte girevoli) quindi di “possibile conflitto di interessi dell’ingegner Marco Rettighieri, il quale era prima responsabile dell’attuazione del programma straordinario, tra cui è inserita anche la diga oggetto dell’appalto, e successivamente è divenuto presidente del consiglio di amministrazione di Webuild Italia Spa, azienda facente parte del gruppo Webuild Spa mandatario del raggruppamento vincitore dell’appalto”. In realtà il ruolo di Rettighieri presso l’autorità portuale era cessato tempo prima che la gara prendesse il via. Giovanni Toti, presidente della regione, contrattacca con enfasi: “La mia Liguria è la Liguria che applaude la diga, non gli esposti sulla diga. La mia Liguria combatterà sempre l’ipocrita forma a discapito della sostanza”.
Tutti questi grandi progetti coinvolgono società pubbliche e private, Ferrovie e Autostrade, Webuild e una vasta filiera di piccole aziende. Di bastoni tra le ruote ce ne sono già molti e altri ne verranno gettati prima che la città della Lanterna rinasca a nuova vita. Aponte ci scommette tanto da comprare persino il giornale cittadino che gli dà visibilità e influenza sia nella classe dirigente sia tra la popolazione. Il porto è il suo interesse primario, ovviamente, ma lo sono anche le ferrovie e le autostrade. Sulla linea ad alta velocità potrà sfrecciare Italo. Mentre la maggior parte delle merci viene trasportata su gomma e così sarà anche in futuro. La prima debolezza della Liguria è il suo relativo isolamento dalla rete di terra, se i trasporti fossero moderni ed efficienti sarebbe più conveniente attraccare a Genova per arrivare nel sud della Francia e della Germania, facendo così concorrenza persino a Rotterdam che continua ad espandersi strappando terra al mare come nella migliori tradizioni olandesi. Per ora sono sogni più che speranze. Nell’ultima classifica europea, Rotterdam è al primo posto seguita da Amburgo, Gioia Tauro al decimo, Genova quindicesima. Non c’è davvero tempo da perdere.