Cristiano Malgioglio durante l’ultima puntata di “Tale e Quale Show” su Rai 1 a novembre (Ansa/Riccardo Antimiani) 

Il Foglio del weekend

Malgioglio e peperoncino: chi è il vero trionfatore del Capodanno

Michele Masneri

Occupa l’intero spettro televisivo, più di Mattarella a reti unificate, tra il “vero” e le sue imitazioni. E poi ci sono i tormentoni e Instagram. Non desta mai scandalo perché ha scelto di essere creatura asessuata, di fantasia. “I bambini mi adorano perché mi vedono come un puffo”, ha detto

Alla fine il vero campione di Capodanno è stato lui, non Tony Effe, non la Premiata Forneria Marconi, bensì Cristiano Malgioglio. Trionfatore indiscusso della kermesse canora, col concerto di Rai 1 in diretta da Reggio Calabria. E lì tra i Ricchi e poveri in tenuta da sci e le solite bestemmie o improperi che funestano questa manifestazione (indimenticabile il caso di Matera 2016) Malgioglio si è reso ancora una volta protagonista tra paillettes e lustrini, anche permettendosi ciò che ad altri non sarebbe concesso: in un segmento in cui il presentatore, l’istituzionale Marco Liorni lo intervistava a proposito dei tanti maschi evocati nelle sue canzoni, e Malgioglio rispondeva davanti al placido popolo di Rai 1 che “quello giusto mi aspetta in camera in albergo, qui a Reggio Calabria”, insomma un dialogo ammetterete inusuale per TeleMeloni Christmas Edition, ma che nessuno scandalo ha causato e anzi ha confermato Malgioglio eroe nazionale e anzi nazional popolare. Confesso di aver visto uno spezzone del famigerato concertone di Rai 1 in un raro consesso di ricchi eleganti romani un poco agé e rigorosamente eterosessuali, e tutti dicevano “adesso arriva la Malgioglia”, come se fosse un cartone animato, come se fosse uno di casa: dunque la consacrazione finale di un personaggio e una carriera come ce ne sono davvero poche in Italia. Tra l’altro splendido ottantenne, con l’agognato traguardo che arriverà ad aprile, e un percorso unico tra celebrità un po’ trash televisiva e invece parallelo status di raffinato paroliere di tutte le grandi signore dello spettacolo: Mina, soprattutto, e Zanicchi. E Patty Pravo e Milva e Dori Ghezzi e Amanda Lear.

 

Ma ultimamente è soprattutto star televisiva. Malgioglio occupa l’intero spettro televisivo più di Mattarella a reti unificate, tra l’altro tra Malgioglio “vero” e in versione imitazione, non c’è programma dove il suo faccione col ciuffo bianco e gli occhialoni da quindici pollici e l’accento sapientemente enfatizzato come una Grace Jones calabro-catanese non sia a favore di telecamera. Fa il severo giurato a Tale e quale show, dove persone comuni si improvvisano imitatori di grandi star, con una grande vedova nera in testa o con un enorme cuore di peluche emettendo verdetti al vetriolo (“vestito terribile”; “interpretazione disastrosa”); è giurato nel “serale” di Amici di Maria De Filippi; è imitato da Max Giusti in Che tempo che fa di Fazio dove talvolta si trovano sia l’originale che la sua imitazione; e si è trovato anche di fronte a Carmen Di Pietro che interpretava lui sempre a Tale e quale. Oltre a questo cortocircuito che non conosce uguali, cacciato dalla porta degli old media rientra dalla finestra dei new, sotto forma di clip che riportano i suoi scazzi, veri o finti, con le varie Marie De Filippi e Barbare D’Urso, e poi alimentando l’Instagram col suo milione e passa di follower rilancia i suoi tormentoni; al momento i due singoli, “Rosa mentirosa”, e “Rosa tormento” dal suo ultimo album, il trentunesimo. Insomma Malgioglio è una speranza per tutti, confermando anche che la vita in Italia comincia dopo i 70 anni. Bisogna mangiare sano e fare esercizio fisico perché alle soglie della pensione poi è tutto in discesa.

