Foto Epa, via Ansa

Il Foglio Weekend

Kamala e i suoi fratelli. Diapositive da Chicago

Michele Masneri

Facce, faccine e buoni sentimenti. Catalogo ragionato di cinque giorni di convention 

Chicago, dal nostro inviato. Dopo cinque giorni di convention democratica (Dnc) uno comincia a sentire uno strano non so ché, dopo tutte questestorie di integrazione, immigrazione, inclusione, dopo le infinite “single mom”, mettiamo, nate in Cambogia, che hanno fatto il PhD a Stanford, e si ritrovano senatrici o governatrici; dopo tutto questo progresso viene una disperata voglia di abietti maschi bianchi, e storie piatte all’italiana: qualcuno nato a Pino Torinese e lì rimasto, non spostatosi per nessun motivo, e impiegato all’Inps o baby pensionato. Dopo tutto questo “vi vediamo”, “con noi siete visti”, e i ritornelli “if we fight, we win!”, e “il grande stato del Minnesota!”, e America, America, i cartelli e i candidati e il teleprompter, tutto perfetto e lucido come quelle torte smaltate da Whole Foods, andiamo in crisi. E’ invidia di certo qui nelle colonie dove si discute ancora se una sportiva nera è italiana o no (un’italiana nera al Quirinale, forse tra 100 anni). Così viene un leggero languorino di andare a una convention magari di svalvolati repubblicani o vannacciani, almeno per sentirsi superiori.

Ecco però una carrellata di facce, persone e cose viste in questi giorni nella Sanremo Dnc.

Kamala Harris. Più la vedi e meno la capisci. L’hanno descritta come brava madre, figlia, procuratrice, senatrice, perfino vicina di casa. Il marito Doug Emhoff ha detto che la sua empatia è il suo segreto, che è capace nel bel mezzo della crisi di Gaza di lasciar lì tutto e farsi una bella chiacchierata con Ella, la figlia di Emhoff e figlioccia di Kamala, che non ha figli di suo, da cui gli sprezzanti “childless ladies with cat”, gattare senza figli, cavallo di battaglia dell’altra parte (ma la maglia “childless ladies with cat” è stata una delle più belle viste in questi giorni alla convention, purtroppo indossata da alcuni fortunati ma non in vendita, vedi alla voce merchandising). Di lei, Kamala, si sa tutto, ormai: figlia di una mamma indiana che era andata a Berkeley con l’idea di trovare una cura per il cancro al seno, e poi avrebbe dovuto tornare in India per un matrimonio combinato, invece è rimasta (ecco il sogno americano) e un padre giamaicano che presto se n’è andato. Kamala cresce tra le università di Berkeley e Stanford cioè la culla dei movimenti studenteschi e insieme della Silicon Valley. Marce per i diritti degli studenti, residenza a Oakland (è anche il posto dove cresce Zendaya, periferia di San Francisco). Poi procuratrice locale, poi dello stato della California, viene eletta senatrice l’8 novembre 2016, lo stesso giorno in cui Trump diventa presidente. Arrivano gli anni in cui viene ucciso George Floyd e scoppia il Black Lives Matter e tutto quanto. Biden è in cerca di una donna nera come possibile vice. Nel 2020 il duo arriva alla Casa Bianca, ma da lì in poi lei come scompare, risucchiata, e quello è il mistero. Biden non le fa toccare palla, rifacendo su di lei la bullizzazione subita da Obama? Nessuno lo sa. Comunque lei da vicepresidente non ha grandi dossier, non si distingue per niente di particolare se non per la risata che subito viene memizzata e deprecata. Parenti amici giornalisti la descrivono come appassionata di giustizia sociale, poco ideologica. Forse alla fine non c’è niente da capire. “Sarò un presidente realista e con senso pratico”, ha detto l’ultima sera, “dalla courthouse alla White House”, dal tribunale alla Casa Bianca. Vista l’alternativa, tutti decidono di fidarsi.

