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il foglio del weekend
Le due inquisizioni d'America
Alla censura woke ora si aggiunge quella trumpista. La stupidità universale che cancella “Maus” e “1984”
Com’era bello il Primo emendamento della Costituzione americana, la più bella del mondo, quella vera, non quella italiana che della parola “libertà” fa un uso molto, troppo parco. Stabiliva, quel Primo emendamento, che nei nuovi Stati Uniti d’America la libertà di culto, di stampa, di parola, di riunione fossero un bene intoccabile, che le opinioni fossero inviolabili, che il diritto di critica, l’uso libero del linguaggio, il conflitto tra le idee contenessero un valore inestimabile. Ma oggi l’America è schiacciata nella tenaglia di un doppio fanatismo oscurantista. Negli antri bui della destra reazionaria e della sinistra progressista wokista (ammesso che destra e sinistra abbiano ancora un valore conoscitivo ed emotivo e non siano feticci da venerare fuori tempo massimo) è una gara a cancellare, vietare, incenerire l’indesiderato nei roghi di una doppia inquisizione.
Libri, opere d’arte, film, parole, classici della letteratura e della musica: sembra una riedizione di “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury, e proprio nel luogo, geografico e dell’anima, dove troneggia una statua che della libertà fa un commovente monumento. Una fosca parodia, perché nella realtà non solo americana si mescolano grottesco e tragedia, un misto di dramma e di farsa. Come il divieto imposto dagli squinternati inquisitori trumpiani che, preso possesso del Pentagono, vogliono cancellare il nome peccaminoso di Enola Gay, quello del bombardiere che scaraventò l’atomica su Hiroshima, ed eliminare le immagini storiche dei reparti dell’esercito con americani di colore e con le donne sotto le armi. Sembra una barzelletta, una caricatura del trumpiano inebetito e grossolano costruita dai suoi nemici, una satira dell’hillbilly, del “bifolco” degli Appalachi a cui Vance ha dedicato un’elegia (autobiografica). E del resto sembrava una barzelletta anche quando le combattive avanguardie dell’occhiuto reparto “cancel culture” se le prendevano con “La bella addormentata nel bosco” perché il principe azzurro le appioppa un bacio senza il consenso vidimato della suddetta, simbolo di predazione sessuale, con “Biancaneve” perché era bianca (troppa neve suprematista) e perché si canzonavano i nani, con “Peter Pan” perché offendeva i nativi americani chiamandoli pellerossa, con “Dumbo” perché si faceva body shaming per le grandi orecchie del delizioso elefantino.
Sembra una riedizione di “Fahrenheit 451”, e proprio nel luogo dove troneggia una statua che della libertà fa un commovente monumento
Sembra sempre tutto uno scherzo di cattivo gusto, all’inizio. Poi ti accorgi che sono tutti biglietti d’ingresso nel nuovo Regno della Stupidità Universale. Dove non si ride, ma si rimpiange, sprofondati nell’amarezza, il Primo emendamento oramai smarrito. E adesso, come in un gioco di specchi deformanti, quello che nelle fiere di paese fa appunto più piangere che ridere, anche i cancellatori dell’estrema destra se la prendono con “Biancaneve” troppo “inclusiva”. Una gara a chi cade di più nell’assurdo.
Ed eccoli in azione, i censori reazionari ringalluzziti. In alcuni stati a maggioranza repubblicana, più trumpisti dei trumpisti, più fanatici e peracottari di quelli che ad alto tasso alcolico si fanno beccare mentre svelano segreti militari in una chat non protetta, insomma nello Iowa, in Texas e in Florida, hanno messo al bando dalle biblioteche scolastiche migliaia di titoli, famosi e meno famosi. Se la sono presa con “Gender Queer” di Maia Kobabe: “Contenuti troppo espliciti”, ringhiano. Con “Amatissima” di Toni Morrison, perché esibisce troppi traumi e, “con linguaggio troppo crudo” “, l’orrore della schiavitù. Se la sono presa con “Wintergirls” di Laurie Halse Anderson perché tratterebbe con poca cautela il tema dei disturbi alimentari nelle adolescenti e metterebbe la sana America nelle mani di povere anoressiche.
