Racchette d'Italia/3
Campo largo (di tennis): da Capalbio a Orbetello. Colloquio sotto rete con Giuliano Amato
Sull’Aurelia, tra la sinistra tennistica (riflessiva) e la dorsale tirrenica. "Sinner o Berrettini? Musetti, è il nostro Federer. Il padel? Un affronto". E quel doppio con Tony Blair. Com'era l'ex premier inglese? “Gran dritto lungo, non molto di più”. Chiacchiere sportive con il dottor Sottile
Si sa che Capalbio non rappresenta più da anni la sinistra, e il famoso bacio di Achille Occhetto tra gli ulivi che dette scandalo nel 1988 (scandalo veramente inspiegabile oggi, essendo l’oggetto del bacio poi la legittima moglie) è lontanissimo. Capalbio è diventata una località di mare un po’ come le altre, con le rassegne di libri, con crescente presenza di milanesi, qualche antico frequentatore che ancora si attarda all’Ultima Spiaggia (per tutti solo “l’Ultima”) che alle pareti ha vecchie foto ormai sbiadite di Napolitano, Bassanini, appunto Occhetto.
Ma in questo giro di spiagge 2024 col pretesto del tennis, di nuovo sulla fatale Aurelia, ci si pone il fondamentale quesito di dove si gioca a tennis da queste parti, se si gioca. L’unico vero campo è la Polisportiva di Capalbio Scalo, cioè Capalbio bassa, dove sta la stazione, ed è chiuso, raccontano, anonimissimi tennisti, in attesa di ristrutturazione anche aziendale. Intanto, una premessa: Capalbio urbanisticamente non esiste. C’è il paesino con questo nome, cioè Capalbio alta, dove si fanno le rassegne dei libri, si mangia carne di cinghiale e poco altro. Poi Capalbio Scalo, tipo hub di servizi, farmacie, e appunto stazione. Qualche anno fa ci fu un effimero Frecciarossa che faceva Roma-Capalbio-Argentario-Forte dei Marmi, mai viste tante Car Shoes e tanti Financial Times: secondo per sciccheria solo al treno speciale del Senato che l’effimero presidente Carlo Scognamiglio aveva fatto ripristinare per un viaggio Roma-Forte dei Marmi ai tempi suoi (poi sono stati aboliti entrambi).
Quando si dice “sto a Capalbio” in realtà si sta a Pescia Romana o Pescia Fiorentina, paesi limitrofi. La prima è nel Lazio e la seconda in Toscana: si nota la differenza anche da come sono tenute le strade, e dalla maggiore facilità con cui ti fanno fare la piscina, requisito fondamentale da queste parti. C’è chi ha un pezzo di giardino in Lazio e uno in Toscana, vabbè. Altra premessa: quest’anno, altro che overtourism. Molte case sono sfitte, molti ombrelloni pure. Ma non solo qui: tutto il litorale laziale e poi su e giù, da Sabaudia all’Argentario, soffre. Ma torniamo alla Polisportiva di Capalbio Scalo: chiusa, in attesa che un pool di investitori rilancino il tutto. Si parla del solito gotha capalbiese. Nascerà un super circolo ribattezzato “Sporting Club Capalbio” con parterre d’eccezione, Carlo Clavarino (l’aristo presidente di Aon), il finanziere Massimo Caputi, Jacaranda Caracciolo Falck (una delle regine mondane e araldiche della zona), Marco De Benedetti (capo del fondo Carlyle in Italia), Nicola Maccanico (ex amministratore delegato di Cinecittà e figlio del grand commis Antonio), Eduardo Teodorani Fabbri (nipote di Gianni Agnelli) e Massimo Tosato (presidente di Banca Investis). Si aspetta l’autorizzazione a partire coi lavori di questo che diventerà il circolo “bien” dei dintorni. “Ma saranno garantiti ingressi gratuiti ai residenti”, dice al Foglio Alberto Negri, corrispondente di guerra e gran tennista, che aspetta la riapertura.
