Il Foglio Weekend

Miseria e nobiltà tra cinema e palazzi romani. Il racconto di Enrico Vanzina

Michele Masneri

Il nuovo romanzo dello sceneggiatore si intitola "Noblesse oblige"

Sì, questa è la trecentomillesima intervista a Enrico Vanzina, ma qui ci concentreremo su un tema specifico. Qui si parla di quella cosa che interessa a tutti, salvo chi mente. Cioè la nobiltà. “Noblesse oblige” si intitola il nuovo romanzo del Nostro, appena uscito per HarperCollins, romanzo comico un po’ alla Wodehouse ambientato negli anni Ottanta che ha come protagonista Ascanio della Scaletta, un simpatico principe romano senza una lira. Principe romano è diverso da un principe mettiamo siciliano o napoletano. “Anche D’Annunzio nel Piacere fa rispondere al suo protagonista, alla domanda su chi vorrebbe mai essere, ‘principe romano’, è una cosa diversa da tutte le altre”, dice Vanzina. “I papi in famiglia, la storia… Infatti nel libro c’è una nobile toscana che già di suo è duchessa, ma vuole fare l’upgrade sposando Ascanio”. Ecco, i nobili toscani. “Categoria a sé stante. L’olio bono, il podere, il pic nic in fattoria. Sono molto chic, molto british, con quelle giacche spinose di tweed. Certo, un po’ maniaci della caccia”. I napoletani? “Ero molto amico di Pupetto Sirignano, il più famoso signore di Capri. Discendeva da San Gennaro e raccontava che il giorno del Santo gli compariva una macchiolina sulla pelle”. I siciliani? “Loro si sentono i più principi di tutti. Andavo a scuola con Vicky Alliata. Fu la prima traduttrice di Tolkien in italiano”.  

 

E i romani, dunque? “Sono più simpatici, più connessi al popolo. Io ne ho conosciuti di straordinari. A partire dai Ruspoli che erano miei vicini di casa. C’era Dado, il famoso playboy celebre per girare con un pappagallo sulla spalla. Ma io l’ho conosciuto che era già grande, e a me colpiva soprattutto la gentilezza. Andavamo a colazione da Settimio. Il principe romano tratta tutti davvero allo stesso modo, i camerieri come i suoi pari”. E poi Lillìo, mitico. “Era straordinario, don Sforza Ruspoli detto Lillìo. Aveva fondato un suo partito molto di destra con lo slogan ‘meglio nobili che ignobili’, e in un certo senso è vero.  Diceva anche che il nobile più nobile che avesse mai conosciuto era il suo consuocero, di professione capostazione. Ed  Era bravissimo a fare discorsi, anche, perché i nobili sono bravissimi in questo, non so perché. Un altro che eccelleva in questa attività era Carlo Giovanelli”. Il più mondano di tutti. Si diceva che non avesse la cucina a casa, tanti gli eventi a cui partecipava. “Può essere”, ride Vanzina. “Comunque eravamo all’Argentario un’estate di tanti anni fa e lui fece appunto uno straordinario discorso, su come si vestono le persone al mare. Elsa Martinelli era estasiata.

 

Perché i nobili spesso hanno una chiave di lettura privilegiata sul mondo. Hanno il senso del tempo, non sono immersi come tutti noi nella contemporaneità sfrenata. E poi sanno stare al loro posto, non sgomitano, in un mondo come quello di oggi dove tutti vogliono essere qualcosa d’altro”. Alla fine un marchese coglione è spesso meglio di un professore universitario, diceva Arbasino. “Che era pazzo dei nobili”. Già. Domietta del Drago era diventata la protagonista di “Fratelli d’Italia”. Non il film con Christian De Sica, il romanzo. Ma sta pure in “Vacanze di Natale”. Dove  De Sica a Cortina dice di avere un regalo di Natale per la principessa. “Ah, a Christian io e mio fratello Carlo facemmo interpretare anche un nobile spagnolo in ‘Viuuulentemente mia’, con Laura Antonelli”. Quello del cochinillo asado! “Esatto. Lì fa un’imitazione perfetta di Fabiolo, che era il fratello di Fabiola, la cattolicissima moglie spagnola del re del Belgio. Don Jaime de Mora y Aragon, detto Fabiolo,  viveva a Roma, ed era mondanissimo a differenza della sorella. Faceva l’attore e il cantante, aveva scritto un ‘Baldovino cha cha cha’ sul cognato re del Belgio e sosteneva che ‘Potrei vivere da milionario in Spagna, ma sarei infelice, preferisco fare debiti all’estero’.

