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Il grasso Balzac e la difficoltà nel decantare l'autore della Commedia umana
A Parigi la mostra "Corps In-visibles" curata da Marine Kisiel e Isabelle Collet racconta l’odissea di Auguste Rodin nel tentativo di scolpire lo scrittore come lo vedeva lui. Pance, vestaglie e ipocrisia
Nelle gallerie del Marais per Art Basel musica a palla e giapponesi, fiorentini, napoletani con le birrette, collezionisti newyorkesi col cappellino dei Knicks, ex amanti di Matisse in Uber che insegnano ai nipoti come investire negli artisti giusti, alani maculati e barboncini da borsetta tra gin tonic e sportine ironiche come quella che dice “si cerca fidanzato temporaneo a Parigi”. Nella settimana dell’arte parigina va in scena un postmodernismo che sa già un po’ di vecchio, frotte di gente appena arrivate da Frieze, da Londra, che andranno a festeggiare nelle discoteche sotterranee di Place des Vosges fino all’alba con figlie di Harrison Ford, eredi di fortune immobiliari e forse qualche giovane Pinault o Arnault, per poi passare le giornate in hangover “in fiera”. Nel frattempo, dall’altra parte della Senna, nella dependance di un hotel particulier costruito nel 1728 per l’ex parruccaio arricchito marchese di Moras, è in corso una mostra che apparentemente sembra lontanissima dall’oggi.
Si chiama Corps In-visibles e racconta della statua che Auguste Rodin ideò e realizzò per celebrare lo scrittore Honoré de Balzac. Uomini morti, maschi bianchi, borghesi, echi dell’Ancien Régime, della Restaurazione e di quel primo Novecento che ha messo la rive gauche sulla mappa, eppure Corps In-visibles appare più attuale del mood che si respira nelle gallerie hip del quartiere ebraico, o delle emozioni che dovrebbe scaturire il grosso fungo spuntato a Place Vendôme, cortesia di Gagosian, o dei serpenti sbrilluccicanti di fronte all’Académie.
La mostra al Museo Rodin, appena aperta, diventa un’oasi dove far parlare i secoli tra loro. E poi l’assenza delle folle trascinate in città dal fandom di “Emily in Paris” fa sì che nel roseto spuntino senza paura i coniglietti che abitano lì senza essere uccisi dai flash e dagli “oh my God” delle americane in felpa. Curata da Marine Kisiel e Isabelle Collet, la mostra racconta delle difficoltà sorte nel decantare il prolificissimo autore della Commedia umana. La storia di un’opera d’arte che potrebbe esser banale, non fosse che la scultura, pensata a fine Ottocento, riuscirà a essere eretta nella capitale solamente nel 1939, vent’anni dopo la morte di Rodin. Non solo, Rodin ebbe molti problemi a far approvare il modo in cui lui vedeva lo scrittore. Per quale motivo? Uno, in particolare: Balzac era troppo grasso. Quella che oggi si chiama “grassofobia” c’era già, il femminismo contemporaneo non si è inventato nulla. Da sempre gli uomini dibattono su corpi e rappresentazione, le dinamiche di oggi non hanno nulla di nuovo, se non eccessivi spazi social. Ma oltre questo, qui parliamo di come presentare al popolo, alla società, le fattezze di chi vogliamo celebrare, una questione pubblica.
“C’è un’attualità del monumento pubblico, che è un’eredità del Diciannovesimo secolo ma diventa una questione di oggi da quando c’è stato il movimento Black Lives Matter, movimento che ha spinto la comunità scientifica a ristudiare la monumentalità negli spazi pubblici”, dice al Foglio la curatrice Kisiel. “Quello che abbiamo visto in America, a Bristol o in Martinica contro le statue non è solo controcultura o vandalismo, è un’occasione per studiare e capire il rapporto con il corpo anche nel passato, e con le statue. Il corpo di Balzac è stato cancellato, come diremmo oggi. E’ bello se le mostre parlano di un passato che non è necessariamente distante dal presente, non come una sorta di sogno storico ma qualcosa che ci aiuta a capire l’oggi”.
Andiamo per ordine. Balzac muore nel 1850. Nonostante la grande fama, solamente nel 1883 la Société des gens de lettres de France – l’organizzazione dei letterati francesi di cui lui era stato fondatore – decide di onorarlo con una statua da mettere in una via della città che con così tanta precisione aveva descritto nei suoi romanzi. Le cose però vanno per le lunghe e dopo alcune proposte non accettate solo nel 1891 il presidente della Société, Émile Zola, decide di affidare la statua al grande Rodin. Ha tempo 18 mesi per presentarla e produrla. Lo scultore, prima di mettersi al lavoro, decide che vuole informarsi a dovere per realizzare un ritratto fedele. Inizia così a studiare i libri, parla con persone ancora in vita che hanno conosciuto Balzac, addirittura va a casa di un bizzarro personaggio, il Visconte Spoelberch de Lovenjoul, che nella sua palazzina di Bruxelles ha raccolto tutto ciò che Balzac avesse mai scritto, e qualsiasi rappresentazione dello scrittore che esistesse in Europa. Busti, stampe, miniature, disegni.