Cosa faranno i poveri capalbiesi nel frattempo? E’ tutta una situazione frastagliata, metafora un po’ dello sbandamento a sinistra, anche se (ribadiamo) Capalbio di sinistra non lo è più (da mo, come direbbe il compianto Ennio Fantastichini). Non solo con le elezioni, per cui nell’ultima tornata Fratelli d’Italia ha preso il 41 per cento.
“Alcuni vanno a giocare proprio da Jacaranda, che ha costruito un bellissimo campo a Garavicchio”, mi dice un tennista anonimo. E così i più fortunati giocano sul colle fatale che inventò la località, con la tenuta sul cucuzzolo che ospita anche il famoso Giardino dei Tarocchi, comprata dal principe e diplomatico Filippo Caracciolo, papà di Marella, Carlo e Nicola, negli anni Sessanta. Era morta la moglie e avevano lasciato la tenuta fiorentina dei Cancelli, trasferendosi a Roma e comprando per le vacanze la proprietà dal milanesissimo marchese Litta (c’è sempre molta Milano a Capalbio) che era fuggito anni prima con l’amante in Maremma, allora località esotica come il Kenya.
Proprio il compound caracciolesco generò a cascata il successo di Capalbio meta turistica riflessiva (tutto il mondo di “Repubblica”, in scia al principe-editore Carlo, da Eugenio Scalfari in giù, prese casa qui. “Ma papà non ha mai giocato a tennis, non era per niente sportivo. Al massimo nuotava”, mi dice Donata Scalfari). A Garavicchio giocano Gaetano Micciché presidente della divisione Imi di Intesa Sanpaolo, e altri fortunati.
I meno introdotti si alternano in varie destinazioni: Maccanico al campo di Ansedonia. Altri in una certa “Villa pinciana”. I più snob amano il centro Oasis di Pescia Romana. “Vedrai, deliziooooso”. Andiamo a dare un’occhiata dunque. Altra premessa urbanistica: se Pescia Fiorentina è boscosa e cipressosa e collinare, sulla sinistra dell’Aurelia andando verso la capitale, Pescia Romana, rive droite capalbiese, tra svincoli e distributori di benzina sembra Texas, con un certo brutalismo cementizio. Però ha lo sbocco al mare, a differenza di quell’altra. Ma ecco finalmente il circolo Oasis, si scende e sembra una pizzeria. Non un Crazy Pizza alla Briatore. Una pizzeria di paese, peraltro con ottime recensioni su TripAdvisor. Sto scrivendo un pezzo sul tennis a Capalbio, dico al gestore gentile del circolo/pizzeria. “Eh, allora scriverà poco”, mi fa il gestore.
Nel Texas di Pescia Romana come si prenota? L’ora costa sedici euro, e “ci si iscrive solo con la app, ‘prenotailtuocampo’, guardi qua”. Allora è davvero Texas. “Venivano diversi giornalisti, Marco Lillo, ma poi si è separato dalla moglie e non viene più. Poi c’è un altro giornalista, di guerra, che è dovuto partire per una missione improvvisa, e mi ha mollato qui la sua Panda per tre mesi”. Insomma il circolo di Pescia Romana non ha proprio quello chic che ci si immaginerebbe da Capalbio ma forse piace proprio per questo (ci vanno Matteo Fabiani di Intesa e il portavoce del sindaco di Roma Luigi Coldagelli). Chi è in cerca di un po’ di glamour più tradizionale, mi dicono, va a giocare alla Locanda Rossa, ganzo resort dove scendono turisti abbienti oltre a Francesco Rutelli e Barbara Palombelli. “Ma il campo è un po’ in pendenza e la palla rimbalza male” dice sempre l’esperto di campi capalbiesi.
Insomma che deve fare il povero tennista riflessivo? “Vai a Orbetello. Quello è il regno di Giuliano Amato”. Il dottor Sottile! Prendo la macchina e vado allora a Orbetello, direzione Argentario. Il Circolo del Tennis di Orbetello è appoggiato alle bellissime mura spagnole, muraglioni che dovevano proteggere la cittadina lagunare nel Seicento. Ecco Giuliano Amato, 86 anni e non lo diresti mai; è presidente onorario del Circolo dopo esserne stato presidente effettivo per anni (poi succeduto da Aurelio Regina, già vicepresidente di Confindustria, e poi da Marco Bassetti, amministratore delegato del gruppo tv Banijay e marito di Stefania Craxi). Ma Amato, che è stato ministro, presidente del consiglio, giudice e presidente della Corte costituzionale e riserva della Repubblica per qualunque carica di prestigio, fino al Quirinale, qui si capisce che è soprattutto e orgogliosamente presidente del Circolo di Orbetello.