First sorella. Maya Harris, avvocata, ha preso la parola l’ultimo giorno. Pare sia potentissima nel circolo ristretto della vicepresidente (ricorda qualcuno?). Il marito, Tony West, avvocato, già capo legale della Pepsi, già numero tre del ministero della Giustizia sotto Obama, ora è uno dei boss di Uber, di cui ha curato il collocamento in Borsa, e come tale va in giro per il mondo a chiudere accordi con comuni e città. Ha pianto l’altra sera quando la moglie ha parlato sul palco. Nei mesi scorsi è venuto anche a Roma a parlare con Adolfo Urso e soprattutto è andato in Calabria a incontrare il governatore Roberto Occhiuto, di cui ha detto che ha “una grande visione”. Tutti ci chiediamo; riuscirà la Casa Bianca a sconfiggere il 3570?

Biden, Joe. Presidente. Ha parlato la prima sera, ma sembra un anno fa. Ora è in vacanza in vigna in California. Chissà che pensieri.

Parole. Non ci sono dati ufficiali, ma le più pronunciate sono state Donald Trump; mamma; America; energia.

Emhoff, Doug. Secondo (forse presto primo) marito. Consorte di Kamala da dieci anni esatti (giovedì scorso per la precisione). Avvocato, forza tranquilla (ma molto disinvolta davanti al pubblico della Convention), ha due figli, Cole e Ella, avuti con una prima moglie, produttrice di cinema, Kerstin Mackin, con cui sono rimasti amiconi e che era presente e ha dato una mano coi video. La figlia Ella, molto hipster, si dedica all’uncinetto, e ogni tanto fa la modella per Miu Miu. Emhoff ha raccontato di come ha incontrato Kamala a un appuntamento al buio, e poi l’ha corteggiata lasciandole lunghi e goffi messaggi in segreteria telefonica, tipo Lamberto e Donatella Dini ai tempi. Pare che lei a ogni anniversario glieli faccia risentire, per ridere.

Clinton, Bill. Ha rivendicato ancora una volta la sua passione per il cibo di McDonald’s, ma forse non è una gran pubblicità per la catena di fast food. Saranno stati i grassi insaturi, ma il vecchio Bill è apparso vecchio, e tremolante. Ha fatto un discorso a braccio della durata percepita di una settimana.

Clinton, Hillary. Prendiamo quello che ha ordinato lei. Ormai pare aver messo da parte i rovelli e la sete di vendetta che la attanagliava (e come biasimarla). Vi ricordate quando vagava nei boschi, fotografata dai passanti scapigliata e sfatta dopo le elezioni 2016? Dimenticatela. A Chicago è stata radiosa e regale.

Donne. Vecchie e giovani, vincono chiaramente loro. Nel caso delle ex first ladies, forse perché sono state meno stressate dei mariti. Ma poi un sacco di donne pazzesche con storie pazzesche, da Gina Raimondo, formidabile italoamericana ministra del Commercio e già governatrice del Rhode Island, a Tammy Duckworth, immigrata dalla Thailandia, combattente in Iraq dove ha perso le gambe, oggi senatrice dell’Illinois, o la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer. E tante altre, sconosciute almeno a queste latitudini, che sono venute fuori con Kamala. Che, al di là di come governerà se governerà, avrà sicuramente il merito di aver promosso una generazione di politiche nuove. Diciamoci la verità, è chiaro che le donne potrebbero benissimo gestire tutto loro. Ma poi i maschi si deprimono e votano Trump, e quindi.

AOC, Alexandria Ocasio-Cortez. Efficace, imborghesita, integrata. Solo quattro anni fa la deputata del Bronx attaccava da sinistra il partito e considerava Biden un vecchio arnese democristiano (e il partito la ricompensava con un’apparizione di 90 secondi a tarda sera nella convention del 2020). Stavolta ha parlato in prime time, subito prima di Hillary, si è lanciata in un omaggio a Biden, e ha pronunciato alcunebattute significative, tra cui: “Sappiamo che Trump venderebbe questo paese per un dollaro se ciò significasse riempirsi le tasche e ungere le mani dei suoi amici di Wall Street”.