 

Almeno ad essere Malgioglio. Che ha saputo attraversare tutte le fasi e tutti i media: ha fatto i Sanremo, tramite le sue interpreti; con Zanicchi ha cominciato, piazzandola al primo posto nel ’74 con Ciao cara come stai. E poi una sequela di pezzi famosi, classici, alcuni trash, da Gelato al cioccolato di Pupo a Pelame, Sbucciami, cantato in proprio, a Cocktail d’amore scritta per Stefania Rotolo, a L’importante è finire e  Ancora ancora ancora, cantate da Mina, la sua collaborazione più celebre. 

 

E poi le prime Isole dei famosi, i Grandi Fratelli, tutto ha fatto “lo struzzo di Ramacca” come lo ha appellato, in una ideale suddivisione geopolitica, tra le aquile di Ligonchio e le tigri di Cremona, Nino Frassica, per via del ciuffo bianco e la nascita nel paesone del catanese. “E poi c’è Cristiano Malgioglio da Ramacca, ammirevole perché alla sua età ha ancora voglia di coprirsi di piume e di tutto quel suo mondo sgorgante kitsch, il più coerente codice di vita italiana” ha scritto Aldo Grasso, ed effettivamente un plauso va al grande professionismo di passare l’ultimo dell’anno sul lungomare Italo Falcomatà di Reggio Calabria, e poi a una festa al “Via Veneto club” specifica Reggio Today (“Non chiamatela semplicemente movida, a Reggio Calabria si respira quella Dolce Vita che forse nelle città abituali residenze di cantanti e attori non fa più effetto”). 

 

Soprattutto quando si potrebbe rimanere reclusi magari a St. Moritz o al Terminillo o a Lugano come la sua Mina. E invece si lavora. “Singer, composer, showman, producer”, sta scritto sul suo profilo Instagram. E insomma sarebbe il nostro Quincy Jones, ma poi in tv dice “rèstaurant”, come si legge, e fa finta di non saper nessuna lingua, con l’autoironia che depotenzia tutto e non spaventa. Quando scrisse per Iva Zanicchi Testarda io, che fu inserita anche nella colonna sonora di Gruppo di famiglia in un interno di Visconti, raccontò uno dei soliti aneddoti surreali. “Ero alla casa discografica, mi chiamano: ‘C’è il maestro Visconti, vuole parlarle’, pensavo fosse un maestro del liscio”, ha detto a Repubblica. Quest’arte della dissimulazione, insieme all’autoironia, l’hanno aiutato evidentemente a superare le ère storiche e gli sconquassi della gloria. 

 

Nel giugno 2006 per esempio è stato coinvolto nell’inchiesta Vallettopoli, basata su uno scandalo nel quale sono rimasti implicati altri personaggi; in realtà non fu mai indagato ma solo ascoltato come persona informata dei fatti, “il pm Woodcock prendendomi la mano mi aveva detto di stare tranquillo e che non avrei avuto niente da temere perché sono una persona buona”, raccontò. Poi andò in pellegrinaggio a Fatima. Forse grazie all’intercessione della Madonna a quel crollo di fortuna e temporaneo oscuramento seguì il ripescaggio da parte di Piero Chiambretti con cui fece una serie di programmi di successo che l’hanno rilanciato. 

 