La divisione Educazione del dipartimento della Difesa statunitense ha poi bandito dalle circa duecento scuole di sua competenza sparse per gli Stati Uniti “Becoming Nicole”, dove una famiglia osa accettare il figlio transgender. Ha messo fuori combattimento una biografia di Ruth Bader Ginsburg, una paladina della battaglia per l’eguaglianza delle donne che nel 1993 è entrata a far parte della Corte suprema. Poi, inesorabile, ecco apparire il ridicolo, il grottesco, lo stupefacente. Gettano nel fuoco anche un libro di Julianne Moore dedicato ai bambini perché parla di una ragazzina che fatica ad accettare, ferita dal bullismo dei coetanei, la sua faccia piena di lentiggini e i capelli rossi: censurata. E se la prendono anche con “Piccole donne”, sì, proprio con l’opera di Louisa May Alcott la cui prima parte è stata scritta nel 1868, che è stata letta da tutte le persone di genere femminile di almeno tre generazioni che ho avuto il piacere di conoscere e di frequentare, e che i trumpiani vogliono mettere al rogo perché rappresenta “un esempio non conforme ai ruoli tradizionali delle donne”.
Repubblicani più trumpisti dei trumpisti se la prendono con “Piccole donne”: “Un esempio non conforme ai ruoli tradizionali delle donne”
E poi si sono scagliati contro “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood, la profezia apocalittica (oggi definita con il termine insopportabilmente abusato di “distopia”) di un mondo in cui le donne sono interamente schiavizzate. Solo che con la Atwood, come si dice a Roma, sono capitati male, perché lei ha fabbricato una copia ignifuga del suo libro scomunicato tentando inutilmente, e platealmente, di incenerirlo con un lanciafiamme: un grande spettacolo. Li ha messi al loro posto, i paladini trumpiani del Regno della Stupidità Universale.
Con la Atwood sono capitati male: ha fabbricato una copia ignifuga del suo libro scomunicato tentando platealmente di incenerirlo. Spettacolo
La caratteristica saliente di questo Regno è che ciò che all’inizio sembrava impossibile, esageratamente allarmistico e totalmente fuori di testa diventa prima o poi realtà, e si assiste sgomenti alla trasformazione della realtà in sfrenata fantasia patologica. Se qualcuno avesse detto: quelli della cancel culture wokista e oscurantista di sinistra tenteranno di buttare giù una statua del “razzista” Lincoln, avresti detto che no, ma che vai dicendo, sarebbe stato assurdo assaltare una statua dedicata al presidente “razzista” che aveva abolito la schiavitù. E invece è accaduto. Inconcepibile bandire dalle università il “Tito Andronico” di Shakespeare per via della scena inquietante di uno stupro: e invece è accaduto. O censurare le “Baccanti” di Euripide per il suo contenuto sessista: e invece è accaduto. Oppure, per imitazione transoceanica, cancellare in Francia “Le supplici” di Eschilo per il suo sfrontato razzismo: è accaduto. Oppure, per imitazione italiana, cambiare il finale della “Carmen” di Bizet per non istigare al “femminicidio”: è accaduto anche questo, nella colta Firenze, addirittura in un’istituzione seria come il Maggio fiorentino, addirittura con l’approvazione dell’allora sindaco Nardella. Ed è accaduto che pure le “Metamorfosi” di Ovidio siano state messe al bando alla Columbia University perché arrecherebbero gravi disturbi psichici agli studenti con forti problema di identità.
Ed è accaduto che Beethoven sia stato accusato di essere un propagandista del “suprematismo bianco”, e il “Flauto magico” di Mozart pure. E dato che l’Inghilterra non voleva essere da meno degli Stati Uniti partoriti dal suo grembo, allora hanno deciso di boicottare a Londra una mostra di Paul Gauguin perché con tutte quelle ragazze polinesiane quell’artista spregevole non era che un pedofilo e un perfido colonialista. E sempre a Londra hanno dato un indignato stop all’esibizione di alcuni nudi di Egon Schiele, l’artista viennese che un secolo prima era stato messo ai margini perché colpevole di “oscenità” e un secolo dopo, cioè ai nostri giorni, viene messo ai margini per “divulgazione di immagini offensive per la donna”. Anche in Inghilterra non è uno scherzo, ma un incubo. Può sembrare uno scherzo la richiesta di cancellazione di “Mary Poppins”. Ma è terribilmente serio che la filosofa (lesbica) Kathleen Stock sia stata cacciata dopo essere stata bullizzata da cortei e minacce dall’Università del Sussex perché etichettata come “transfobica” (come la Rowling cui il progressista New York Times aveva cancellato la maternità della saga di Harry Potter) perché sosteneva che esistesse una irriducibile differenza biologica tra uomo e donna.