Ma uscito da casa del collezionista, Rodin è ancora confuso. Quel bagno di iconografia da groupie non l’ha soddisfatto. L’unica certezza dell’immagine dell’autore di Illusioni perdute che emerge è la grassezza. Il doppio mento, la faccia pasciuta e soprattutto il pancione. Nelle caricature è una grossa curva che prende mezza pagina. In altre immagini sui giornali di fine secolo Balzac è un tappetto deforme, esageratamente stempiato e con baffi comici. Un giornalista dell’epoca scrive delle dimensioni dello scrittore: “Torace e stomaco del romanziere avevano la stessa circonferenza, doveva sembrare una giara per il tabacco”. Ormai Rodin è ossessionato dal corpo dello scrittore. Vuole conoscerne le misure esatte. Vuole arrivare a una verità. E così va a cercare dove la precisione è fondamentale: nella sartoria.
Nel suo libro Dérobades, che Kisiel ha scritto in occasione della mostra, si racconta di Rodin che si presenta a casa di quello che era stato per anni il sarto dello scrittore, René Pion. Con la sua “barba grigia ondulante”, con “quell’aria da Mosè michelangiolesco” che tanto gli piace sfoggiare ai fotografi, Rodin va in un paesino della Loira a chiedere “le precise” misure dei vestiti dell’illustre cliente. Rodin ordina un completo a Pion con le misurazioni esatte e lo riporta nel suo studio a Parigi. All’epoca la sartoria era diventata estremamente scientifica. Sarti ed esperti cercavano di creare tabelle e tavole e modelli per ottenere le misure perfette per ogni abito. Parigi era già la città della moda. E lo stesso Balzac aveva scritto un Trattato della vita elegante, dove si chiede se l’abito non facesse davvero il monaco. Scrive anche, con pseudonimo, un trattato sulle cravatte dove arriva a dire: “La cravatta, è l’uomo; è attraverso di essa che l’uomo si rivela e manifesta”.
Ma a Rodin la sartoria ancora non basta, la precisione numerica non è sufficiente per soddisfare quello che sembra essere un insaziabile desiderio di perfezione. Nel frattempo, è sempre più in ritardo con la consegna. Rodin decide di andare nella regione di nascita dello scrittore per cercare, tra il popolo, qualcuno che gli assomigli. Trova un uomo, un carrettiere, dalle parti di Tours, nel centro della Francia, che ha le stesse misure di Balzac e anche una certa somiglianza del volto. Lo arruola e diventa suo modello. Fa delle maschere usando la sua faccia. Fa dei calchi del suo corpo per studiarne la corpulenza taurina. Abbiamo delle foto del povero carrettiere che si ritrova a cercare di sembrare Balzac nell’atelier dello scultore.
E così, con l’aiuto del carrettiere, delle misure e della collezione di icone, Rodin finalmente inizia a lavorare ad alcuni prototipi. Presenta alcune sue versioni di Balzac alla Société degli scrittori, ma vengono rifiutate (Zola non è più presidente). Rodin che voleva mostrare Balzac come “colossale, fenomenale come creatore di mondi” – parole sue – e viene criticato perché ha rappresentato Balzac come un panzone forzuto senza collo. Un giornalista dell’epoca dice che “lo scultore ha voluto mostrare Balzac come un lottatore, con uno stomaco enorme e le gambe divaricate, più preoccupato a cercare una reale somiglianza che non rappresentare l’idea che generalmente si ha di lui”. Théophile Gautier descriveva il corpo dell’amico Balzac come “quello di un atleta, di un toro, come un pezzo di colonna, senza alcuna muscolatura evidente”.
La société dice a Rodin che potrebbe provare a creare una statua dove magari Balzac è più giovane, prima della panza. Come spiegano le curatrici della mostra nel Diciannovesimo secolo la magrezza era ben più preferibile alla grassezza. Soprattutto negli uomini. Balzac riceve spesso varie etichette. Ci sono Balzac il conservatore, Balzac il monarchico, Balzac il cattolico, Balzac il caffeinomane, Balzac il pessimo imprenditore, Balzac troppo preso dalla scrittura per vivere davvero quello di cui scriveva, e adesso Balzac il ciccione. Dicono le curatrici: “Un genio come Balzac all’epoca non poteva essere visto come tozzo e panciuto”. Non è un caso che la mostra si apra con i video dei monumenti pubblici coperti di vernice da giovani manifestanti, e si chiuda con la statua gigante di una donna anonima – nera, in tuta, che scrolla lo smartphone – dell’artista Thomas J. Price. Ogni processo di rappresentazione di una figura celebre, non solo a posteriori, riceve critiche. Esistono dall’Atene antica codici per rappresentare gli intellettuali noti, come eroi dell’intelletto, come rappresentanti di virtù – “Ciascuna epoca si crea gli intellettuali che le servono”, scrive Paul Zanker nel suo libro La maschera di Socrate.