 

Frequentava molto il cinema come del resto tanti nobili romani. Perché vede, a Roma i nobili hanno sempre ricercato la compagnia della gente del cinema. Li volevano conoscere, si volevano divertire. La gente del cinema è simpatica e ha sempre tante storie da raccontare. Poi succedeva che a sua volta il cinema li imitava, li portava sullo schermo. C’è quella scena meravigliosa di ‘Una vita difficile’, in cui Alberto Sordi è un giornalista spiantato e con la moglie, Lea Massari, non mangiano da giorni, finché non vengono provvidenzialmente invitati una sera a cena dai marchesi Rustichelli, una famiglia piemontese super monarchica, ma è la sera del referendum sulla scelta tra monarchia e repubblica, e mentre mangiano arrivano i risultati che proclamano la repubblica e i padroni di casa vanno nel panico. Lì lo studio dei personaggi è perfetto, c’è la vecchia principessa con la retina in testa che si chiede perché gli italiani ce l’abbiano tanto col Re. Perché! Perché! E in quella scena si capisce un’epoca”. Sordi era un po’ fissato con i nobili. “Assolutamente, ne era affascinato. Era un mondo che trovava rassicurante. Ricordo una volta che eravamo a Montecarlo, invitati al festival del cinema organizzato da Ezio Greggio; eravamo lì con tante persone importanti, Monicelli, attori stranieri, ma  Sordi non volle stare assolutamente con noi. ‘Ma che sei matto’, mi fa, e corre a sedersi invece a un tavolo con Maria Gabriella di Savoia. La quale stava raccontando che nella sua villa al Bois de Boulogne a Parigi era improvvisamente entrato un furetto; allora poi lui venne da noi imitandola, il fuvetto, il fuvetto! Come al solito Sordi osservava e riproduceva la realtà alla perfezione, anche quei nobili che metteva spesso nei suoi film, spesso decaduti, come il marchese Stucchi nel ‘Vedovo’.  Quello di ‘che fa marchese, spinge?’, un nobile impoverito ridotto a fare da assistente al Sordi imprenditore cialtrone, il ‘Cretinetti’. Sordi poi ha fatto la più straordinaria interpretazione di un nobile romano nell’episodio dei ‘Nuovi mostri’ del ‘Navigatore solitario’, quando impersona un altro principe romano, Giovan Maria Catalan Belmonte, un ubriacone che gira per Roma a bordo della sua Rolls-Royce bianca, e raccatta un poveraccio che ha avuto un incidente, mentre deve andare da una sua parente coinvolta nello scisma del vescovo Lefebvre. Nel ‘Conte Max’, per un equivoco, si finge invece il conte Max Orsini Varaldo. E in ‘Piccola Posta’ ancora  faceva il finto barone Rodolfo Vanzino di Castelfusano d’Arezzo”. Vanzino! “Sì. E poi naturalmente il  marchese del Grillo”.

 

Spesso nobili e cinematografari si sono anche sposati tra loro.  “Certo, ci sono stati molti incroci, alcuni hanno funzionato altri no. La stessa Elsa Martinelli aveva sposato un conte. Non andò bene nel caso di Belinda Lee, l’attrice americana che ebbe una storia col principe Orsini, che era il principe assistente al soglio pontificio. Lo scandalo fu talmente enorme che il Vaticano tolse per sempre alla famiglia quella carica. Ma la Dolce Vita era nata così, coi nobili che si mischiavano  alla gente di cinema. Col  compleanno di Olghina di Robilant, e la ballerina turca Aiché Nanà che si denuda davanti a tutti i nobili presenti. Flaiano e Fellini osservavano e mettevano in scena. Tanti del cinema erano poi nobili loro stessi: Mario Camerini per esempio era un duca, e aveva una grande allure, come Visconti. Pur essendo amico di Nenni. Anche Patroni Griffi era nobile. La stessa Marina Cicogna, la donna che capiva più di cinema che ho mai conosciuto. Nipote dell’inventore del festival di Venezia. Questi nobili portavano una visione anche estetica, avevano viaggiato, erano internazionali, avevano un’idea laica delle cose. Oggi il cinema direi che è più piccoloborghese, e dunque moralista”. 

 

Senta Vanzina, ma lei non sarà mica monarchico? “Ma per carità, io sono un fervente repubblicano. Era mia mamma la monarchica in famiglia. Era stata partigiana ma appunto tra le schiere monarchiche. Lavorava alla Farnesina e sognava che noi fratelli Vanzina facessimo i diplomatici, e da piccoli aveva scelto per noi una mademoiselle, come si diceva allora, cioè una tata, che si chiamava Lisetta, che era stata dai Ruspoli e questo era molto importante per lei. Lisetta era stata suora e poi se n’era andata dal convento; ed era di uno snobismo feroce. Ci portava a giocare nei giardinetti dove secondo lei si trovavano i figli dei nobili”. Ma contano ancora qualcosa questi nobili? “Secondo me sì. Non certo nel senso che hanno un vero potere. Però quando c’è un principe vero, quando conosci qualcuno che magari ha tre papi in famiglia, fa effetto. E chi dice di no non dice la verità”. 