Ora, certo, i rapporti di forza sembrano radicalmente cambiati con l’avvento di Donald Trump, gli antiwokisti sono scatenati, e il predominio censorio dell’oscurantismo di sinistra sembra essere seriamente compromesso dalla spavalderia dell’oscurantismo censorio di destra. E’ una tenaglia illiberale che si stringe inesorabile sulla libertà d’espressione, un attacco concentrico a ciò che resta di una civiltà liberale. Non senza significative convergenze, che sembrano confermare l’antico e un po’ convenzionale adagio secondo cui gli estremi si tocchino e le due furie censorie si rispecchino l’un l’altra. Singolare la convergenza su “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee, demonizzato dai censori reazionari perché parla troppo di razzismo, e dai censori di sinistra perché il personaggio dell’avvocato Atticus Finch non sarebbe esente, malgrado faccia da difensore del nero accusato ingiustamente, da una certa tendenza al paternalismo ovviamente “razzista”. Stessa cervellotica convergenza su “Maus”, il graphic novel di Art Spiegelman dedicato all’Olocausto, già vincitore del Premio Pulitzer: contenuti troppo crudi e troppo “volgari” e addirittura “offensivi” per la delicata sensibilità dei poveri bimbi americani, e poi tutti quei topi nudi sterminati nelle camere a gas: troppo esplicito, da cancellare.
Singolare la convergenza su “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee, demonizzato dai censori reazionari e anche dai censori di sinistra
Ora la sinistra woke cancellatrice compulsiva è sulla difensiva. Le restano da manipolare un po’ di termini dell’opera di Roald Dahl che piace troppo ai bambini, raschiando via parole spaventosamente discriminatrici come grasso, nero, nano, piccolo e brutto. O rieditare con la Random House le opere di Norman Mailer escludendo quelle ritenute più scorrette, come il celebre saggio “The White Negro” del 1957, indovinate perché. Ora la palla passa nelle mani di chi non è contro il woke, cioè non è contro la censura e vuole difendere il Primo emendamento, ma vuole un woke esattamente uguale e contrario, intollerante e protervo come il suo opposto. Mettono nel loro Indice dei libri proibiti, non si sa bene perché, “Il cacciatore di aquiloni” di Hosseini: chissà se sanno che anche i talebani in Afghanistan considerano quel libro blasfemo e troppo tenero con le donne di Kabul, ma forse lo ignorano, perché ignorano quasi tutto.
Si accaniscono, chiedendone il rogo simbolico, su “Go Tell It on the Mountain” dove James Baldwin (nero, e pure omosessuale), racconta la sua infanzia complicata, per così dire, ad Harlem. E ovviamente nel rogo non poteva non finire “Roots” che racconta dettagliatamente il viaggio di uno schiavo. Poi, incredibile, colmo della stupidità nel buio Regno della Stupidità Universale, proclamano la guerra santa contro “1984” di George Orwell. L’opera somma contro il totalitarismo e gli orrori di una società (Orwell si riferiva a quella di Giuseppe Stalin) che controlla ogni frammento della vita personale, viene scambiato per un libro nientemeno che “sovversivo”, e poi così cupo, inquietante, con tutte quelle torture. Un classico del pensiero liberale equiparato a un opuscolo sovversivo: c’è qualcosa di più stupido di questa esemplare manifestazione di fanatismo oscurantista?
La tenaglia si stringe inesorabilmente sempre più, si avvita su sé stessa, diventa soffocante e sembra che non vi possa essere via d’uscita. L’elenco delle cose che non si possono dire, pubblicare, divulgare diventa sempre più onnicomprensivo e pazzotico. Il Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America, approvato nel 1789 e ratificato due anni dopo, nel 1791, recitava (dovrebbe recitare tuttora) così: “Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione; o che limitino la libertà di parola, o della stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti”.
Censori fanatizzati della sinistra e censori fanatizzati della destra di questi princìpi non sanno che farsene, anzi se ne vogliono proditoriamente disfare, minando dalle fondamenta i pilastri di un ordine morale liberale. Con una sinistra cieca e oscurantista che regala irresponsabilmente alla destra cieca e oscurantista la bandiera del “free speech” e la destra cieca e oscurantista che manipola i princìpi del “free speech” per vendicarsi dell’intolleranza della sinistra cieca e oscurantista. Sembrava uno scherzo, una previsione esagerata, un’esplosione di cattivo umore, la parodia del pessimismo. E’ invece tutto vero. Libri, mostre, sinfonie, parole, immagini, l’arte, la musica, la letteratura, il cinema: tutti diventati bersagli, nella terra della libertà, e nelle loro tristi imitazioni europee.