Obama, Michelle. Come nel caso di Hillary Clinton, è invecchiata molto meglio del marito, è sempre più bella, brava, anche arrabbiata. Travolgente nell’oratoria, ha dato la sveglia a una convention che era un po’ in modalità volemose bene. Ha ricordato che mancano solo due mesi alle elezioni, e che nulla è scontato, e che bisogna darsi da fare. Si vede che odia tantissimo Trump. Qualcuno sostiene che abbia un nuovo fidanzato.

Obama, Barack. I capelli grigi creano uno strano effetto ottico, come se gli si fosse rimpicciolita la testa e ora sembra uno di quei neri un po’ vecchietti dei film sulle piantagioni. Ha fatto una battuta un po’ weird su Trump e le dimensioni, magliela perdoniamo tutti perché è pur sempre Barack Obama. Ha un imitatore che è un astro nascente del partito, Josh Shapiro,cinquantunenne governatore della Pennsylvania.

Tailleur marrone. Anche lui ha avuto il suo momento, il primo giorno di Harris, che si è appunto presentata con un “tan suit”. Gli esperti di moda subito hanno chiarito che è un modello della nuova collezione del marchio francese Chloé, disegnato dalla stilista Chemena Kemali (amata da Jennifer Lopez e Beyoncé). Costa tremilatrecento euro, più che Tan è un TAEG suit. Gli esperti di politica hanno ricordato il caso del vestito marrone che Obama proprio 10 anni fa mise in una celebre conferenza stampa, e che causò choc perché “unpresidential”. Gli italiani subito si sono ricordati del vestito marrone di Occhetto nel famoso confronto con Berlusconi da Mentana del ’94. Però era un altro marrone, questo è più cammello, ecco. Comunque l’ultima sera Kamala ha messo un altro tailleur della stessa stilista, però blu.

Schlossberg, Jack. L’ultimo dei Kennedy fa i balletti. 31 anni, figlio di Caroline, ambasciatrice in Australia, nipote di JFK e Jackie Onassis. E’ la versione rivisitata e aggiornata di suo zio John John, ma più smilzo. E’ avvocato, ma soprattutto TikToker, ha un sacco di follower, canta e balla. E’ intervenuto tutto serio come delegato del partito di New York, ma vaga soprattutto a farsi selfie coi pezzi grossi del partito, tra i corridoi della convention, e coi giornalisti a cui chiede consigli per la sua nuova rubrica su Vogue. Loro gli danno retta, non possono fare altro.

Cani. Una signora passeggia nel “perimeter” cioè il blindatissimo parco del centro United dove si svolge la Convention con tre cani al guinzaglio. E “come si fa a non amare i cani, comepossiamo votare uno che non ha un cane?”, dice sul palco la presentatrice dello show televisivo Abc The View Ana Navarro, una delle repubblicane pentite che qui abbondano. “La mia cagnolina Cha Cha adora Kamala” (la cagnolina Cha Cha è famosa di suo, ha un seguito di 34 mila followers). Ma di cani ce ne sono decine alla convention. Pastori tedeschi, labrador, golden doodle e altre razze: ma non sono cani poliziotto. Sono cani terapeutici, che servono per curare i poliziotti da eventuali sbrocchi. “Prepararsi per la Convention e l’arrivo di decine di migliaia di contestatori è stato molto impegnativo”, ha detto la sergente Cindy Gross, veterana del Chicago Police Department che si occupa della terapia canina con il suo gruppo Rainbow Animal Assisted Therapy. Un corpo d’élite che assiste i poliziotti dopo momenti emotivamente stressanti. “Ad esempio, la polizia è esausta da turni di 12 ore, nessun giorno libero e poco tempo per la famiglia”, dice al Chicago Sun Times Gross, il cui golden doodle Teddy, fa parte della squadra antistress. Anche il vecchio capo della Polizia di Chicago Phil Cline, mancato quest’anno, aveva un cane terapeutico. Nel 2017, 70 statue di pastori tedeschi sono state realizzate in ogni angolo della città, per onorare la Squadra canina della Polizia di Chicago. Poi sono state battute all’asta.