Importante: non è mai stato considerato un’icona di sinistra. Naturalmente non ha mai reso nota una sua eventuale collocazione politica, si è sempre detto equidistante, e ciò deve far parte della efficace strategia di galleggiamento tra tv pubblica e privata e show business per tutto il Dopoguerra; “amo Salvini se mantiene quello che dice”, ha detto in un’intervista. “Ma Bersani mi rassicura”; ha raccontato d’essere stato più volte sondato per scendere in campo, ma niente. Di sicuro non ha mai fatto mistero del suo fascino per Berlusconi, e lì c’è il caso clamoroso della canzone Caro Berlusconi, rifacimento del suo stesso pezzo “Caro presidente”, riadattato all’uopo per il Cavaliere: “Caro Berlusconi, se solo mi notasse / Sarei il più bel volto internazionale / Lei potente, io niente, eroe di mamma mia solamente / Mi risponda, per favore, non cestini questa lettera mia, dottore! / In estate alle Bahamas se non è alle Barbados / Ha l’aereo personale, ma lei sa volare / E pensare quante donne al suo passare, su le gonne! Quanti amori interessanti, chi le dice di no? / No, no, no, no!”. In un’industria culturale che spesso ha fatturato sull’antiberlusconismo, lui pur ironicamente si è distinto. Scegliendo d’essere nazional popolare, sempre. E se di Malgioglio si ricorda soprattutto il sodalizio con Zanicchi, un’altra grande signora della canzone italiana, Ornella Vanoni, talvolta ha preferito parolieri più dotati di chic certificato di sinistra come Ivano Fossati. Ma forse si deve anche a un fattore antropologico, e geopolitico, perché Malgioglio è calore del sud, è variopinto Mezzogiorno, è Catania e Calabria, coi suoi outfit strampalati e oltre la fantasia di qualsiasi modista della Marangoni, che si disegna peraltro da solo. E’ un Versace freak, un Karl Lagerfeld alla cassata, che ha preso e accettato in toto la diversità mediterranea e ne ha fatto un personaggio totale nel suo personale sudamericano; e qui viene anche la contrapposizione geopolitica con un artista quasi simmetrico come Ivan Cattaneo, anche se lui più lombardo, e con un’estetica inizialmente più da Plastic, da Memphis, da nord postindustriale, luci fredde e cementite, direbbe Arbasino. Finito pure quello a un Grande Fratello ed uscitone malamente, mentre “Malgy” nel microcosmo rarefatto e tamarro della “casa” sguazzava, producendosi anche  in gag poi proverbiali  (“io non lavo più un piatto. Non sono una lavastoviglie”, detto in turbante giallo, che ricordava Totò in “lei con gli occhi mi spoglia, spogliatoio!”). 

 

Con quel ciuffo, Malgioglio può dire ciò che vuole e scappare anche alle censure nuove e vecchie. Omosessualità della terza età, poligamia, libertinaggio, vestiti a dir poco gender fluid, all’istituzionale Marco Liorni che al Capodanno reggino gli chiedeva, tra una hit e l’altra, se c’è un uomo nella sua vita, dato che nella hit Fernando c’è una sequela di uomini (“Mi guarda Carlos Mi scrive Osman Mi cerca Onur Mi vuole Kevin Mi stressa Mohammed Mi ama Murat E se mi chiama Ronaldo Ti lascio l’amaro, Fernando”), Malgioglio rispondeva appunto tranquillamente che l’uomo ce l’ha eccome e lo aspetta in camera. A Reggio Calabria. 

 

Ma poteva essere Los Angeles, o Cuba. Perché Malgioglio è imprendibile, e apolide. Si sa che ha casa a Milano e pure a Roma, però è difficilmente collocabile, vive in una dimensione sua. Dimensione anche tropicale, tra l’Italia e proprio Cuba dove dice di recarsi spesso; e prima c’era stato il Brasile di Roberto Carlos,  cantante carioca che affidò al Nostro le traduzioni delle sue canzoni. C’è molto Carmen Miranda in Malgioglio: “quando vedo la frutta e i pomodori al supermercato per me sono meglio degli smeraldi”, ha detto in una delle mille interviste tv. Da Reggio Calabria al Sudamerica, pare che abbia vissuto qualche anno ai tropici – “Cuba mi ha dato tanto, ho conosciuto Gabriel García Márquez, tremavo quando gli ho chiesto l’autografo. Non me l’ha voluto fare, poi però mi mandò Cent’anni di solitudine con la dedica. Sono legato alla nipote di Fidel Castro, Mariela: ero al suo fianco nella campagna per i diritti dei gay” - ma non si capisce mai cosa è vero e cosa no nella biografia magica e nel name dropping sgangherato di questo ragazzo di 80 anni, e questo è parte del fascino. La sua celebre sconclusionata aneddotica è immaginifica, cartoonistica: gli incontri con le grandi star che però sembrano quasi casuali, “avevo conosciuto Madonna a Cagliari in un programma di Jocelyn su Telemontecarlo”; “ero con Dori (Ghezzi); l’ho presentata a Fabrizio ed è subito nato il colpo di fulmine”; dice pure di essere parente di Lady Gaga. 