Arriva con la sua scorta discreta e viene subito omaggiato da molti vecchietti. Il circolo ha un’aria molto spartana, non è certo un posto lussuoso. “Avremmo bisogno di più fondi, certo”, sospira Amato. “Anche per la manutenzione”. Al momento si sta svolgendo il torneo Banca Tema, una piccola banca del territorio, ma ai tempi d’oro era famoso per la sponsorizzazione del Monte dei Paschi. “E’ stata la nostra fortuna e insieme la nostra maledizione”, dice Amato. “Nel 1995 ci garantirono la sponsorizzazione, ma ci chiesero di essere gli unici. Così il nostro destino è rimasto legato a doppio filo a quello della banca. All’inizio, cominciammo con dei tornei femminili che diventano sempre più importanti, poi anche maschili. Molti campioni sono passati di qui. C’era un primo premio da 100 mila dollari nel challenger di Orbetello, era uno dei pochi challenger italiani”. Ammazza, centomila dollari. Ma con queste cifre siete voi ad aver affossato il Montepaschi, ditelo. Anche lei fu intercettato a un certo punto mentre chiedeva al presidente della banca, Mussari, di fare qualcosa per il circolo di Orbetello. “Ma ci mancherebbe, io mi sono sempre speso, coi predecessori e poi coi successori di Mussari, per il circolo!”. Insomma, presidente del Consiglio e delle Corte costituzionali erano side job che le permettevano “di essere presidente del Circolo, certo”, sorride Amato. Col periodo di splendore “abbiamo costruito il centrale, con una bella tribuna. Dicevo sempre che solo Montecarlo ha dei campi come i nostri, con la vista su questo bellissimo mare. Qui son venuti fior di campioni (mi accompagna a vedere gli spogliatoi tappezzati di foto). “Son passate la Schiavone e la Pennetta. Noi certo eravamo un po’ rudimentali magari rispetto ad altri circoli. Una concorrente una volta ebbe un problema a un ginocchio, e domandò un dottore. In tribuna c’era un veterinario, bravo, le dicemmo che era un medico, le risolse il problema, fu molto soddisfatta. Un’altra volta una giocatrice non si trovava più, e la trovammo infrattata con un locale”.
E maschi? “Marin Cilic aveva dei piedi enormi, più grandi di lui”. Era regolamentare? O sospetto nella genetica come l’algerina Khelif, che hanno spacciato per uomo e poi per trans? “Ah, quella povera ragazza. Ma io mi chiedo, i primi che si sono presi i cazzotti da Cassius Clay cosa avrebbero dovuto dire? E’ pugilato, mica ginnastica artistica”.
A proposito di Olimpiadi e fake news, lei è un po’ il Putin di Orbetello: ora è presidente onorario ma comanda sempre. “No, io non ho più ripreso il comando, mentre Putin aveva il suo Medvedev da mettere al suo posto”. Aurelio Regina è il suo Medvedev. “No, quando Regina lasciò arrivò Marco Bassetti, che gioca peraltro bene. Comunque in 25 anni abbiamo fatto 3 soli presidenti, Amato, Regina, Bassetti: più stabilità che con la riforma del premierato che vuole fare Meloni!”. Possiamo chiedere alla, anzi al premier Meloni se dà una mano a Orbetello. “No, abbiamo sempre fatto da soli, solo con sponsorizzazioni dal privato”. Ma quanto costa l’iscrizione? “Be’”, sospira Amato. “Diciamo che il Canottieri Aniene costa di più. Qui viene 120 euro l’anno più la tessera Fit”, precisa l’allenatore, Luca de Robert. Pure il cognome araldico. “Francese in origine. I miei venivano qui in vacanza, poi si trasferirono”.