 

A Milano ne hanno pochi  di papi  in famiglia. “A Milano l’aristocrazia ha sempre contato meno.  A Milano i re sono gli stilisti, i finanzieri, gli influencer. A Milano c’è la borghesia. Ma a Roma è l’aristocrazia stessa che ha ucciso la borghesia, non le ha permesso di nascere, questa è la sua grande vendetta. Perché in realtà, essendo una città papalina e con una forte aristocrazia, il sogno di qualsiasi borghese arricchito è  far diventare la figlia principessa”. Come gli arricchiti Covelli di “Vacanze di Natale” che sono estasiati di passare capodanno “dai Fürstenberg”. “Ah, Egon me lo raccontava sempre. Con quel film mi fermano per strada”. Ira, sua sorella, mancata qualche tempo fa, aveva fatto un po’ di cinema. “Sì, anche nel 'Dottor Tersilli', dove c’è anche il conte Nuvoletti che fa il chirurgo Azzarini. Nuvoletti era fantastico”. Era detto l’autonobile Fiat, perché aveva sposato Clara Agnelli. “A Cortina quando arrivava con le sue pellicce si fermava il traffico”. Perché poi ci sono pure i nobili prestati al cinema. “Uno dei più straordinari era Antonino Faà di Bruno. Era un generale, un signore distintissimo di antica famiglia piemontese che era stato militare di carriera e una volta in pensione si dette al cinema. E’ famoso soprattutto per aver interpretato il duca conte Semenzara, il mega direttore che si porta Fantozzi a giocare al  casinò. Ma aveva fatto anche ‘Vogliamo i colonnelli’ di Monicelli”.  

 

Un’altra che sogna la nobilitazione è “la pantera di Vigna Clara”, uno dei personaggi del romanzo di Vanzina, una ricca burina che sogna di sposare il principe Ascanio della Scaletta. “Che si chiama della Scaletta come i conti della scaletta, quelli detti così perché nominati in fretta e furia da re Umberto  mentre partiva per l’esilio, sulla scaletta dell’aereo a Ciampino, appunto. Anche se il mio Ascanio è invece di casato antichissimo”. Tornando al Nord, se tutti i borghesi hanno sempre cercato di nobilitarsi, vedi gli Agnelli, che hanno fatto man bassa di blasoni, la famiglia Berlusconi invece è sempre stata immune da questa mania. “E’ vero, in questo Berlusconi è stato sempre orgogliosamente borghese”. A Roma poi c’è quel meraviglioso mondo dei finti nobili, che si ritrovano tra di loro, coi cognomi e titoli inventati, si danno le decorazioni, eccetera. In qualunque altra città verrebbero denunciati, additati a pubblico ludibrio, a Roma invece sono affettuosamente accettati. “Ma sì, ci sono personaggi straordinari, come la famosa marchesa del Secco d’Aragona”. O Kunz d’Asburgo, che però sta a Forte dei Marmi. E a Roma invece c’è la finta nipote di Hailé Sélassié, ultimo imperatore d’Etiopia, che va al Grande Fratello. “Ma una volta c’erano i re e le regine vere. Quando ero piccolo io, a Roma vivevano un sacco di reali in esilio. C’era Juan Carlos, c’erano Costantino e Federica di Grecia e altri. Mi ricordo che a piazza Borghese c’era questa  trattoria, la Fontanella. Ci andavo sempre con mio padre e un giorno entriamo, e c’è questo tavolo con la regina d’Olanda e altri. Un tavolo tutto di re. Mio padre non resiste e va a origliare. Poi torna. Gli chiediamo di costa stanno parlando i re. “Di cameriere”.  

 

“Un altro grande esperto di case reali era Mario d’Urso. A un certo punto mi raccontò che doveva ospitare a casa sua un’altezza reale inglese, e insomma aveva organizzato tutto alla grande, nei minimi dettagli, ma quando quella arriva, chiede di andare subito nelle cucine. Per fare uno spuntino? -  chiede d’Urso sorpreso. No, per lucidare l’argenteria, risponde l’altezza reale, perché era l’unica attività che la distendesse. Chiese se avessero del Sidol in casa. L’ho messo anche nel libro questo aneddoto. Perché poi i re e i principi veri sono il contrario dello snobismo. Come scrive Proust, loro sono ben consapevoli del loro status, e dunque non hanno nessun complesso. Nessuna affettazione. Il problema vero sono gli snob. Sono gli snob che sono, loro sì,  insopportabili”. 


 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).