 

E il ragazzo che l’attendeva in hotel a Reggio Calabria era forse il turco di 39 anni che qualche tempo fa Malgioglio aveva rivelato come grande amore, subito aggiungendo di averlo “incontrato al gran bazar di Istanbul”, cioè di nuovo una realtà romanzesca (c’è una sottocategoria negli Harmony per queste avventure spagnolesche e orientali) che mette d’accordo la signora di Reggio Calabria o di Voghera che fa la fila per andare a vedere Diamanti  di Ozpetek (un altro furbissimo ad aver capito come vanno le cose e ad aver assecondato un gusto “in stile”) ed è apertissima a un’omosessualità mediterranea e non problematica o problematica come poteva esserlo nell’Ottocento, tra Yanez e la Turandot, con l’occasionale omofobo però spiazzato dai lustrini e dal ciuffo bianco. Insomma, non certo utero in affitto e modernità, ma feuilleton da “Turco in Italia”. Un omosessualismo magico come il realismo, più Salgari che Zan: e anche tanto Disney: Malgioglio non desta mai scandalo perché ha scelto di essere animale asessuato, di fantasia, sembra il Gabibbo o l’altra creatura del mondo di  Antonio Ricci, il Tenerone. “I bambini mi adorano perché mi vedono come un puffo”, ha detto. Ma puffo coraggioso: Malgioglio non si è mai nascosto neanche dietro quelle vecchie solfe che anche i migliori gay delle vecchie generazioni ripetevano: ah, come si stava bene coi marinaretti, ah, quella santa assenza di politicamente corretto, e senza tante rivendicazioni (che nessuno ha mai potuto verificare). “Spero che mettano a posto la legge Zan, vedere ragazzi buttati fuori di casa è tristissimo, ognuno deve essere libero. Mi ritengo fortunato, mai stato bullizzato. Ma la politica deve fare qualcosa”, ha detto. In questo non si è mai nascosto, e pur costruendo un personaggio un po’ macchietta, il nostro Quentin Crisp, il nostro Quincy Jones alla ’nduja, ha scelto la via maestra dello scandalo seppur per famiglie; e anche qui un simmetrico per certi versi illuminante è quello di Paolo Limiti, anche lui personaggio televisivo di enorme talento, anche lui gran paroliere, anche lui amatissimo magari da signore di Benevento e Brescia rapite dalle sue interviste alle dive in programmi seguitissimi come “Ci vediamo in tv” che magari sognavano di sposarlo, e i mariti magari ne erano gelosi; autore anche lui di Mina, di canzoni come Bugiardo e incosciente, La voce del silenzio, Sacumdì Sacumdà, Ballata d’autunno, e però ufficialmente coniugato nella sacra eterosessualità del palinsesto e del tubo catodico. 

 

Raccontando, dietro le parole e la mediazione delle grandi signore della canzone, magari vicende e drammi tra giovanotti che mai avrebbero avuto licenza di essere in certi tempi oscuri. Così raccontava Malgioglio che Ancora ancora ancora, forse il suo più grande successo per la Tigre di Cremona, nasceva così. “Avevo scritto per Mina una canzone, ma mi disse che non la convinceva perché voleva che dentro ci fosse del sesso. Ero disperato, a quel tempo avevo una storia con un ragazzo che non mi voleva più e, quando tornai a casa, mi sentii il cuore rotto: chi ce l’avrebbe fatta a scrivere un nuovo pezzo in quelle condizioni? Poi squillò il telefono e decisi di rispondere solo perché mia madre in quel periodo era in Sicilia e si sarebbe preoccupata se non l’avessi sentita. ‘Mamma’ risposi mentre piangevo. ‘Non sono la mamma, sono io. Dimmi che mi ami ancora’ disse il mio ragazzo dall’altra parte mentre io, di getto, gli feci ‘dimmelo ancora, ancora e ancora’. Da lì mi venne l’idea per costruire il pezzo che, alla fine, ripercorre tutta la mia storia con quel ragazzo. Naturalmente è un episodio che le racconto adesso perché sono passati tanti anni, altrimenti col cazzo che l’avrei detto”.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).