Ma torniamo alle problematiche local. “Siamo in proroga di concessione da 7 anni, non sappiamo cosa sarà di noi”. Come i balneari. “Giusto”. Insomma, il Circolo Tennis Orbetello è una grande metafora del Paese. Senta, presidente, lei dove altro ha giocato? “A Lucca, dove sono cresciuto, da ragazzino, per la strada. A Roma quasi mai, salvo qualche volta al Circolo della Camera, con Beniamino Placido. O al Foro Italico. Che è pieno di fastidi: un giorno c’è una partita, un altro c’è un concerto, però quando ti trovi su quei campi, sotto quei pini… uno splendore. E poi a New York quando frequentavo la Columbia University, c’erano dei campi che poi sono stati eliminati”. Sua moglie Diana? “Lei gioca ancora, più di me. E pure a padel. Che vergogna. Io padel mai, lo considero un affronto”. A Orbetello c’era anche il mitico Raffaele “Ciro” Cirillo, leggenda del Foro Italico. “Sì, indimenticabile. Verso i miei 70 anni mi dette un po’ di consigli, e mi corresse dei difetti. Perché qui una volta Adriano Panatta, che ogni tanto veniva, dopo una partita mi aveva detto: ‘A Giulià, sei proprio un pallettaro’. Ecco, io pallettaro non lo accetto”. Ma che vuol dire pallettaro? “E’ quello che rimette la palla alta, contando che l’altro poi la sbagli. Allora ho smesso, grazie a Ciro”. Allora un po’ pallettaro lo era, lo ammette. “Forse un po’”. “Anche io so’ un po’ pallettaro”, dice l’allenatore de Robert forse per solidarietà col Putin di Orbetello.
Una volta so che lei Amato ha giocato contro Blair. “Non contro, insieme. Giocammo nel campo del principe Guicciardini Strozzi, quando ero presidente del Consiglio, nel 2000. Io e Blair in doppio contro il principe e Roberto Zaccaria, allora presidente della Rai”. Com’era Blair? “Gran dritto lungo, non molto di più. Che poi ora Zaccaria sostiene che ci fecero vincere perché eravamo due premier in carica. E’ una colossale bugia”. Altri politici con cui ha giocato? “Con La Malfa figlio”. Com’era? “Insomma…”.
Ma la definizione di dottor Sottile chi glie l’aveva data? “Fu Eugenio Scalfari. Eravamo amici. E non era poi male. Dottor Sottile è un soprannome che nella filosofia medievale designava il maestro delle argomentazioni raffinate e ricche di distinzioni (cavillose secondo i detrattori) Duns Scoto, detto in latino Doctor subtilis. Scalfari mi ascoltava sempre quando gli dicevo che c’erano delle cose utili da fare anche con Craxi, ma poi non mi dava mai retta. Io ho sempre detto distinguere distinguere distinguere”.
Ma oggi il mondo questa sottigliezza è andata perduta. “Oggi c’è un noi e un voi che cancellano l’individuo”. Almeno la sinistra dovrebbe essere unita, però. Facciamo il campo (da tennis) largo. Lei a Capalbio va mai a giocare? “Mai, io in quella landa di radical chic non metto piede. Con quelli che arrivano all’Ultima spiaggia con la mazzetta di giornali”. Ma poveri radical chic, ormai li prendono tutti in giro. “Lo meritano”.
Senta, presidente, ma tra Sinner e Berrettini? “Non faccio il tifo. Musetti, ecco, Musetti è il nostro Federer. Posso dire però che se Berrettini avesse gambe più robuste sarebbe ancora meglio. Sinner è molto bravo, ha grandi qualità anche psicologiche, ma è sempre pieno di problemi, come la tonsillite”. Come Meloni con gli otoliti. “Ah, guardi, anche mia moglie soffre di otoliti, perciò la capisco”. Continuerà a giocare? “Aspetto che la natura mi faccia smettere. Anche se quando ho fatto gli auguri a Beppe De Rita per i suoi 90 anni gli ho chiesto dove se li sentiva maggiormente, gli anni, e mi ha risposto: nelle gambe. A quel punto, addio tennis”.