Astratti furori

Andrea Ballarini

Basta un colpo di sole o un giorno di pioggia a scatenare furie represse da settimane, mesi, anni.

- Stigmatizzare quelli che bevono la birra dalla bottiglia in piedi davanti ai locali, poiché tra giovani si fa così, e non si sono mai chiesti perché.

 

- Tuonare contro l'uso perverso del piuttosto che. Valutare se spiegare pedantemente che in italiano ha esclusivamente funzione avversativa o comparativa ed esprime una preferenza, non una pluralità di alternative. Se vi rendete conto di stare rompendo le balle, concludere che la lingua è comunque un organismo vivente e quindi evolve.

 

- Eccellenza. Una volta era un titolo onorifico oggi è solo una cosa fatta bene. Scagliare anatemi contro.

 

- Il Paese reale. Preferire di gran lunga quello immaginario. Cadere in deliquio anche al sentire nominare il Sistema Paese.

 

- Scagliarsi con livore contro tutti i tormentoni virali del momento, dall'Ice Bucket Challenge al rifacimento casalingo di "Happy" di Pharrell Williams; ma ancor di più contro quelli che postano commenti sprezzanti in merito. Aborrire i rosiconi.

 

- Maledire il discutibile umorismo dell'amministrazione comunale che mimetizza le colonnine distributrici dei tagliandi del parcheggio.

 

- Chiedere con aggressività al proprio prossimo quale mente malata abbia mai deciso di chiamare il biglietto del tram o del treno "titolo di viaggio"? Tuonare contro la burocrazia (ricordare sempre: tumore della società), principale responsabile dell'approccio esistenziale "Mi spezzo ma non mi spiego".

 

- Trasecolare che dopo più di trent'anni dalla sua uscita non siano ancora riusciti a trovare il modo di impacchettare i cd in modo da poterli aprire anche senza l'uso di un bisturi. Valutare se accanirsi contro i blister che si possono dilaniare solo con un paio di cesoie.

 

- Premettere di amare i prodotti Apple ma schiumare dalla bocca quando volete estrarre un pezzo musicale dal vostro iPod senza cancellare tutta la libreria del Mac. Avanzare l'ipotesi che sia stata la consapevolezza di questa défaillance a minare la salute di Steve Jobs.

 

- Avvertire l'impulso – talvolta irrefrenabile – di irrompere in polemiche social armati di scopa, sfollando quelli che in occasione della ricorrenza di fatti, preferibilmente dolorosi, si sentono in dovere di ricordare al mondo la loro opinione.

 

- Bannare da Facebook tutti quelli che postano: precetti edificanti; massime di saggezza orientale e/o occidentale; ricordi della mamma scomparsa che li osserva dal cielo; frasi di Paulo Coelho; frasi sull'amore universale; foto di pietanze banalissime con commenti dissennatamente entusiasti; qualunque tipo di animale, particolarmente quelli che fanno tenerezza; qualunque commemorazione di artisti recentemente scomparsi postata entro le prime tre ore dalla morte; reprimende contro la violenza di genere; foto di se stessi da bambini; foto di parti del corpo (proprio o altrui), un po' sfuocate, così sono più artistiche; tramonti; inviti a giocare all'ultimo stronzissimo giochino in rete; l'ennesima nuova foto del proprio profilo, sostanzialmente uguale alle precedenti duecentocinquanta ecc. (Continuare ad libitum).

 

- Aborrire gli evergreen stagionali dei telegiornali: la morsa del freddo; la cappa di calore; l'esodo e il controesodo; la febbre degli acquisti natalizi; le lamentele dei negozianti in occasione dei saldi ecc.

 

- Provare istinti violenti nei confronti di quegli amici che da vent'anni, alla proposta di un ristorante esotico non ti dicono apertamente che gli fa schifo, ma ti fanno capire che preferirebbero una bella amatriciana.

 

- Nutrire un sordo rancore nei confronti dei tassisti che non accendono l'aria condizionata nonostante ci siano 42 gradi, perché tutto il giorno accendi e spegni poi finisce che si ammalano e, peraltro, tenendola spenta consumano anche meno benzina.

 

- Avere sprazzi di lucidità in cui si teme di essersi macchiati di quasi tutti i delitti suesposti e fidare nell'ingiustificata magnanimità del prossimo.

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