Influencer. Per la prima volta sono stati accreditati e invitati ufficialmente alla Convention, in 200. Hanno salette riservate, cibo gratis, musica, e si fanno i selfie con Kamala. I giornalisti non si sono ancora riavuti.

Buttigieg, Pete. Il nostro preferito. Già veterano dell’Afghanistan, sindaco di South Bend molto amato, “Mayor Pete” è oggi segretario ai Trasporti, ma la sua principale occupazione ormai è bullizzare i conduttori di Fox News, la Retequattro americana. Infatti si è presentato dicendo: “buonasera sono Pete Buttigieg, potreste avermi visto su Fox News”. Sarebbe stato un ottimo secondo per Harris, ma siccome è gay e giovane e ben vestito, non andava bene(enter Walz, vedi). Ha infiammato la platea della penultima sera, parlando della necessità di una politica migliore, contro la negatività e ladarkness del mondo trumpiano. Ma ha ricevuto più applausi di tutti raccontando (è un suo cavallo di battaglia) che l’Afghanistan e il ministero sono niente rispetto alla fatica di convincere i due figli (adottati) a lavarsi le mani la sera prima di andare a tavola. Ha ammesso di cucinare con la friggitrice ad aria.

Cocco e anguria. Simboli preferiti della campagna elettorale, sui profili digitali della generazione Z presente. Il cocco rimanda al famoso apologo della mamma di Harris che diceva alle figlie: “Non so cosa c’è che non va in voi ragazze. Credete di essere appena caduti giù da un albero di cocco?”. L’anguria invece simboleggia la protesta pro Pal. Spesso accoppiati, possono generare confusione vegetale.

Merchandising. Grande delusione degli inviati, che man mano che passano i giorni ricevonorichieste (“portami la tazza”, “portami la maglietta di Kamala”). Banchetti invece poveri, scarsa varietà, pessimo design. Certo, si capisce che hanno dovuto organizzare tutto in un mese. Altrove, si sono mossi più in fretta. Delegati e giovani volontari di New York e San Francisco indossano ambitissime maglie verdi con piccole scritte “brat” nere, la gran moda di quest’estate. Le magliette si trovano su Amazon, ma non consegnano in Italia. Ci si chiede dove saranno i gadget già pronti e inutilizzabili di “Biden 2024”, forse avranno un valore collezionistico tipo Gronchi Rosa.

Gorman, Amanda. Poetessa Grandi Eventi. Famosa per il cappottino giallo del 2020 all’inaugurazione di Biden. C’era anche questa volta, non in Prada ma con un abito di tale Solace London. Ci si chiede, come certi cantanti che cantano solo a Sanremo, cosa faccia tutto il resto dell’anno (anzi, dei quattro anni).

Trump, Donald. Il più citato, vituperato, maledetto. Dopo cinque giorni di improperi faquasi simpatia. Tutti attendono il dibattito con Harris. Intanto lui ha fatto la prima apparizione all’aperto, protetto da una barriera di vetro antiproiettile, e faceva un po’ impressione.

Pritzker, J. B. Governatore dell’Illinois, esponente della dinastia più ricca di Chicago, gran palazzinari, fondatori della catena Hyatt e del premio di architettura Pritzker. Hanno commissionato a Renzo Piano, premio Pritzker 1998, il nuovo padiglione del Chicago Art Institute e in città un sacco di cose si chiamano come loro. Lui sembra un repubblicano, anzi sembra uscito dai Soprano, molto simpatico, corpulento, e ha detto su Trump la cosa più divertente di tutte, non che sia cattivo o pericoloso (banale). No, che è un finto ricco, un poraccio. “Lasciatevelo dire da un miliardario vero”. Un Pritzker ha sposato la figlia di Luca Barbareschi e pare che il matrimonio sia stato molto divertente con scontri di civiltà ed equivoci, con un parente dello sposo ex marine che ha fatto il cambio di sesso ecc. ecc.