La società, in quel fine Ottocento, boccia Rodin, che ci riprova, anche se sono passati tre anni dall’incarico. E siccome Balzac era sempre stato rappresentato in due modi – elegante e alla moda o nella sua camiciona di flanella da lavoro, la sua robe de chambre – Rodin sceglie il secondo, non potendolo mostrare nudo o cicciottello. “Dovrei vestirlo con la famosa vestaglia da monaco che indossava mentre scriveva, se crediamo alla leggenda?”, si chiede lo scultore. La sua soluzione è far diventare Balzac un fantasma, far uscire solo la sua testa, da un mantello che arriva sopra le scarpe. Non c’è più il corpo, nemmeno si intravedono le forme sotto. Balzac è diventato uno spettro. Fasciato nel telo appare più slanciato, leggero. Per realizzarlo Rodin prende una vera vestaglia e la ricopre di gesso, e ora (anche alla mostra) possiamo vedere quel guscio vuoto, usato come modello. Non c’è più l’uomo, solo il vestito, bianco e immobilizzato. Per uno dei membri della Société degli scrittori è una buona soluzione – “la cappa monacale è un ottimo pretesto per coprirlo generosamente e alleggerire l’apparenza del suo peso eccessivo”, dice.
La cappa bianca di Balzac è quella che vediamo nel ritratto che lui stesso aveva commissionato a Louis Boulanger (presente in mostra). Ritratto che allo scrittore non era piaciuto, criticando che si vedesse solo l’uomo e non la poesia. Parecchi anni dopo un altro scrittore verrà ritratto in quel modo, con la stessa camiciona bianca, Ernest Hemingway, in un olio di Waldo Pierce dal titolo Kid Balzac. Quello che passa in entrambe le immagini è il necessario monachesimo del mestiere, l’abito che fa il monaco, uniforme della solitudine. Dopotutto, diceva Gautier di Balzac, “era il benedettino della letteratura”. In un dagherrotipo di Balzac, appare molto meno mostruoso che nelle caricature. Non sembra per nulla il folletto rubicondo e sproporzionato, con la testa grossa e il sorrisetto quasi malefico.
Ma nel frattempo anche la statua monacale era stata rifiutata per questioni legate all’affaire Dreyfus, tutti i sostenitori di Rodin nel comitato erano dreyfusardi, come Zola, Monet e Cézanne. E così viene chiamato un altro scultore per eseguire da zero una nuova statua, l’amico di Rodin, Alexandre Falguière, che farà la statua di un Balzac giovane e pensoso, prima della ciccia. Secondo il critico inglese John Berger la statua di Rodin nasconde altro. Scrive che è una “scultura di un uomo di enorme potere, che percorre il mondo a grandi passi. Rodin la considerava il suo capolavoro. Tutti coloro che hanno scritto su Rodin sono concordi nel dire che si identificava con Balzac. In uno dei suoi studi di nudo per il monumento, il significato sessuale è esplicito: la mano destra stringe il pene eretto. E’ un monumento alla potenza maschile”.
Nella mostra Corps In-visibles vediamo le varie fasi che portano alla statua finale di Rodin. Ci sono i vestiti dell’epoca, le liste del sarto di Balzac, le misure precise dello scrittore sul muro – era alto un metro e 68 – e poi un’ampia collezione di vestaglie da casa, quelle usate per stare alla scrivania a scrivere, ma anche le sue simpatiche bretelle. E poi foto, dagherrotipi, libretti e caricature, calchi e modelli e studi. Tutti i pezzi che raccontano della statua che solo molto tempo dopo la morte di Rodin finirà in strada, in boulevard Raspail. Sotto ci si faranno fotografare anche Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir.
La storia di questo monumento ci fa anche pensare a come celebreremmo oggi gli scrittori contemporanei se dovessimo metterli su un piedistallo. Rappresentati nei loro vestiti da casa o nei loro vestiti da Strega? Perché anche nell’editoria la moda, unico vero potere forte e tentacolare in Italia, è entrata a gamba tesa. Al Ninfeo Donatella Di Pietrantonio in abito Etro e Raffaella Romagnolo vestita Missoni. O il televisivissimo Gianrico Carofiglio con la sua mise da judoka impiegatizio. E poi Mario Desiati, solitamente in k-way, che bevve il liquore di Benevento con chocker e eyeliner, Emanuele Trevi invece con le scarpe della Lidl – verrebbero bene in bronzo?