Poliziotti ciclisti. A migliaia, schierati in ogni angolo della città, hanno forse fatto desistere i temuti manifestanti pro Pal che dopo le timide manifestazioni dei primi giorni si sono proprio dati. Ricordavano le falangi in bicicletta della polizia urbana di Roma introdotte dal sindaco di Roma Ignazio Marino.

Pelosi, Nancy. Cuore italiano, testa californiana, o viceversa. Altro che “crazy Nancy” come dice l’Arancione. A 84 anni l’architetta del ritiro di Biden ha tenuto un discorso breve ma efficace che forse conclude in gloria la sua straordinaria carriera politica. E’ stata la prima donna speaker della Camera, secondo alcuni la migliore di sempre, qui è stata accolta come “mother of all dragons” e anche come “brat prima che brat fosse brat”, mentre in molti l’hanno filmata mentre passeggiava nei corridoi e postata con la musica del Padrino. Secondo Maureen Dowd, mentre il pubblico tributava l’addio a Biden, lei aveva il sorriso tirato di quando si canta buon compleanno a un collega che ci sta sulle scatole. Non si hanno notizie del marito che due anni fa venne preso a martellate in casa da un fedele trumpiano che gli entrò in casa (vi ricordate? Noi sì).

Pd. C’era, come sempre, anche una delegazione del Pd italiano. Si sono fatti molti selfie.

Sanders, Bernie. Ha fatto Bernie Sanders, quindi benissimo. Ha un po’ esagerato quando ha intimato: fuori i miliardari dal partito. Panico tra gli Obama, Pritzker, Oprah presenti.

Walz, Tim. Vicepresidente in pectore, al suo primo discorso importante se l’è cavata bene. “Coach Tim”, non è una tariffa telefonica, è stato introdotto da un gruppo di suoi ex giocatori di baseball (un po’ imbolsiti) e da un suo ex studente, che ha raccontato come Walz è il tipo di persona che “ti tira fuori da un blocco di neve”. Professore di geografia, allenatore appunto, aria rassicurante, Walz serve a bilanciare la coolness percepita di Kamala e la fighetteria del partito democratico. E’ l’unico che ha detto qualcosa di vagamente preciso sull’economia oltre alla “opportunity economy” professata da Kamala (per Walz serve tagliare le tasse alla classe media, e facilitare l’acquisto di case). Ha due figli, uno dei quali, il diciassettene Gus, soffre di Adhd e ha pianto abbracciandolo sul palco ed è stato tenero, ma i trumpiani subito hanno approfittato per fare i trumpiani dileggiandolo. Non hanno fatto una bella figura, come spesso accade.

Colonna sonora. L’inno ufficiale della Convention è stato “Freedom” di Beyoncé. Che però non si è presentata. Dal vivo hanno cantato John Legend, Stevie Wonder, Sheila E, Pink. E’ stato tagliato James Taylor. Taylor Swift invece è rimasta un sogno impossibile ma in cui qualcuno si ostinava a credere, come la candidatura di Michelle Obama. I più anziani ricordano però con nostalgia la macarena che andava di moda nel 1996, infatti c’è un famoso video di Hillary Clinton che la balla, sempre a Chicago, nella convention che lanciò il secondo mandato di Bill. C’era anche Al Gore, che immobile faceva finta di cantare.

Mamme. Molto evocate. La mamma di Michelle Obama, mancata pochi mesi fa proprio a Chicago; la mamma scienziata di Kamala Harris; la mamma e il papà di Doug Emhoff, presenti e inquadrati. Ovviamente, anche Kamala come mamma, anzi “mamala” come la chiamano i figli acquisiti, almeno loro giustamente un po’ impacciati, o forse è una finta per rendere tutto più realistico, vabbè.

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).